LA FORTUNA DELLE VEDUTE URBANE
TRA EDIMBURGO E FIRENZE

A questa poetica corrisponderà la stagione, tra gli anni Settanta e Ottanta, del progressivo e momentaneo abbandono

del paesaggio, per una pittura urbana dove, come in Via delle Torricelle o nella straordinaria Villa fiorentina, troviamo un’armonia metafisica di volumi e di spazi misurati con un nitore volumetrico e prospettico che rimanda a Piero della Francesca, in anni in cui era ormai consolidata la sua riscoperta.

Nel 1877 la presentazione all’Esposizione nazionale di Napoli e l’acquisto da parte della Casa reale di Il sobborgo di Porta adriana a Ravenna coincideva con l’interesse da parte del più autorevole esponente della critica ufficiale Camillo Boito che, nel volume Pittura e scultura d’oggi pubblicato nello stesso anno, lo consacrava come l’«alfiere, anzi in qualche parte, il capitano » dell’«arte nuova in Firenze». Dopo aver soddisfatto la «gran voglia di correre a Parigi», era arrivato al superamento della sperimentazione macchiaiola, avendo realizzato che «la natura non procede sempre a contrasti sfacciati, a botte di colore e di luce: s’è rimesso quindi a studiarla da sé coraggiosamente […] È tornato alle mezze tinte, alle finezze, alle meticolosità nei rapporti dei toni, alle ricerche delicatissime dell’ambiente».
Un analogo riconoscimento gli verrà presto anche da chi aveva condiviso con lui le antiche battaglie macchiaiole, Adriano Cecioni che gli dedicava un importante articolo monografico, in una serie dedicata a I Macchiaiuoli sulla “Domenica Letteraria” nel 1884 dove sottolineava, con grande perspicacia rispetto alla sua maniera ultima, come «il pregio maggiore ed assoluto della pittura di Signorini è il sentimento dell’intonazione: in tutti i suoi lavori, anche nei più scorretti, il sentimento dell’intonazione non manca mai. Tutto quello che c’è di meno in lui dal lato della forma si ritrova in più dal lato del sentimentale».
All’ampio e approfondito profilo di Cecioni che aveva coinciso nel 1884 con l’esposizione a Torino di Il ghetto a Firenze e il suo acquisto da parte della Commissione governativa per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, seguiva l’anno dopo il ritratto lieve e ironico con cui Martelli ricordava l’amico «vero figlio d’arte» che si era fatto «artista prima in famiglia e dopo da sé», che si era tuffato «arditamente nella cospirazione mazziniana» per poi diventare, dopo un iniziale omaggio alla moda storica, uno «dei primi apostoli» della Macchia.


Via delle Torricelle (1874).

Villa fiorentina (1874 circa).


Il sobborgo di Porta adriana a Ravenna (1875); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.


Santa Maria dei Bardi a Firenze (1870); Viareggio, Istituto Matteucci.

Era rimasto, pur nei riconoscimenti conseguiti, un personaggio scomodo, «ora polemista, ora evangelizzante, ma sempre artista e pittore, percorse il Signorini onorata carriera sempre all’avanguardia del progresso dell’arte, tanto che cinse la mano anche ai più riluttanti e ad un concorso di paesaggio alla Promotrice di Firenze ottenne il premio perfino col voto del prof. Pollastrini; finalmente un anno fa fu assunto al grado di professore dell’Accademia, del qual grado e del qual titolo ringraziò senza accettare».
Signorini aveva preferito infatti ai riconoscimenti ufficiali la sua libertà e un’indipendenza che gli consentirono di viaggiare, spostandosi spesso tra Parigi e Londra, dove poté cogliere le sue maggiori affermazioni professionali, partecipando alle esposizioni e grazie a un fruttuoso mercato, soprattutto inglese, apertogli dai rapporti con mercanti come Goupil e Reitlinger. Nella Lettera informativa registrava alla data 1881 di aver venduto «il mio quadro del Ponte vecchio a un negoziante di Bath, poi con l’amico Giordano mi portai di nuovo a Parigi e Londra e lì fui nella Contea di Somerset a Bath dove rimasi un mese lavorando coll’amico Cecchi per il negoziante Visart che m’aveva comprato il Ponte vecchio. Di là, traversata l’Inghilterra, passai in Scozia e in Edimburgo, dove raggiunsi il Giordano, lavorai con lui moltissimo per le vie di quella città e a Leith e Glasgow e a North Berwick».
Queste rapide notazioni registrano molto bene la frenesia creativa di una delle stagioni più felici della maturità, quanto il celebre Ponte vecchio, molte volte replicato, diventerà il prototipo per una serie di vedute urbane, come quelle di Edimburgo dove si confrontava con la pittura della vita moderna diffusa a Parigi e in particolare con De Nittis, ormai affermato sia sulla scena parigina che londinese. Di questa produzione l’esito più significativo rimane Kirkgate a Leith presso Edimburgo, un originalissimo scorcio della zona portuale a nord della capitale scozzese. In un’immagine dinamica, formata dall’incrocio di piani colorati, si fa interprete della contemporaneità, di una modernità che irrompe nei vecchi muri della città attraverso le insegne, tra cui il vistoso manifesto che finisce per diventare il motivo dominante del quadro. Vi campeggia, con un’evidenza che sembra anticipare la Pop Art, il nome del leggendario eroe brigante Rob Roy, protagonista della sempre popolarissima omonima commedia di Walter Scott.


Il Ponte vecchio a Firenze (1880); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

Kirkgate a Leith presso Edimburgo (1881-1882); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.


High Street a Edimburgo (1881).


Giuseppe de Nittis, La domenica a Londra (1878).

Potrebbe apparire singolare l’abbinamento e la fortuna parallela delle vedute di Edimburgo e di Firenze. Ma trova una spiegazione anche nel comune destino delle due antiche città che in quel momento stavano subendo delle decisive trasformazioni urbanistiche ed edilizie, destinate ad alterarne defintivamente, con demolizioni e sventramenti, i vecchi quartieri popolari. 

Una via del Mercato vecchio di Firenze, via del Fuoco (1882 circa).


Via del Fuoco. Mercato vecchio di Firenze (1881 circa).

Mercato vecchio (1881-1883); Viareggio, Istituto Matteucci.

A Signorini, come ad altri intellettuali italiani e osservatori stranieri, stava a cuore la sorte di Firenze, del suo Mercato vecchio condannato dai piani di risanamento iniziati nel 1866 con il trasferimento in quella città della capitale e proseguiti sino a tutti gli anni Ottanta. Rappresentare questa realtà popolare che stava scomparendo divenne per lui una sorta di imperativo morale, dove riaffiorava l’impegno dell’“apostolo”, lettore di Proudhon e ammiratore di Courbet. Così le sue vedute urbane, rese con un linguaggio aspro e sintetico, e concentrate su una realtà popolare resa con accenti di livido realismo, assumevano quasi un valore di denuncia ed erano assolutamente diverse dalle eleganti vedute parigine e londinesi di quello che era stato comunque un suo modello di riferimento, De Nittis. Singolare è certamente la fortuna di queste immagini presso i collezionisti inglesi che continueranno per molti anni a decretargli il loro favore.
Uno degli angoli da lui prediletti è la tortuosa e oscura via del Fuoco, oggetto di dipinti di diverso formato che ce la restituiscono da differenti angolazioni. Anche il taglio compositivo cambia, dalla veduta di grandi dimensioni dove uno spietato primo piano ravvicinato ingombro di figure e oggetti comunica come un senso di angoscia, alle due carrellate prospettiche dove in un spazio privo o quasi di presenze umane dominano dei grandi sacchi di carbone e le scritte commerciali. La resa pittorica sembra recuperare, in questa cruda resa di una realtà assolutamente dimessa e senza bellezza alcuna, l’asprezza della Macchia dei tempi eroici. Anche se ormai sono le tonalità, quasi monocrome come nella grafica, a dominare rispetto alla luce e al colore.
L’aspro capolavoro di questa fase rimane Il ghetto a Firenze, presentato, come si è già accennato, all’Esposizione nazionale di Torino nel 1884 dove venne acquistato per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma che si intendeva costituire. Si tratta di un atto di denuncia dell’estrema povertà di tanti fiorentini, costretti ad abitare nel malsano degrado del ghetto da dove gli ebrei se ne erano ormai andati. Il lucido e ardito taglio prospettico rende bene questa discesa verso uno spazio diventato come una sorta di girone infernale occupato da un’umanità dolente, dannati senza riscatto.


Il ghetto a Firenze (1882); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

SIGNORINI
SIGNORINI
Fernando Mazzocca
La presente pubblicazione è dedicata a Telemaco Signorini (Firenze, 18 agosto 1835 - Firenze, 10 febbraio 1901). In sommario: Uno scrittore mancato; La rivoluzione della macchia; Il grande realismo di denuncia della condizione umana; Il sentimento della natura. Ritorno alla pittura en plein air; La fortuna delle vedute urbane tra Edimburgo e Firenze; La natura come rifugio tra Settignano e Riomaggiore; La consacrazione di uno spirito ribelle. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.