Nei capolavori a tema religioso
e mitologico, Correggio sapeva
esprimere il massimo
della tensione emotiva
L’allestimento dell’esposizione, senza rigidità o preclusioni cronologiche, permette l’incontro di circa cento opere tra dipinti e disegni dei due maestri, e di altri quattro pittori, meno celebri e talentuosi, che coi primi contribuirono a far emergere a Parma una scuola locale che nulla aveva da invidiare alle più celebri tosco-romana e veneta: Michelangelo Anselmi, Francesco Maria Rondani, Girolamo Mazzola Bedoli e Giorgio Gandini del Grano. Negli anni Quaranta del Cinquecento Parma non era ancora una città di grande richiamo. Prima dell’arrivo di Correggio «la cultura artistica locale tardo quattrocentesca e cinquecentesca non aveva raggiunto un livello tale da giustificare un viaggio ad hoc», scrive in un saggio del catalogo Maddalena Spagnolo. La supremazia della grande arte apparteneva a Venezia.
Di Correggio, cosiddetto dal nome della città natale, al secolo Antonio Allegri (1489-1534), attivo per tutta la vita a Parma, Ekserdjian ha selezionato i capolavori a tema religioso e alcune tele di soggetto mitologico, due generi in cui il pittore sapeva esprimere il massimo della tensione emotiva. Del secondo, il più giovane Francesco Mazzola detto Parmigianino (1503-1540), una carriera strepitosa che lo vede attivo tra Parma, Roma e Bologna, raccontano sì le Madonne e i santi, le ninfe e gli dei dell’Olimpo, ma soprattutto i ritratti, dove a detta del Vasari, «lo spirito del qual Raffaello si diceva poi esere passato nel corpo di Francesco, per vedersi quel giovane nell’arte raro e ne’ costumi gentile e grazioso [...]». Non soltanto, aggiungeva l’autore delle Vite che «in molte parti di grazie e ornamenti e di bella maniera avanzava l’Allegri».
Realista, virtuosista, manierato, dipinge il suo primo Ritratto di un collezionista, istillando nell’anonimo modello un’aria irritante di spavalderia e di arroganza. La mostra sottolinea le differenze di stile, tecnica, temperamento. Da un lato troviamo Parmigianino con uno studio di donna che accarezza un cavallo alato mentre Cupido volteggia, concepito per parte della decorazione della volta in Santa Maria della Steccata, a Parma. Dall’altro lato Correggio con un Ritratto di dama dallo sguardo enigmatico, forse Veronica Gambara, forse Ginevra Rangoni sposata Gonzaga. Siamo nel 1518, due anni dopo l’Allegri si cimentava nella sua prima immensa impresa pittorica con la decorazione della Camera della badessa nel monastero parmense di San Paolo. Parmigianino e Correggio: uno stile eccentrico contro una maniera che punta sulla dolcezza espressiva. Se il secondo, grazie allo stile fluido, avvolgente, impastato di grazia e leggerezza, è considerato l’importatore del Rinascimento in terra padana, Parmigianino - il soprannome, oltre che dalle origini, gli derivava dalla corporatura mingherlina e dall’aspetto mite -, portatore di una pittura più guizzante, stilizzata e maliziosa di quella dell’Allegri (suo maestro), fu un caposcuola (raffinatissimo) della corrente manierista e della pittura emiliana in generale.
Correggio nasce da Pellegrino Allegri e Bernardina Piazzoli degli Ormani. Si sa che la famiglia era originaria di Firenze, che suo nonno Domenico era stato esiliato nel 1433 per la sua forte avversione a Cosimo il Vecchio, e si era stabilito in Emilia in un piccolo feudo indipendente retto dai conti di Correggio, imparentati coi Farnese di Parma. Ma, in definitiva, è uno degli artisti meno documentati della sua epoca. Poche e non felici le note biografiche, si diceva che fosse poverissimo. Vasari, nelle Vite, lo descrisse come un uomo misero, malinconico e addirittura «miserabile», morto in incredibili ristrettezze economiche. Sarà vero? Nel suo Le scuole lombarde di Mantova, Modena, Parma, Cremona e Milano, lo storico ottocentesco Luigi Lanzi spezza una lancia a favore della supposta povertà del Correggio. «Comunque limitato in denaro, dipinse con un buon lusso, di cui non vi ha esempio. Ogni sua pittura è condotta o in rame, o in tavola, o in tele assai scelte, con vera profusione di oltremare, con lacche e verdi bellissimi». Povero ma esuberante di genio. Affinato al gusto di Raffaello, al chiaroscuro di Leonardo, alla luce dei veneziani e all’arte di quel pittore d’angeli Melozzo da Forlì per le sue vertiginose vedute da sotto in su, disegnate per le maestose pale d’altare degli anni Venti del Cinquecento. Se le prime opere sono influenzate dalla ferma maestosità, e quasi durezza, del Mantegna della cappella del Belvedere di Roma, a partire dal 1520 con le decorazioni ad affresco della Camera della badessa e a seguire, sempre a Parma, con quelle per la cupola di San Giovanni - dove lavorò a fianco del Parmigianino che eseguì un putto più malizioso e vivace di quelli del Correggio - realizzate con la tecnica dello sfondato (che simula un cielo aperto con la corona di apostoli e il Cristo sospeso a mezz’aria) e quindi con i dipinti della cattedrale (dove crea in forma di vortice la scena dell’assunzione della Vergine), Correggio si assicura il successo e commissioni sempre più prestigiose.