L'oggetto misterioso


un infant Seat d’altri tempi

di Gloria Fossi

In un dipinto di Veronese spicca qualcosa di veramente insolito per l’epoca ma funzionale per offrire una comoda seduta al Bambino Gesù

Se potessimo trasferire ai tempi moderni la vicenda della fuga in Egitto narrata dall’evangelista Matteo (2, 14), dovremmo immaginare Giuseppe e Maria attraversare con Gesù il deserto a piedi (altro che asinello, del quale peraltro il Vangelo canonico non parla, e altro che bestie feroci che s’inchinano al loro passaggio); oppure nascosti in un container soffocante, e giunti al mare rivolgersi all’orrendo traffico degli scafisti. Se invece amiamo le favole belle, sempre più rare, potremmo fantasticare di veder montare la Sacra famiglia su una jeep, col Bambinello su uno di quei seggiolini che, se ben sistemati, garantiscono una certa sicurezza anche con genitori spericolati alla guida. A dire il vero la vicenda della fuga in Egitto nel Vangelo è appena accennata: avvisato da un angelo, Giuseppe evita al piccolo Gesù la furia infanticida di Erode, e lo porta con Maria in una località imprecisata dell’Egitto. Certo il viaggio nel deserto dovette esser faticoso, ma di questo il Vangelo non parla. Più dettagliato è il racconto apocrifo dello pseudo Matteo (20, 1-2): dopo aver incontrato draghi, leopardi e altre fiere divenute innocue al passaggio di Gesù, nel terzo giorno Maria stanca per il caldo vede una palma e chiede di riposare alla sua ombra e di rifocillarsi con i suoi datteri. Giuseppe tuttavia obietta che il fusto è troppo alto per poter raggiungere i frutti e si preoccupa piuttosto della mancanza d’acqua. 

Gesù, che riposa nel grembo di Maria, impone allora alla palma di piegare i rami e ristorare la mamma. La palma obbedisce e dopo aver rifocillato tutti, resta inclinata in attesa del comando di Gesù, che adesso le chiede di aprire con le radici la vena d’acqua nascosta nella terra. La palma rialza il fusto, e dalle radici scaturisce una fonte d’acqua limpida e fresca. Un racconto sereno, che nasconde significati premonitori del futuro martirio e della salvezza divina attraverso il viaggio periglioso dell’esistenza umana. La palma, dal fusto resistente che si piega ma non si spezza, è il simbolo dei martiri che resistono ai carnefici senza abiurare la fede. Un’iconografia ricchissima, quella del Riposo durante la fuga in Egitto, ha attraversato la storia della pittura occidentale, e se ne contano esempi celebri, da Caravaggio a Van Dyck, da Gerard David a Orazio Gentileschi, da Francesco Granacci a Jacopo Bassano e moltissimi altri. Anche Veronese si è cimentato su questo tema, almeno due volte: in una tela ora a Sarasota, qui illustrata, e in un’altra ora a Ottawa (National Gallery of Canada). Se nella versione orizzontale di Ottawa un angelo porge i datteri raccolti in un vassoio, nella tela di Sarasota la scenografia è più articolata e vivace. Un angelo ha steso ad asciugare sulle fronde di un albero la camiciola di Gesù, un altro a sinistra offre una melagrana e una pagnotta, mentre un altro, in spericolato equilibrio, si regge alle fronde della palma, e getta datteri nel tovagliolo che gli tende un compagno più in basso. La Madonna allatta un Bimbo svogliato, che invece di succhiare il latte guarda in alto, come a controllare che i suoi ordini siano rispettati, mentre Giuseppe prepara i recipienti per raccogliere l’acqua. Sul fondo, un improbabile paesaggio di montagne azzurrine e la veduta ideale di una città antica con obelisco. La tela fu esposta due anni fa alla mostra di Londra (Veronese: Magnificence in Renaissance Venice, National Gallery, 19 marzo - 15 giugno 2014, a cura di Xavier F. Salomon) e subito dopo a Verona (Paolo Veronese. L’illusione della realtà, palazzo della Gran Guardia, 5 luglio - 5 ottobre 2014, a cura di Paola Marini e Bernard Aikema). Si tratta di una pala devozionale (236,2 x 161 cm), che nel XVII secolo si trovava nelle raccolte di Carlo II Gonzaga, duca di Mantova. Nella consueta bellezza dei dettagli alla quale Veronese ci ha abituato, spicca qui un oggetto insolito, che non siamo riusciti a rintracciare in altri dipinti dell’epoca, ma è presente nel disegno, attribuito alla bottega di Veronese, che raffigura la composizione pittorica ancora in fieri: è un seggiolino da bambino, composto da una semplice asse di legno che sostiene e inclina lo schienale, imbottito di paglia e rivestito di tela, qua e là rattoppata. Un particolare insolito, in tutto e per tutto paragonabile agli “infant seat” (o “baby seat”) tanto in voga negli anni Settanta del secolo scorso, antesignani dei seggiolini da automobile oggi obbligatori in ogni vettura che trasporti bambini. L’insolito attrezzo è definito nella scheda del catalogo della mostra di Verona come una versione in miniatura di un materasso di paglia, in veneto “pagiarizzo” (C. Corsato, p. 260), e secondo Bernard Aikema (p. 248) è un simbolo della povertà di Gesù. A noi pare comunque un ingegnoso sistema, per l’epoca, per far sedere comodamente il Bambino, e magari legarlo con le corde (ben visibili a terra), al dorso dell’asino durante il viaggio.


Paolo Veronese, Riposo durante la fuga in Egitto (1572-1573), Sarasota (Florida), John and Mable Ringling Museum of Art.


Bottega di Veronese, Ricordo del Riposo durante la fuga in Egitto (1572-1573), Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen.


Pagina per modellini da cucito, con “infant seat”, della rivista americana “McCall’s” (1979).

ART E DOSSIER N. 331
ART E DOSSIER N. 331
APRILE 2016
In questo numero: SGUARDI L'occhio nell'arte tra mito e fascinazione. STEREOTIPI Immagini d'oriente nella pittura occidentale. MITI D'OGGI Puer aeternus Murakami. LONDRA Nuove sale al V&A. IN MOSTRA Piero della Francesca a Forlì, Correggio e Parmigianino a Roma, Severini a Mamiano, Matisse a Torino.Direttore: Philippe Daverio.