Grandi mostre. 3
Meret Oppenheim a Lugano

L’ANTICONFORMISTA
E I SUOI COMPAGNI DI STRADA

A vent’anni Meret Oppenheim, dotata di una natura indomita e di una fervida immaginazione, entra in contatto con il gruppo surrealista a Parigi. Da subito nasce un’intesa artistica e umana profonda agevolata da evidenti affinità reciproche, ora indagate nell’esposizione in corso al Museo d’arte della Svizzera italiana.

Bianca Cerrina Feroni

Nel 1936 Alfred Barr Jr., direttore del MoMA - Museum of Modern Art di New York, aveva notato in una mostra nella galleria parigina Charles Ratton un’opera composta di una tazza, un piattino e un cucchiaino ricoperti del pelo di una specie di gazzella cinese. Comprò la Colazione in pelliccia di Meret Oppenheim (1913-1985) per la collezione del giovane museo. L’artista svizzera di origine tedesca, allora ventitreenne, scrisse, con il suo consueto humor, una lettera al museo nella quale suggeriva di nutrire la sua tazza impellicciata con delle pastiglie di naftalina. Fu proprio quest’opera a legare il suo destino a quello del gruppo surrealista e a influenzare gran parte della ricezione delle sue opere successive. La poetica del suo lavoro infatti fu quasi sempre interpretata come una conseguenza della precoce relazione con i maestri più anziani e affermati come Breton, Duchamp, Giacometti, Man Ray, con i quali per tutti gli anni Trenta ebbe stretti rapporti d’amicizia e talvolta anche d’amore, come con Max Ernst. La mostra al Lac - Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano, dal 12 febbraio al 18 maggio, propone invece un accostamento delle opere dell’artista con quelle dei suoi compagni di strada volto a mostrare come alla base delle affinità stilistiche ci fosse una sensibilità comune piuttosto che un tentativo di emulazione.


L’aspetto androgino dell’artista incarna l’ideale della bellezza surrealista e diventa un modello


Meret Oppenheim, Il quaderno di scuola (1930-1973).

Lo spirito surrealista era già presente istintivamente in lei ben prima del suo arrivo nella capitale francese, come dimostra la libera associazione tra la X e il coniglio nel collage realizzato, a soli sedici anni, sul quaderno di scuola(1). Questo precoce senso creativo dell’accostamento resterà una costante della sua produzione di pitture, sculture, assemblaggi d’oggetti, poesie, design. La fascinazione reciproca con il gruppo surrealista nasce non appena l’artista arriva a Parigi, nel 1932. Breton la invita a partecipare alle riunioni del Café de la Place Blanche dove Oppenheim appare già come una donna indipendente, ostile alle categorizzazioni, bella e dotata di una forte immaginazione. Man Ray si infatua della sua immagine e così Meret diventa la modella della celebre serie Erotique Voilée. L’anticonformismo della sua natura è evidente: dietro al torchio da stampa nello studio di Louis Marcoussis, l’artista posa nuda con una sottile collana nera e la fronte contro la mano coperta di pittura nera. L’aspetto androgino dell’artista incarna l’ideale della bellezza surrealista e diventa un modello, come si evince dalla fotografia di Hans Bellmer, che evidentemente vi si ispira, dove la mano sporca di colore si appoggia nello stesso modo alla fronte di una bambola. «La proposta di farmi fotografare nuda era in sintonia con il mio temperamento rivoluzionario e antiborghese», dice l’artista, mostrando la sua consapevole autonomia. 


Hans Bellmer, La bambola (1935), stampa dall’originale del 1983, Roma, La Galleria nazionale.

Nello stesso anno (1932), André Breton è conquistato dalla tazza ricoperta di pelo e, per esporla al Salon des Surindépendants assieme agli oggetti di Magritte e Dalí, la battezza Colazione in pelliccia, associando Le déjeuner sur l’herbe di Manet e il romanzo erotico Venere in pelliccia di Sacher-Masoch. La tazza, carica di rimandi erotici, diventa l’illustrazione perfetta dell’oggetto surrealista. Privata della sua funzionalità specifica, esprime nuovi significati incarnando peraltro sensazioni antagoniste: la freddezza della ceramica e il calore e la sensualità della pelliccia trasmettono allo stesso tempo raffinatezza e primitività.

Benché le relazioni con il gruppo s’interrompano nel 1939, data del suo ritorno in Svizzera, Oppenheim conserverà sempre l’inclinazione surrealista pur creandosi un’identità artistica propria, rivendicata talvolta a fatica, che non mancò di influenzare sia i surrealisti stessi, in un gioco di rimandi reciproci, sia artisti di generazioni future.
La reinterpretazione degli oggetti comuni, grazie a cui una cosa assume altri significati, tanto quanto l’associazione di cibo e sessualità restano tematiche ricorrenti e a loro volta fonte d’ispirazione: le tazze in ceramica di Mona Hatoum, con le due coppe rotonde che ricordano un seno, come La coppia di scarpe dell’artista svizzera, sono congiunte in un gioco amoroso e così private della loro funzionalità.

Meret Oppenheim, Colazione in pelliccia (1936), stampa dall’originale del 1984.

La signora del bosco personifica la doppia indole dell’artista: quella fiabesca e quella demoniaca


Nelle pitture degli anni Quaranta-Cinquanta inconscio e immaginazione continuano a coabitare. Sono ancora presenti i motivi ispiratori surrealisti che assumono tuttavia significati del tutto autonomi poiché radicati nella sensibilità personale dell’artista.Meret in questi anni prende più coscienza della sua natura sentendo «la millenaria discriminazione femminile pesare tutta sulle [sue] spalle»(2). La signora del bosco personifica così la doppia indole dell’artista: quella fiabesca e quella demoniaca, indomabile, simbolizzata dalla coda del serpente, che sente di dover reprimere in un ambiente dominato da uomini.


Di Meret Oppenheim: La signora del bosco (1939);

Lontana dalle teorizzazioni femministe, l’artista si concentra piuttosto sull’ambivalenza dell’identità sessuale. La figura mitica dell’androgino diventa un modello artistico per far dialogare il maschile e il femminile.

La sua ricerca artistica porta alla luce qualcosa d’interiore che di solito rimane nell’oscurità, come nel caso delle maschere che hanno il compito di rivelare, piuttosto che di nascondere, i caratteri di chi le indossa. Anticipando le ricerche degli anni Ottanta- Novanta, anche il corpo diventa una superficie che si presta alla rappresentazione, sia facendo emergere l’invisibile interno, i guanti attraversati dalle vene, che per “registrare” l’esperienza esterna in profondità. Nel Ritratto con tatuaggio, grazie alla manipolazione della foto tramite uno stampo, l’artista prende le sembianze di uno sciamano il cui volto è ricoperto di linee e trattini che sembrano solchi scavati.
Musa ispiratrice dunque, ma anche modello di una creatività intima e profonda: «Lontana da un cieco realismo a metà strada fra l’astrazione e la figurazione poetica [...] Meret ci fa intravedere i rapporti molto antichi che intercorrono fra le forme del mondo esterno e i movimenti di ciò che s’è convenuto chiamare l’anima umana»(3). Questo l’elogio del suo ennesimo ammiratore, il poeta André Pieyre de Mandiargues.

(1) L’opera viene pubblicata come copertina della rivista “Le surréalisme même”, 2, 1957.

(2) B. Curriger, Meret Oppenheim. Tracce di una libertà sofferta, Lugano 1995, p.43.

(3) M. Henry, Antologia grafica del surrealismo, Milano 1972, pp. 190-191.

Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum

a cura di Guido Comis, in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte
Lugano, Lac - Museo d’arte della Svizzera italiana
fino al 28 maggio
orario 10-18, giovedì 10-20, chiuso lunedì

catalogo Skira
www.masilugano.ch

ART E DOSSIER N. 342
ART E DOSSIER N. 342
APRILE 2017
In questo numero: ARTE E SOCIETA' L'affaire Dreyfus e la satira; Il museo fittizio di Broodthaers; Antigone: la pietas e il potere. IN MOSTRA Merz a New York, Haring a Milano, Oppenheim a Lugano, Winogrand/Lindbergh a Düsseldorf, Manet a Milano, Bosch a Venezia.Direttore: Philippe Daverio