Camera con vista


SE SI ATTIVANOI NEURONI SCHERMO

di Luca Antoccia

Cosa vediamo e soprattutto come vediamo? Il cinema pone in maniera empirica, fin dal suo apparire, questa domanda che oggi riceve risposte scientifiche dalle neuroscienze, sempre più interessate al tema dopo la scoperta dei “neuroni specchio”. È il caso di Vittorio Gallese e Michele Guerra che in Lo schermo empatico, Cinema e neuroscienze (Raffaello Cortina, 2015) applicano alle arti visive e in particolare al cinema quanto già emerso in So quel che fai di Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia (2006). Vediamo più con gli occhi, con il tatto o con il cervello? Gallese e Guerra portano prove di laboratorio svolte con spettatori-cavie cui sono stati applicati gli elettrodi dell’elettroencefalogramma. Perché rivediamo con emozione i film di Hitchcock pur conoscendone già trama e finale? Perché nella celebre ripresa con camera a mano (“steadycam”) dietro al triciclo in Shining di Kubrick percepiamo un qualcosa di umano e insieme di soprannaturale? I movimenti di macchina attivano i neuroni motori e specchio che in pratica sono gli stessi che si attiverebbero se l’azione la compissimo in prima persona (simulazione incarnata). Dimostrazione: un attore che in laboratorio afferra una tazzina risulta molto più coinvolgente su base neurale se la ripresa non è fissa o con zoom ma usa un carrello in avanti, meglio ancora una steadycam, che riproduce più da vicino il passo umano. Molte delle “cavie” non sapevano però discriminare tra i due movimenti - cioè una carrellata con cinepresa montata su rotaia come nel cinema classico e invece la steadycam in cui la stessa è solidale al corpo in moto dell’operatore -, il loro cervello sì. Dunque vediamo con il cervello più che con gli occhi, conferma sperimentale di quanto già espresso da Paola Bressan nel prezioso Il colore della luna. Come vediamo e perché (2007). La scoperta di questo potere emozionale garantito dai movimenti di macchina porterà a un abuso di questa tecnica e stile? Basta del resto guardare su internet quanti filmati girati con le cosiddette “action cam” garantiscono immersioni adrenaliniche nei più svariati contesti. Ma è la riflessione finale sul primo piano che apre una strada più interessante in cui di nuovo cinema e pittura si trovano alleati in una sorta di riappropriazione tattile della vista, quella “haptic visuality” - percezione aptica, cioè riconoscimento attraverso il tatto -, qui studiata nei corti di Jan Švankmajer come nei più consapevoli prodotti di animazione digitale (Toy Story), la cui attenzione alla “texture” e alla materialità del frame ricorda Paul Klee (in Teoria della forma e della figurazione) quando invitava a “brucare” la superficie delle immagini per un’efficace lettura di un quadro.


Una scena di Shining (1980), di Stanley Kubrick;


Un frame di Buio, luce, buio, di Jan Švankmajer (1989).

ART E DOSSIER N. 329
ART E DOSSIER N. 329
FEBBRAIO 2016
In questo numero: LA PAROLA E LE ARTI Dagli ipertesti medievali ai calligrammi, dal lettrismo a Boetti. BOSCH 500 Gli eventi del quinto centenario del più visionario tra i pittori. IN MOSTRA Hayez, Fattori.Direttore: Philippe Daverio