IL GRANDE REALISMO DI DENUNCIA
DELLA CONDIZIONE UMANA

In realtà il grande esito finale della fase eroica della prima rivoluzione macchiaiola è il dipinto recentemente riemerso,

dopo un lungo oblio, dove le sconvolgenti novità formali riescono perfettamente a coniugarsi con l’impegno sociale. L’artista stesso lo aveva ricordato con grande evidenza nella Lettera informativa. «Nel 1864», vi annotava, «feci un quadro dei miei più gradi con molte figure quasi al vero che tiravano una barca contro la corrente dell’Arno, L'Alzaia, più tardi nel 1873, esposto alla Esposizione internazionale di Vienna mi fruttò la medaglia».

Si tratta di uno dei risultati più alti del grande realismo europeo, uno dei vertici della pittura dell’Ottocento. La sua monumentalità e la cruda analisi delle ingiustizie della società rimandano al modello di Courbet che l’aggiornato Signorini sicuramente conosceva. Mentre sul versante delle scelte compositive e della resa stilistica, più che la suggestione della moderna pittura francese, vi si ritrovano echi antichi, da quella pittura del Quattrocento toscano che proprio i macchiaioli andavano riscoprendo, studiando gli antichi affreschi e le opere dei musei. Questa decisiva influenza appare prima di tutto nella scelta del formato, quel taglio lungo e orizzontale che incontriamo spesso nella pittura macchiaiola, ma che qui risulta in tutta la sua evidenza nel diretto confronto con le predelle delle pale ammirate nelle chiese fiorentine. In questo spazio dunque la cruda scena di vita contemporanea assumeva come una dimensione sacrale.
Con una soluzione iconografica molto originale il pittore ha tenuto nascosto all’osservatore il battello, costringendolo a concentrare lo sguardo sulle figure a dimensione reale dei lavoratori, dai corpi deformati dalla fatica e dai volti quasi senza più espressione, che incedono lentamente, come in una tragica processione, lungo l’argine del fiume. Sembrano procedere per inerzia, con le sagome ridotte a manichini legati dalla fune che, risolta in uno straordinario brano pittorico tanta è l’evidenza formale con cui è resa, domina il primo piano del quadro.
Ritornano, però in una inedita funzione drammatica, quegli esasperati contrasti di luci e ombre caratteristici della prima fase sperimentale della Macchia. Al bianco abbagliante delle camicie e ai colori vivaci che caratterizzano gli abiti, si contrappongono, negli studiati effetti di controluce, gli scuri delle braccia e dei volti, e quelle lunghe strisce d’ombra proiettate sul terreno. Si avverte il senso dell’ora, siamo al tramonto di una giornata tersa e luminosa. Mentre il cielo, sgombro di nubi, sembra proiettare la scena in una dimensione metafisica, che rimanda a un dolore universale.


L'alzaia (1864).

Il’ja Repin, I battellieri del Volga (1870-1873); San Pietroburgo, Museo di Stato russo.

La luna di miele (1862-1863); Viareggio, Istituto Matteucci.

Charles-François Daubigny, Riva del fiume (1866); San Pietroburgo, Ermitage.


Il quercione alle Cascine (1862-1863).

Come nelle antiche predelle anche qui lo spazio è diviso in due scomparti, quello destro dominato dai volumi dei lavoratori emergenti dallo sfondo in parte delle colline verdeggianti e in parte del cielo, e quello sinistro dove, contro il panorama della città in lontananza, identificata nei volumi bianchi delle mura e nei profili dei tetti, si svolge una scenetta che fa da controcanto comico al dramma principale. Si scorgono infatti la sagoma di un petulante cagnolino che abbaia a quella inattesa apparizione e le due figure, del tutto sottodimensionate rispetto a quelle monumentali dei protagonisti, di un uomo in elegante redingote con la tuba e una bimba con un vestitino bianco, con lo sguardo rivolto altrove, infastiditi da quella tragica realtà.

Prima di scomparire per oltre un secolo, questo quadro aveva conosciuto una controversa fortuna. Signorini l’aveva presentato all’Accademia di Firenze dove venne acquistato nel 1865 dai soci della Fratellanza artigiana, l’associazione da cui era sorta la Società Promotrice di belle arti, che dovevano dunque dargli un valore di denuncia sociale. Rimase infatti esposto a lungo nella sede della stessa Promotrice, da dove fu significativamente spostato solo per inviarlo all’Esposizione universale di Vienna del 1873. Nonostante il premio ottenuto in questa occasione, quando ritornò a Firenze nella sua consueta sede, venne recensito sfavorevolmente dal critico del giornale veneziano “La Stampa”. Signorini reagì rivendicando la sua scelta di essersi ispirato al Quattrocento toscano come una restituzione ai valori della modernità di quegli antichi modelli che dovevano dunque essere considerati ancora attuali.
All’accusa poi che il soggetto fosse «alla Courbet ed alla Victor Hugo degli ultimi tempi», dove il riferimento era evidentemente a I miserabili pubblicati nel 1862, rispose, per rivendicare la propria originalità, che se i suoi detrattori «avessero visto davvero» Courbet, «dichiarino allora di non averci capito nulla per aver trovato analogia fra l’artista francese e il fiorentino ». Del resto il linguaggio assolutamente unico di L’alzaia, per spiegare il quale si è fatto ricorso anche all’influenza delle stampe giapponesi, in particolare quelle di Hiroshige, risalta ancora di più se lo si confronta alla convenzionalità narrativa con cui lo stesso soggetto è stato reso nel 1870-1873 da Il’ja Repin in I battellieri del Volga, una delle opere chiave del grande realismo russo. Qui l’impianto compositivo appare tradizionale con il gruppo dei lavoratori che viene avanti in primo piano, mentre sullo sfondo appare il battello.
L’alzaia restava un capolavoro isolato. Signorini vi recuperava inaspettatamente la formidabile sintesi della fase eroica della Macchia, mentre nella sua produzione immediatamente precedente e seguente si avvertiva il definitivo passaggio dall’esasperato soggettivismo dell’antica sintassi macchiaiola alla dimensione oggettiva di un nuovo naturalismo, che teneva conto dell’esperienza del primo soggiorno parigino del 1861 dove l’artista si era confrontato con con Troyon, Corot, Daubigny, pur tradotti in una dimensione del tutto personale in paesaggi intensamente sentimentali, come il magnifico La luna di miele del 1862-1863. Vi si ritrova una semplificazione, nell’incastro delle grandi superifici colorate luminose e piatte, che rimanda alle contemporanee esperienze di Fattori.
Così all’esasperazione chiaroscurale precedente subentravano una tonalità diffusa e un più pacato sentimento atmosferico che diventeranno d’ora in poi il carattere distintivo dei suoi paesaggi.
Questo nuovo corso sarà consacrato dall’acquisto nel 1866 da parte del Municipio di Torino di Giornata di vento, opera caratterizzata nella sua straordinaria resa atmosferica da un intenso lirismo, e dal riconoscimento da parte di Diego Martelli della svolta rappresentata da un originalissimo capolavoro come Aspettando, identificato nella sua straordinaria sintassi prospettica e nella ricerca di una nuova sintesi tra le luci e i colori. Osservava come la protagonista «porta un abito di seta nera e stacca sul fondo della stanza che è tappezzata di rosso, ed alle cui pareti sono appesi vari dipinti di differente stile e maniera. Una finestra che le sta in faccia ma che scorta prospetticamente il riguardante, illumina la scena che abbiamo descritta. Mirabile veramente si manifesta in quest’opera la maestria dell’artista nella sapiente distribuzione della luce sui corpi che illumina; tanto è giusta l’impressione generale che immediatamente vi fa concepire il chiuso di una stanza, quanto il particolare rilievo che mette al vero posto in cui devono stare tutti gli oggetti che rappresenta».
Alternati ai dipinti di Giuseppe Abbati, esposti nella medesima sala e caratterizzati dalle «stesse qualità rarissime ed in grado ancor più eminente», Martelli segnalava anche un’altra opera, che ferma come Aspettando un attimo della vita moderna, Non potendo aspettare «dove una figura scrive in fretta un ricordo per chi doveva esserci», e, su un registro diverso legato alla registrazione immediata del motivo naturale, la veduta di «una strada con due figure ed animali, ed un altro quadretto con cavalli attaccati ad un carro freschissima impressione del vero».


Giornata di vento (1868); Torino, Gam - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.
Esposto nel 1869 alla Promotrice di Torino e acquistato per la Galleria Municipale d’ Arte Moderna, il dipinto rappresenta una scena di quotidiana vita dei campi con un taglio compositivo raffinato, dove si ritrova la suggestione del naturalismo sentimentale di Millet e del suo allievo Jules Breton. La sagoma della donna, solenne nella posa che ricorda quella di un’ antica canefora, si staglia contro il cielo plumbeo solcato dalle nuvole. Analizzate dal vero, assumono una forte carica emotiva, anche in contrapposizione al primo piano occupato dall’acqua che riflette le figure.

Aspettando (1866-1867). Ispirandosi alla tradizione olandese della pittura d’interni e ai raffinati quadri mondani di Stevens e Tissot, Signorini ha saputo creare un originale capolavoro, elogiato da Martelli per l’«impressione generale che immediatamente vi fa concepire il chiuso di una stanza» e per il «particolare rilievo che mette al vero posto in cui devono stare tutti gli oggetti rappresentati».


Non potendo aspettare (1867); Milano, Gallerie d’Italia.

Recensendo la stessa esposizione, appena un mese dopo, sarà lo stesso Signorini a ritornare con una vena di autoironia sulla originalità delle proprie scelte, precisando come Aspettando, analizzato in tutti gli elementi della sua complessa composizione e della sua stesura sperimentale, «rappresenta l’interno di una galleria particolare, dove una donna troppo magra, aspettando il proprietario della galleria, osserva in piedi e sotto la finestra, dei disegni in una cartella. Il merito principale di questo quadro è certamente il colorito, che per essere forte e brillante, non è né violento né sfacciato, le cornici d’oro di cui è addobbata la parete, la carta rossa che tappezza il muro, il tappeto di cui è coperto il terreno, sono maestrevolmente dipinti, la fattura di questo lavoro piuttosto che essere diligente è quasi per progetto sprezzata, ciò che non rende ordinaria la esecuzione; mi permetta però l’autore; una signora messa con una certa negligente eleganza, non poteva indossare un vestito meno strapazzato, che mentre è giusto per colore, dà l’idea di essere stato tenuto sotto i piedi piuttosto che in un armadio?».
In questi anni l’attenzione è appunto calamitata dalla novità dell’esperienza, del resto rimasta piuttosto circoscritta, di una pittura di interni straordinariamente aggiornata, tra le atmosfere di Stevens, Degas e i contrappunti cromatico-luminosi del primo Monet, e innovativa sul versante formale.

Alfred Stevens, La lettura (1860-1867); San Pietroburgo, Ermitage.


Edgar Degas, In un caffè (L’assenzio) (1875-1876); Parigi, Musée d’Orsay.


Lezione di pianoforte (1868 circa); Viareggio, Istituto Matteucci.

Signorini raggiungeva un altro vertice del realismo contemporaneo con La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze del 1865. Risaltava ancora una volta la violenza del contenuto dove, in virtù proprio delle originali scelte di stile, il tema di denuncia sociale assumeva, come già in Alzaia del 1864, una commozione e un respiro davvero universali. Alla comparsa di questo capolavoro maledetto - destinato a entusiasmare Degas che come riferirà Marcellin Desboutin scrivendo nel 1875 a Signorini «a été frappé de votre tendence artistique et votre tableau de folles l’a tout à fait enthousiasmé comme une oeuvre forte et originale» - all’esposizione della Società Promotrice di Torino nel 1869 Giuseppe Giacosa, l’autore dei popolarissimi drammi in costume (La partita a scacchi) e psicologici (Come le foglie), si fece interprete dello sconcerto, ma anche dell’interesse morboso del pubblico, dimostrando di aver capito perfettamente il valore di quest’opera originalissima sia per il contenuto che per lo stile. Confessò infatti: «È un quadro che non mi piace, ma che esercita le spaventose attrazioni dell’abisso e che rivela nell’autore una giustezza e una robustezza quale a pochi è dato raggiungere».
La risposta al clamore suscitato da un dipinto tanto scandaloso veniva dall’autore stesso che, intervenendo nel gennaio 1870 su “L’Italia artistica”, fece della sua dichiarazione una sorta di manifesto della propria poetica e di un impegno che l’aveva determinato consapevolmente a confrontarsi con la grande rivoluzione del naturalismo europeo sia letterario che figurativo. Si tratta di uno dei momenti più incisivi del suo percorso artistico e critico. Aveva osservato: «Esposto in mezzo a questi due quadri [si riferisce a La pittura e a La musica di Silvestro Lega presenti all’esposizione fiorentina del 1869], solo coi suoi meriti e i suoi difetti, in faccia ad un pubblico offeso di veder riprodotto in una terza classe di manicomio quel sesso gentile che ogni esponente gareggia nel corteggiare, sta il quadro di Telemaco Signorini La sala delle agitate nel manicomio di Firenze. Il Signorini appartiene alla opposizione artistica, e se vogliamo, all’estrema sinistra della medesima. È noto che fin dai suoi primi passi, quest’opposizione oltre al cambiar di pianta il sistema di dipingere, cambiò pure la scelta dei motivi, e svincolandosi dai poetici fiori dell’Arcadia andò in cerca del vero, del grandioso, del terribile, sostenendo a proprie spese che poteva esistere un altro genere di poesia, ed una realtà degna di essere riprodotta anche dove l’antica scuola si arrestava per tema di cadere nell’orrore e nella bruttura.
Questa specie di rivoluzione non del tutto pacifica, passò dal campo dell’arte anche in quello della letteratura ed ebbe una consacrazione in specie dagli artisti e dai letterati stranieri. Il Signorini, da vero portabandiera di questa scuola ha voluto, a quanto sembra, inorridire il pubblico, e colle sue pazze vi è effettivamente riescito. Soffermandosi avanti a questa tela è certo che molti grideranno e avranno già gridato al raccapriccio. A questi l’estrema sinistra risponde che, quando si tratta di scene più o meno atroci e di assassinii registrati dalla storia, non si fa caso né al sangue né alle vittime sgozzate: producete invece una cosa moderna, vestite gli attori coi nostri medesimi panni, e allora ciascuno, nelle stesse condizioni, griderà al sacrilegio. Si tratta dunque di un pregiudizio da vincere, ed i pregiudizi bisogna cercare di estirparli senza pietà. Del resto, così parla l’opposizione: noi per oggi non vogliamo toccare un ginepraio e ci limitiamo a constatare soltanto che quella sala bianca piena d’infelici donne rese contraffatte dalla demenza aveva bisogno di essere resa da un vigoroso pennello, da un artista di cuore e d’ingegno - e tale è per noi e per molti Telemaco Signorini».


Interno di studio (1870-1875); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Giovanni Boldini, L’amatore delle arti (1866 circa); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze (1865); Venezia, Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna.
Questo capolavoro “maledetto”, molto apprezzato da Degas per la sua originalità, fece scandalo e suscitò vivaci polemiche sia per la scabrosità del soggetto affrontato, sia per le audaci soluzioni stilistiche. I numerosi studi preparatori confermano che è stata una composizione a lungo meditata, per arrivare a un senso quasi allucinato dello spazio invaso da una luce spietata. Le figure delle pazze sono rese come delle sagome contorte, grazie a una deformazione che può ricordare Daumier, lo stesso Degas, ma addirittura anche il Goya incisore.

SIGNORINI
SIGNORINI
Fernando Mazzocca
La presente pubblicazione è dedicata a Telemaco Signorini (Firenze, 18 agosto 1835 - Firenze, 10 febbraio 1901). In sommario: Uno scrittore mancato; La rivoluzione della macchia; Il grande realismo di denuncia della condizione umana; Il sentimento della natura. Ritorno alla pittura en plein air; La fortuna delle vedute urbane tra Edimburgo e Firenze; La natura come rifugio tra Settignano e Riomaggiore; La consacrazione di uno spirito ribelle. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.