XX secolo
Marcel Broodthaers

IL DISSIDENTE
GALANTUOMO

Ha agito sempre con garbo ma senza mai uniformarsi a contesti predefiniti. Marcel Broodthaers, figura rivoluzionaria del Novecento, ha sperimentato diversi linguaggi, giocando i ruoli più disparati. Tra i temi affrontati durante la sua breve ma intensa carriera troviamo la riflessione sullo status dell’opera d’arte e sul museo come sistema ideologico e culturale.

Cristina Baldacci

Marcel Broodthaers (Saint-Gilles, 1924 - Colonia, 1976) non si curava della divisione tra i generi artistici, del creatore “bohémien” e nemmeno dell’unicità dell’opera d’arte: per lui contavano soltanto i fatti e gli uomini che mettono insieme idee. Forse è per questo che non scelse un ruolo ben definito, preferendo accostare all’iniziale attività di poeta e artista quella di fotografo, regista, criticogiornalista, di “finto” direttore di museo, per poi usare i risultati ottenuti da queste diverse esperienze come alfabeto visivo al quale attingere di volta in volta per dare vita al nuovo.

L’importanza di questo raffinato saltimbanco dell’arte, la cui carriera nelle arti visive iniziò a quarant’anni e durò poco più di un decennio, venne subito compresa dai suoi contemporanei ed ebbe, all’indomani della sua prematura scomparsa, una forte eco. È passato ormai quasi mezzo secolo dal primo allestimento che Broodthaers fece del Musée d’Art Moderne, Département des Aigles nel suo appartamento a Bruxelles (1968), eppure il suo esempio è più vivo che mai e le mostre a lui dedicate hanno continuato a susseguirsi in prestigiose istituzioni internazionali: dalla recente rassegna organizzata al Fridericianum di Kassel (2015) all’ultima grande retrospettiva itinerante ospitata dal MoMA di New York, dal Reina Sofía di Madrid e ora dalla K21- Kunstsammlung Nordrhein- Westfalen di Düsseldorf (Marcel Broodthaers. Eine Retrospektive, fino all’11 giugno).

Raccogliendo l’eredità di Duchamp, tra anni Sessanta e Settanta l’artista belga portò avanti il discorso attorno al museo come luogo principe dove si compie l’egemonia culturale del potere costituito, facendone il suo primo, benché non unico, oggetto d’indagine(*). Attraverso la messa in scena delle pratiche e delle logiche espositive come opere d’arte, Broodthaers fu tra i primi anticipatori di quell’attitudine che, soltanto a partire dalla metà degli anni Ottanta, sarebbe stata definita “critica istituzionale”. Questa attitudine, che interessa il rapporto tra artista e museo, è da mettere in stretta relazione con un’altra strategia critica - anch’essa iniziata con le avanguardie novecentesche, sebbene risalente alla seconda metà dell’Ottocento -, quella dell’artista come curatore, di cui egli fu ugualmente un antesignano.

Broodthaers fu tra i primi anticipatori di quell’attitudine che sarebbe stata definita “critica istituzionale”


Per quanto fosse sempre molto cauto nell’avvicinare prassi artistica e ideologie, Broodthaers sapeva bene che nella società l’artista doveva avere anche un ruolo di attivo provocatore. Le sue azioni, apparentemente innocue e ispirate a un’estetica “démodée” di matrice ottocentesca, sono state a tutti gli effetti arte impegnata. Non più giovanissimo, aveva salutato con ottimismo le contestazioni sessantottine, partecipando all’occupazione del Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e firmandone il Manifesto, perché già allora aveva intuito i problemi dettati dalla progressiva mercificazione dell’arte e, all’interno di questo processo, il coinvolgimento del museo come parte del sistema. Selezionare, classificare e presentare sono attività quotidiane per il museo, ma anche gesti autoritari che ribadiscono l’unicità delle singole testimonianze artistico-culturali presenti nelle collezioni e, di conseguenza, il loro valore come oggetti preziosi.


Section Publicité du Musée d’Art Moderne, Département des Aigles (1972), particolare dell’installazione presentata alla documenta 5 di Kassel nel 1972, e ora nella collezione della Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf.

Nel momento di massima opposizione alle istituzioni e di spinta al cambiamento, Broodthaers portò il Sessantotto anche all’interno del museo, smascherandolo come luogo di potere. Con acume e grande disinvoltura, due doti che dipendevano in parte dal suo essersi formato come poeta, riuscì a offrire, soprattutto con quello straordinario dispositivo critico che fu il suo Musée d’Art Moderne (1968-1972), un’efficace soluzione estetica per affrontare l’intricato rapporto tra arte, politica e mercato.

Di questo museo fittizio e itinerante, che il suo autore e direttore (questo era il ruolo che Broodthaers aveva brillantemente scelto per sé) continuava a modificare a ogni nuovo riallestimento, e che consisteva più di parole, immagini e azioni che di oggetti materiali, sono rimaste ben poche tracce. Ciò ha contribuito a farlo diventare un progetto leggendario, che è stato più volte ricostruito e riattivato.

L’unica grande eccezione fu l’allestimento di una delle sue parti, la Section des Figures, alla Kunsthalle di Düsseldorf nel 1972. In un’enciclopedica mostra ideata per l’occasione e intitolata Der Adler von Oligozän bis heute (L’aquila dall’Oligocene a oggi) Broodthaers riuscì a radunare una moltitudine di curiosità e manufatti provenienti dalle collezioni museali di mezza Europa.


Chez votre fournisseur (Le Vinaigre des aigles) (1968), piatto di plastica verniciata, New York, MoMA - Museum of Modern Art.

Ne risultò una sorta di “Kunstkammer” transitoria, dove i circa trecento oggetti presi in prestito dai vari musei erano contrassegnati uno a uno da un cartellino che ne annullava il valore come opera d’arte con la seguente didascalia, in tre lingue (francese, tedesco, inglese): «Ceci n’est pas un objet d’art / Dies ist kein Kunstwerk / This is not a Work of Art».

Broodthaers aveva inoltre eliminato le usuali categorie museali raggruppando sotto il motivo dell’aquila oggetti tra loro diversissimi e mescolando di continuo cultura alta e bassa. Ripetuta ossessivamente in forme, stili, materiali di epoche e luoghi tra i più disparati, l’immagine dell’aquila mostrava in modo inequivocabile il binomio potere-museo e anche il paradosso dell’azione stessa del classificare: cercare di racchiudere il mondo nella sua complessità in categorie e sottocategorie per dare un ordine alle cose è un’impresa utopica e, di per sé, alquanto fallimentare.

Un altro aspetto caratteristico del Musée era quello di essere nato all’interno di un contesto privato, lo studio-appartamento di Broodthaers, ma di essere destinato primariamente allo spazio pubblico.


Moi aussi, je me suis demandé si je ne pouvais pas vendre quelque chose et réussir dans la vie…, invito alla mostra di Marcel Broodthaers presso la Galerie Saint Laurent di Bruxelles (10-25 aprile 1964).

L’artista scelse con cura i luoghi dove riallestire le varie versioni o “sezioni” del suo museo e fu molto abile nell’avvalersi delle più importanti istituzioni che allora lavoravano con il contemporaneo coinvolgendo in prima linea critici e curatori. A seconda del contesto in cui veniva inserito, il Musée assumeva non solo una diversa forma, ma ogni volta anche un diverso significato. Tra i suoi ri-allestimenti più celebri, oltre a quello alla Kunsthalle di Düsseldorf, troviamo, sempre nel 1972, il display che Broodthaers ideò per la documenta 5 a Kassel, dove Harald Szeemann aveva ritagliato una speciale sezione per i musei d’artista.

L’allestimento alla documenta 5 coincise con l’ultima apparizione del Musée. Dapprima fu inaugurata la Section Publicité, ovvero il “remake” della mostra a Düsseldorf, dove però al posto degli oggetti c’erano soltanto le loro immagini riprodotte. In seguito, Broodthaers aprì la Section d’Art Moderne, che poi tramutò, come gran finale, in Musée d’Art Ancien, Galerie du XXème siècle. In questo “museo” altisonante la sola cosa da vedere era un quadrato nero con la scritta «proprietà privata».


Véritablement (1968), fotografia su tela, New York, MoMA - Museum of Modern Art.

Ecco che, prima di chiudere i battenti, il Musée mostrava la sua natura contraddittoria, nonché la sua inutilità: come collezione privata non sarebbe più stata di pubblico dominio e come museo di arte antica non poteva di certo contenere una galleria del XX secolo.

Una volta chiuso il suo museo, l’artista ne portò avanti l’eredità in una serie di mostre a cui diede il titolo di Décors. Tra la scenografia e il set cinematografico, questi “arredi” riassumevano il suo pensiero e la sua attività dell’artista e, così come era stato per il Musée, entrarono temporaneamente a far parte di importanti luoghi espositivi. Nel giro di pochi anni, Broodthaers era riuscito a conquistarsi il consenso di pubblico e istituzioni celando l’aspetto sovversivo del suo lavoro dietro a un’ineccepibile eleganza estetica che lo distingueva dalle presentazioni decisamente più radicali degli altri artisti concettuali e che trasformava l’arte in uno strumento di critica resiliente.


Veduta dell’installazione presentata alla mostra Marcel Broodthaers: A Retrospective (New York, MoMA - Museum of Modern Art, 14 febbraio - 15 maggio 2016).

(*) Per uno studio più approfondito si veda C. Baldacci, Il museo ideale di Marcel Broodthaers, in Archivi impossibili. Un'ossessione dell'arte contemporanea, Monza 2016, pp. 145-155.

IN MOSTRA A DÜSSELDORF: BROODTHAERS E GLI ALTRI
Alla K21- Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf (www.kunstsammlung.de) fino all’11 giugno la mostra Marcel Broodthaers. Eine Retrospektive racconta il percorso artistico dell’artista belga morto prematuramente nel 1976 a poco più di cinquant’anni. Duecento opere, tra sculture, installazioni, film, fotografie, libri d’artista (perlopiù realizzate tra il 1963 e il 1975), offrono l’occasione per comprendere il pensiero di Broodthaers, personaggio che ha suscitato una forte attrazione per generazioni di artisti a lui contemporanei e successivi. Con la cura di un nutrito pull di esperti, già coinvolti nelle tappe precedenti della medesima mostra a New York (MoMA) e a Madrid (Reina Sofía), l’esposizione tedesca si avvale del lavoro di Doris Krystof che evidenzia quanto, insieme a Duchamp, Magritte sia stato un punto di riferimento fondamentale per Broodthaers, impegnato in un ambiente segnato dall’arte pop, dal minimalismo e dall’arte concettuale a esprirmere, senza remore, il proprio orientamento innovativo.

Segnaliamo anche che a partire dal 25 marzo all’interno della K21- Kunstsammlung Nordrhein- Westfalen sarà di nuovo visibile e praticabile dai visitatori l’installazione di Tomás Saraceno In Orbit, una struttura di acciaio e vetro sospesa a oltre 25 metri di altezza che sovrasta la “hall” dell’edificio. Tra le altre mostre, in città, è sempre in primo piano la fotografia, uno dei temi più seguiti dalle istituzioni pubbliche e private, grazie anche alla rilevanza internazionale della cosiddetta scuola di Düsseldorf, che include star come Gursky, Struth, Hofer, Hutte, Ruff, tutti allievi dei celebri capostipiti Bernd e Hilla Becher. La manifestazione Photo Weekend di febbraio anche quest’anno è stata l’occasione per presentare e inaugurare eventi espositivi in tutta la città. Oltre a Peter Lindbergh / Garry Winogrand: Women on Street (di cui parliamo a p. 38), il NRW Forum ospita The Fun Archive dell’artista multimediale francese Thomas Mailaender (www.nrw-forum.de, fino al 30 aprile), il quale, attraverso la manipolazione di foto ridicole e trash collezionate da internet, rende evidente, con bizzarro senso dell’umorismo, il cortocircuito contemporaneo tra immagine “bassa” e legittimazione artistica. Molto interessante è anche Fred Stein. Auf dem Weg. Dresden Paris New York, alla Mahn - und Gedenkstätte (www.gedenk-dus.de/veranstaltungen.html fino al 28 maggio), sull’opera di uno fra i maestri del Novecento (1909-1967), tedesco di religione ebraica perseguitato dai nazisti, che visse e lavorò anche in Francia e poi negli Stati Uniti. Altri appuntamenti da non perdere sono Otto Dix - Der böse Blick (alla K20 - Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, fino al 14 maggio), incentratra sugli anni cruciali, fra 1922 e 1925, che Dix trascorse a Düsseldorf come membro del sodalizio artistico Das Junge Rheinland, e l’importante retrospettiva Cranach. Meister - Marke - Moderne (al Kunstpalast dall’8 aprile fino al 30 luglio, www.smkp.de), che presenta oltre duecento opere tra dipinti, disegni e stampe del maestro tedesco e di artisti moderni - fra gli altri Picasso, Duchamp, Giacometti, Warhol - che a lui si sono ispirati, con importanti prestiti internazionali.

Thomas Mailaender, Illustrated people 14 (2013);


Lucas Cranach, Giuditta con la testa di Oloferne (1530 circa), New York, Metropolitan Museum of Art;


Fred Stein, Tre sedie (1937);

ART E DOSSIER N. 342
ART E DOSSIER N. 342
APRILE 2017
In questo numero: ARTE E SOCIETA' L'affaire Dreyfus e la satira; Il museo fittizio di Broodthaers; Antigone: la pietas e il potere. IN MOSTRA Merz a New York, Haring a Milano, Oppenheim a Lugano, Winogrand/Lindbergh a Düsseldorf, Manet a Milano, Bosch a Venezia.Direttore: Philippe Daverio