Studi e riscoperte. 3
Le danze macabre di Clusone e Pinzolo nel XV e XVI secolo

ballandocon i morti

Ironia, satira ma anche solennità e dramma sono gli elementi caratterizzanti il tema del macabro nella tradizione artistica del Quattrocento e Cinquecento: esempi rilevanti si trovano nel Bergamasco e in Trentino.

Mauro Zanchi

La Danza macabra e il Trionfo della Morte di Clusone (Bergamo) presentano tipologie e caratteristiche originali, pur rientrando pienamente nella tradizione quattrocentesca a tema macabro(1). L’affresco è stato realizzato da Giacomo Borlone de Buschis tra il 1484 e il 1485, sulla facciata dell’oratorio dei Disciplini(2). Si può considerare una sintesi tra l’iconografia espressa nel Nord Europa e quella rappresentata nel Centro e nel Sud Italia(3), dall’età federiciana al Rinascimento. La fascia della danza macabra processionale rappresenta il ceto sociale definito “terzo stato”, dove la cortigiana, il disciplino, il contadino, l’oste, il balivo, il mercante avaro e l’uomo “di penna” marciano con i loro scheletri verso una dimensione atemporale. Come nelle danze macabre francesi e tedesche anche qui viene espresso un intento al contempo ironico e polemico - da allegoria morale e profana -, che pare abbia perduto qualsiasi funzione consolatrice di stampo religioso. All’origine dei temi macabri c’è l’immagine terrificante dei cortei apocalittici che percorrono la società europea nel Medioevo, falcidiata dalle epidemie e dalle guerre: la morte è intesa come “monstrum”, ovvero come un demone che si aggira nella dimensione allucinata del quotidiano.


Giacomo Borlone de Buschis, Danza macabra (1484-1485), particolare, Clusone (Bergamo), oratorio dei Disciplini.

(1) L’affresco di Clusone testimonia il pensiero da “meditatio mortis” fortemente caratterizzato alla fine del XV secolo, uno scorcio di anni percorso da crisi e da mutamenti importanti. Negli stessi anni, in Francia, vengono pubblicate opere dallo stesso sapore di “meditatio”: La Danse Macabre (1485) di Guy Marchant, La Grande Danse Macabre des Vivants et des Morts (1486) e il Testament (1489) di François Villon. Cfr. A.Tenenti, Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento, Torino 1989; F. Villon, Le Testament, in Opere, Milano 2000.
(2) Per approfondimenti e bibliografia si veda: M. Zanchi, Il “theatrum mortis” nel nome della vita eterna. L’Oratorio dei disciplini a Clusone, Clusone (Bergamo) 2005.
(3) Mi riferisco all’Incontro dei vivi e dei morti (1258-1266) affrescato nella chiesa di Santa Margherita a Melfi (Potenza), al bassorilievo ex voto raffigurante la Morte incoronata col donatore Franceschino de Brignale (1361) ora presente nel Museo di San Martino a Napoli, al Trionfo della Morte (metà del XIV secolo) affrescato da Buonamico Buffalmacco nel Camposanto monumentale di Pisa, al Trionfo della Morte dipinto nella seconda metà del XIV secolo da Bartolo di Fredi nella chiesa di San Francesco a Lucignano (Arezzo), al Trionfo della Morte (seconda metà XIV secolo) presente a Subiaco (Roma) nella Scala santa del Sacro speco e in quello realizzato dal Maestro del Trionfo della Morte (1440 circa), ora custodito nella Galleria regionale della Sicilia a Palermo. Cfr. P. Scaramella, Temi macabri italiani dall’età federiciana all’umanesimo, in La signora del mondo, atti del convegno internazionale di studi sulla Danza macabra e il Trionfo della Morte (Clusone 30 luglio - 1° agosto 1999), Clusone (Bergamo) 1999, pp. 109-144.

Il corteo apocalittico è una recita
pubblica, dove la popolazione
esorcizza la paura del domani


Il corteo apocalittico è una recita pubblica, dove la popolazione esorcizza la paura del domani, coinvolgendo l’intera città, per portare alla luce quella norma alteratrice che soggiace all’interno di ogni persona: la paura del Medioevo (la presenza quotidiana della morte) porta le persone a scendere nelle piazze e nelle strade cittadine, per inscenare una processione non dimentica delle proprie ossessioni. Allo stesso tempo ogni danza macabra è da intendere come descrizione di uno spettacolo apotropaico: in questa dimensione viene messa in scena la celebrazione della vitalità dell’esistenza, illustrata per mezzo di un ironico e terribile gioco della dicotomia vita/morte. Di fronte a una concezione d’ambito cortese e a una presa di coscienza della morte individuale, la danza assume la valenza simbolica di una laicizzazione della società(4). Il ballo è svago, rito della movenza, teatralizzazione del flusso gestuale, che manifesta il mistero della vitalità attraverso il linguaggio del corpo. A Clusone la danza segue un percorso lineare, è come una processione di esseri che escono da uno spazio chiuso, per dirigersi, verso destra, nella direzione dell’Oltre. Passato, presente e futuro sfilano insieme nel rito della processione danzante. Il percorso dei morti/vivi pulsa di espressioni mosse dal timore e dalla tristezza: le anime, ancora unite ai corpi, non hanno uno spirito capace di far accettare con rassegnazione costruttiva la danza voluta dagli scheletri sorridenti. E proprio nel terzo registro dell’affresco l’idea del premio e del castigo si doveva sviluppare iconograficamente con le figure dei Vizi e delle Virtù assimilate al momento di un giudizio individuale e universale(5)

La presenza del lacerto con le figure dei disciplini nella zona opposta al lato della punizione dei Vizi induce a pensare che i committenti auspicassero di essere collocati nel lato della salvezza e delle Virtù. In ogni caso, la presenza del dubbio si fa sentire. Il senso ironico sotteso al tema della danza macabra non vive pienamente, ma deve spartire la sua presenza con una non risolta paura della fine. Gli scheletri ridono e i vivi sono descritti con i volti rattristati e pensierosi.


Giacomo Borlone de Buschis, Danza macabra (1484-1485), Clusone (Bergamo), oratorio dei Disciplini.


Vincenzo da Castua, Danza macabra (1474), particolare, Vermo (Croazia), chiesa di Santa Maria delle Lastre.

(4) Cfr. S. Macioce, Il Gotico internazionale, monografia allegata ad “Art e Dossier”, n. 34, aprile 1989, p. 16.
(5) Cfr. M. Scandella, Gli affreschi della morte dell’oratorio dei Disciplini in Clusone: una rielaborazione originale ed una sintesi dei temi macabri, in Il Trionfo della Morte e le danze macabre, atti del VI convegno internazionale di studi sulla Danza macabra e il Trionfo della Morte (Clusone 19-21 agosto 1994), Rovetta (Bergamo) 1997, p. 388.

Sembra di udire il rumore
delle giunture ossee che
scandisce il ritmo della scena


La danza insegna che l’esercizio è lungo e articolato. È al contempo un “memento vivere”, un’esortazione a esserci, pienamente, nella danza della vita, ovvero a non sprecare la ricchezza dell’esistenza, impiegando bene il tempo che Dio (o il destino) ha concesso a ogni individuo. Anche per il cristiano, che ha sviluppato un forte senso della fede nell’oltrevita, l’affioramento del dubbio e della paura è sempre pronto a manifestarsi. 

Nella valle Rendena, chiusa tra le montagne che separano il Trentino dalla Lombardia, il pittore bergamasco Simone II Baschenis di Averara (1490 circa - 1555)(6) ha affrescato una danza macabra sulla parete esterna della chiesa di San Vigilio a Pinzolo. Il corteo apocalittico (1539) è sviluppato in una lunghezza di circa ventidue metri, dove tutti i personaggi sono inseriti entro una scansione solenne, dipinti con un’attenta descrizione fisiognomica ed efficace varietà di atteggiamenti. I diciotto soggetti(7) si stagliano su uno sfondo neutro. I partecipanti procedono da destra verso sinistra, in direzione di Cristo crocifisso e della Morte, seduta in trono e intenta a suonare la cornamusa, accompagnata da altri due scheletri che soffiano nelle pive. Tutti i personaggi umani(8), compreso Cristo, hanno una freccia conficcata nel corpo. Chi scocca i dardi mortali è lo scheletro che cavalca un destriero bianco, posto accanto all’arcangelo Michele e al demonio. Sotto le immagini scorre una serie di riferimenti letterari tipica del repertorio che si riferisce alla sovranità della Morte su ogni individuo, su qualsiasi ceto sociale. Gli scheletri del corteo sorreggono verghe e filatteri, con motti che fungono da “memento mori”. Tutto si sviluppa entro una ventina di passi. Sembra di udire il rumore delle giunture ossee - contrappuntato dai rumori delle stoffe struscianti degli abiti di ogni rappresentante del corteo -, che scandisce il ritmo della scena. 

Il sibilo delle frecce percorre lo spazio, entra nei toraci, nel collo o nel cranio. Ogni danza macabra mette in scena lo spirito ironico di un accoppiamento fra due termini antinomici. Scheletro e individuo vanno, a braccetto o per mano, a formare una coppia di opposti complementari. Se nell’affresco macabro di Clusone gli scheletri ridanciani esprimono visivamente un sapore di stampo ironico e sembrano anche rappresentare il momento futuro di ogni individuo partecipante alla danza, a Pinzolo, invece, il corteo macabro ha un’espressione più solenne, drammatica, a tal punto che persino Cristo in croce pare essere sottomesso all’inevitabile destino dettato dalla Morte. Così almeno sembra ribadito, oltre che dall’immagine icastica, dal testo scritto sotto Gesù colpito dalla freccia mortale: «[...] O peccator pensa de costei / La mea morto mi che son Signor de ley»(9).


Simone II Baschenis, Danza macabra (1539), Pinzolo (Trento), chiesa di San Vigilio.


Simone II Baschenis, Danza macabra (1539), particolari, Pinzolo (Trento), chiesa di San Vigilio.


La facciata dell’oratorio dei Disciplini a Clusone (Bergamo) con il ciclo di affreschi del 1484-1485 raffiguranti il Trionfo della Morte e la Danza macabra.

(6) Piccolo paese della val Brembana, una delle valli della provincia di Bergamo.
(7) Leggendo da sinistra verso destra, i personaggi dei diversi ceti sociali sono: il pontefice, il cardinale, il vescovo, il prete, il monaco francescano, l’imperatore, il re, la regina, il duca, il medico, l’uomo d’armi, il ricco avaro, il giovane, lo storpio mendicante, la monaca, la giovane gentildonna, la donna anziana, il fanciullo.
(8) Gli unici personaggi che non sono ancora stati colpiti dalla freccia sono il re e il fanciullo nudo.
(9) «O peccatore pensa: costei vuole morto me, che sono il suo Signore».

ART E DOSSIER N. 331
ART E DOSSIER N. 331
APRILE 2016
In questo numero: SGUARDI L'occhio nell'arte tra mito e fascinazione. STEREOTIPI Immagini d'oriente nella pittura occidentale. MITI D'OGGI Puer aeternus Murakami. LONDRA Nuove sale al V&A. IN MOSTRA Piero della Francesca a Forlì, Correggio e Parmigianino a Roma, Severini a Mamiano, Matisse a Torino.Direttore: Philippe Daverio.