«Et fu onorato
da’ poEti con molti vErsi»

Luca Signorelli da Cortona (1450 circa - 1523) è uno dei protagonisti più longevi e produttivi del Rinascimento.

Intellettualmente vivace, dal temperamento irrequieto e girovago(1), nella sua ricerca giunge a ideare vigorose figure, dense di vitalità drammatica, dall’intenso dinamismo scultoreo. Dalle premesse pierfrancescane passa alle tensioni lineari apprese frequentando la bottega del Verrocchio. Guarda attentamente tutte le novità aggiornate della ricerca artistica degli ultimi tre decenni del Quattrocento, in particolare la produzione dei Pollaiolo e di Benedetto da Maiano, con un occhio di riguardo anche verso la pittura fiamminga giunta a Firenze. Lavora accanto a Perugino e a Bartolomeo della Gatta sui ponteggi della Sistina - a quell’esperienza romana partecipano anche Botticelli, Ghirlandaio, Rosselli e Pintoricchio - e a Francesco di Giorgio Martini nella chiesa di Sant’Agostino a Siena. Sollecitato dalle ricerche formali dei colleghi, affina nel tempo un suo stile personale, tanto da essere “studiato” a sua volta da due giganti della generazione successiva: Raffaello(2) e Michelangelo(3). Claire van Cleave sostiene che per capire profondamente i nudi monumentali di Michelangelo è necessario prima «apprezzare le anticipazioni tecniche di Signorelli disegnatore e comprendere quanto sia radicalmente diverso dai suoi contemporanei. I suoi disegni sono sicuri, raramente esitanti, i personaggi hanno volume, comunicano movimento e sono disposti correttamente nello spazio»(4).

La novità delle sue soluzioni formali risiede soprattutto nella rappresentazione del nudo, nella carica di energia e nella tensione dei muscoli, poco comuni per l’epoca, attestando il forte interesse per l’anatomia e insieme una conoscenza diretta delle sculture classiche e delle opere antiche. Lo «spirto pelegrino» di Luca - secondo la definizione di Giovanni Santi, padre di Raffaello - porta a modificare e rifinire spesso i progetti e i disegni preparatori, anche dopo aver iniziato a dipingere. Innumerevoli pentimenti sono stati individuati attraverso gli esami tecnici (radiografie e foto agli infrarossi) delle sue opere, con cambiamenti di personaggi, pose, atteggiamenti e colori(5). Questa inguaribile insoddisfazione gli permette di inventare disposizioni delle figure e tipologie inedite, diventando un riferimento importante per il percorso evolutivo dell’arte: «Porremo fine alla seconda parte di queste vite, terminando in Luca come in quella persona che col fondamento del disegno e degli ignudi particolarmente, e con la grazia della invenzione e disposizione delle storie, aperse alla maggior parte degli artefici la via all’ultima perfezione dell’arte alla quale poi poterono dar cima quelli che seguirono»(6).

Luca Pacioli, nel 1494, attesta che il «degno discipulo» di Piero della Francesca acquisisce dal maestro una profonda conoscenza delle nozioni prospettico-matematiche, fondamentali per aumentare il senso del movimento nella creazione delle sue figure dinamiche, con una notevole padronanza nella tecnica dello scorcio(7). Paolo Cortesi, nel De Cardinalatu (1510), lo elogia come un artista sobrio nel dipingere e nell’imitare la natura(8). Ma la fortuna postuma di Signorelli si deve principalmente a Giorgio Vasari, che, nelle due edizioni delle Vite (1550 e 1568), lo esalta con un peana: «Pittore eccellente […] fu nei suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio, quanto nessun altro in qualsiasi voglia tempo sia stato giammai. […] Nell’opere che fece di pitture mostrò il modo di fare gl’ignudi, e che si possono, sebbene con arte e difficoltà, far parere vivi». L’enfasi del giudizio di Vasari condiziona la maggior parte della critica del XVII secolo; in un’epoca in cui gli eruditi mostrano scarso apprezzamento per la pittura quattrocentesca, Signorelli viene salvato e considerato un pittore diligente. La riscoperta critica fiorisce nel Settecento, soprattutto per merito degli eruditi locali italiani. Nel 1808, Luigi Lanzi coglie l’abilità del cortonese nella resa anatomica delle figure, ma si sofferma a mostrare la scelta inadeguata delle forme, la maniera secca, le debolezze nel colorito, e una disomogeneità qualitativa della sua produzione. Via via vengono rilevati nell’Ottocento e nel Novecento diversi punti di vista, che analizzano sia i punti deboli sia le soluzioni formali riuscite.


Luca Signorelli, Bartolomeo della Gatta e pittore peruginesco, Testamento e morte di Mosè (1482-1483)

Robert Vischer, nel 1879, scorge un aspetto interessante: «La natura dualistica del Rinascimento raggiunse nel Signorelli un rilievo insolito […], con singolare intensità egli gioca da vero artista con contrasti a stento conciliabili; li media secondo che vuole o può e passa spregiudicatamente da un estremo all’altro. Si mostra devoto e profano»(9). Bernard Berenson, nel 1897, apprezza il «valore tonico dei suoi nudi », il suo «senso formale che è il nostro senso formale», e lo considera un «abile illustratore moderno»(10). Cavalcaselle e Crowe, nel 1898, elogiano la «straordinaria energia»(11) nelle opere riuscite del cortonese, cogliendo, nel momento centrale della sua attività, «la sua indole veemente e appassionata». E questo è il giudizio predominante degli studiosi della prima metà del Novecento. Quasi tutti i commenti lusinghieri sull’opera di Signorelli vengono smontati da diversi autorevoli studiosi nel 1953, soprattutto da Roberto Longhi e Alberto Martini, con strali molto appuntiti scagliati sulla mostra celebrativa organizzata a Cortona e a Firenze(12). La produzione estesa e copiosa viene sottoposta a un’analisi severa e a una revisione estremamente feroce. Il dito è puntato sulle arguzie inventive di Signorelli, il quale, affidandosi molto all’aiuto di allievi e di artifici tecnici non sempre originali, punta solo a stupire l’osservatore per mezzo di una teatralità resa con un disegno accademico e un chiaroscuro convenzionale. Secondo Alberto Martini è colpevole di aver ideato e dipinto «un uomo tutto senso e fisicità, superbo dei suoi muscoli dilatati, schematico nella sua passività pseudo-epica»(13). Tiziana Biganti, invece, evidenzia il contributo fondamentale dato dal cortonese alla pittura rinascimentale, dove l’uomo viene esaltato nella sua integrità morale, e la sua essenza plastica rappresenta la perfetta fusione tra civiltà classica e cristiana(14).

Negli affreschi di Monteoliveto (Siena), la studiosa rileva gli «abili espedienti prospettico- illusionistici, applicati alle architetture con gusto scenografico, associati all’esasperato realismo delle figure umane ». Enzo Carli coglie l’accento poetico dei personaggi disposti in una simultaneità degli episodi narrati, come nei sistemi compositivi degli affreschi della Sistina, e individua «una limpida e disciplinata equivalenza focale di ciascun episodio e di ciascuna figura»(15). Dalla monografia di Pietro Scarpellini(16) in avanti, soprattutto nella revisione critica di studiosi anglosassoni(17), si è cercato di analizzare l’opera del cortonese andando oltre i pregiudizi e i condizionamenti ideologici. A conclusione del quadro storiografico si delineano la complessità e la divergenza di giudizi su un artista che raggiunge la fama in età matura, nei primi anni del nono decennio del Quattrocento, quando gli vengono commissionati importanti lavori dalla corte papale, da Firenze, da Monteoliveto e da Orvieto. In sintesi la sua complessa e articolata produzione pittorica parte da una totale adesione ai modelli all’avanguardia, attinge agli esiti più aggiornati della pittura fiorentina del secondo Quattrocento, si emancipa progressivamente elaborando uno stile personale moderno e di grande rilievo. Nell’ultimo periodo della sua ricerca finisce per passare in secondo piano, di fronte all’affermazione dei fuoriclasse e dei pittori più aggiornati, costretto a soddisfare le richieste conservatrici della committenza attardata di provincia.

(1) Giovanni Santi, il padre di Raffaello, nella Cronaca rimata (1492) scritta in onore di Federico di Montefeltro, definisce l’artista cortonese uno dei più importanti pittori italiani dell’epoca, «de ingegno et spirto pelegrino», sottolineando l’ingegnosità e la rarità delle sue invenzioni pittoriche.

(2) Si veda T. Henry, C. Plazzotta, Raphael from Urbino to Rome, in Raphael from Urbino to Rome, a cura di H. Chapman, T. Henry, C. Plazzotta, Londra 2004, pp. 20-23.

(3) È Vasari il primo che considera il cortonese come l’immediato precursore di Michelangelo. Per Borghini (1584, p. 365), Signorelli «fu il primo, che mostrasse il vero modo di far gli ignudi», tanto da essere preso come riferimento dal Buonarroti.

(4) C. van Cleave, Signorelli disegnatore, in Luca Signorelli, catalogo della mostra (Perugia-Orvieto-Città di Castello, 21 aprile - 26 agosto 2012), Cinisello Balsamo 2012, p. 122.

(5) T. Henry, The Life and Art of Luca Signorelli, Londra 2012, pp.101-103.

(6) G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze 1966-1987, III, p. 642.

(7) L. Pacioli, Summa de Arithmetria, geometria, proportioni & proportionalità, Venezia 1494, c. 2r. Cfr. G. Mancini, Vita di Luca Signorelli, Firenze 1903, p. 11.

(8) «Lucae cortonensi homini in pingendo frugi et naturam verecundi imitanti».

(9) R. Vischer, Luca Signorelli und die Italiänische Renaissance, eine Kunsthistorische Monographie, Lipsia 1879, pp. 161-162.

(10) B. Berenson, Pitture italiane del Rinascimento, Milano 1936, pp. 143-146.

(11) G. B. Cavalcaselle, J. A. Crowe, Storia della pittura in Italia: dal secolo II al secolo XVI, vol. VIII: Benozzo Gozzoli e i suoi discepoli, Cosimo Rosselli, Piero della Francesca, Melozzo da Forlì, Marco Palmezzano, Giovanni Santi, Luca Signorelli e i suoi discepoli, Don Bartolomeo della Gatta e i suoi discepoli, Firenze 1898, p. 474.

(12) Federico Zeri rivela che «Longhi era solito stabilire un inscindibile rapporto tra gli artisti anche sommi e coloro che li studiavano» e, molto spesso, «riversava l’antipatia che provava per certi storici dell’arte sull’oggetto delle loro ricerche» (F. Zeri, Confesso che ho sbagliato. Ricordi autobiografici, Milano 1995, p. 51), tanto da demolire Tiepolo perché studiato da Antonio Morassi, che «gli era odioso», a sottovalutare Tintoretto perché studiato dal «nemico» Luigi Coletti, e Signorelli perché studiato dalla «bestia nera» Mario Salmi, ovvero il promotore della mostra del 1953.

(13) A. Martini, Mostra di Luca Signorelli, in “Paragone”, 45, 1953, pp. 53-56. Dalla dura critica di Martini vengono esclusi solo la Pala Vagnucci, la Sacra famiglia Pallavicini e il Regno di Pan, dotati di una eccellente «sigla poetica, scaturente dal calibrato rapporto linea-massa-luce».

(14) T. Biganti, Omaggio a Signorelli, Perugia 2005, pp. 7-10.

(15) E. Carli, L’Abbazia di Monteoliveto, Milano 1962, p. 48.

(16) P. Scarpellini, Luca Signorelli, Milano 1964, pp. 38-47.

(17) Cfr. L. Kanter, G. Testa, T. Henry, Luca Signorelli, Milano 2001.

SIGNORELLI
SIGNORELLI
Mauro Zanchi
Un dossier dedicato a Luca Signorelli (Cortona, 1445 circa - Cortona, 16 ottobre 1523). In sommario: ''Et fu onorato da' poeti con molti versi''; ''Destò l'animo a tutti quelli che sono stati dopo di lui''; ''Michelagnolo imitò l'andar di Luca, come può vedere ognuno''; ''Il Cielo si allargò molto in dargli delle sue grazie''. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.