«Destò l’animo a
tutti quelli che
sono stati Dopo Di lui»

Dalla seconda metà degli anni Sessanta, Signorelli svolge il suo apprendistato al seguito di Piero della Francesca, realizzando diverse opere che purtroppo non sono giunte fino al nostro tempo(18).

I quadri attribuiti precedenti al 1480 lasciano aperti molti dubbi e incognite. Nella primavera del 1482, giunge a Roma assieme a Bartolomeo della Gatta, coinvolto da Perugino per completare gli ultimi affreschi della Cappella sistina. La mano del cortonese è stata riconosciuta in alcune figure di apostoli nella Consegna delle chiavi e nel gruppo di personaggi che compaiono al centro e nel lato destro del Testamento e morte di Mosè(19). Il percorso nella prima fase dell’attività si realizza nel ciclo di affreschi dipinto nella ottagonale sacrestia di San Giovanni (o della Cura) della basilica di Loreto, commissionato da Girolamo Basso della Rovere(20) (nipote di Sisto IV), che dal 1476 è vescovo di Recanati e Loreto(21). Negli otto spicchi triangolari della cupola scompartita da costoloni, Signorelli raffigura i quattro evangelisti e i quattro dottori della Chiesa, tutti seduti entro ovali di luce raggiante. Sopra ogni santo v’è una nube che sorregge un angelo musicante, come se il cielo fosse a disposizione dei fedeli, invitati a partecipare a un concerto modulato sulle armonie delle sfere celesti. Sulle pareti della sacrestia vi sono le scene dell’Incredulità di san Tommaso, della Conversione di san Paolo, e dieci apostoli, descritti con una serie di vocaboli pittorici e stilistici derivati da Bartolomeo della Gatta e dalle suggestioni tratte dalla scultura fiorentina. Eloquente è la scelta iconografica - e l’atteggiamento dei personaggi - dell’Incredulità di san Tommaso, molto vicina alla scultura dal medesimo soggetto realizzata, tra il 1466 e il 1483, da Andrea del Verrocchio per la chiesa di Orsanmichele a Firenze.


Coppia di apostoli (1480 circa); Loreto (Ancona), santuario della Santa casa.


Andrea del Verrocchio, Incredulità di san Tommaso (1466-1483); Firenze, museo di Orsanmichele.

Incredulità di san Tommaso (1480 circa); Loreto (Ancona), santuario della Santa casa. Una delle doti riconosciute a Luca Signorelli è la capacità di raccogliere e rielaborare, facendoli propri, elementi e linguaggi provenienti dal lavoro e dall’esperienza dei suoi colleghi. In questo caso è evidente il legame tra la sua Incredulità di san Tommaso e quella del Verrocchio.

Flagellazione (1484-1485 circa), verso dello Stendardo di Fabriano; Milano, Pinacoteca di Brera.

La più antica opera firmata, eseguita al ritorno dal suo soggiorno romano, è la Flagellazione (1484-1485 circa)(22) della Pinacoteca di Brera. L’artista rielabora a suo modo le lezioni di Piero della Francesca e di Verrocchio, inaugurando una tipologia di raffinata teatralità, con individui che esprimono la loro enfasi per mezzo di movenze coreografiche. Un momento drammatico tradotto in balletto, dove i corpi nudi sono resi con contorni anatomici dinamici, rielaborati dalle figure estremamente scattanti ideate da Antonio Pollaiolo. La parola «LUCE»(23), posta sullo stipite della soglia, sullo sfondo, arricchisce ulteriormente l’intento di rappresentare anche un rimando a un percorso iniziatico, alla ricerca della sostanza luminosa emanata dalla divinità. Il significato è connesso all’immagine di Cristo legato alla colonna, sopra cui si staglia la statua di una divinità pagana, come nella Flagellazione (1470 circa) di Piero della Francesca, dove Apollo-sole emana una luce intensa, visibile chiaramente sul cassettone dell’aula, proprio sopra la colonna dove viene frustato il figlio di Dio. Gesù, negli ambienti neoplatonici del Quattrocento, incarna lo stesso significato legato al Dio sole. Nella versione del cortonese, però, la statua della divinità pagana è annerita, e in primo piano la scena della tortura pare una danza messa in atto più per far risaltare il tono muscolare dei corpi seminudi che per evidenziare il dolore del Dio fatto uomo. Pilato è reso in maniera caricaturale. È descritto sopra un trono rialzato che pare senza seduta, completamente distratto, col volto ebete di un uomo di potere intento a giocare con la sua verga del comando. Ha una catena aurea come segno regale degli iniziati, ma è incapace di vedere il portatore della luce - ovvero, colui che si porterà sulle spalle il peso dell’umanità - che sta a poca distanza dal suo trono. Sulla parete che fa da quinta, intanto, due telamoni nudi sorreggono il soffitto dell’architettura di matrice pagana.


Piero della Francesca, Flagellazione (1470 circa), particolare; Urbino, Galleria nazionale delle Marche.

(18) Vasari testimonia che diverse opere sono state realizzate ad Arezzo. Si veda G. Vasari, op. cit., III, p. 634.

(19) Si vedano: A. Nesselrath, The Painters of Lorenzo the Magnificent in the Chapel of Pope Sixtus IV in Rome, in The Fifteenth Century Frescoes in the Sistine Chapel, a cura di F. Buranelli, A. Duston, Città del Vaticano 2003, pp. 56-57; id., Vaticano. La Cappella Sistina. Il Quattrocento, Milano 2003, pp. 16-20; C. Martelli, Luca Signorelli dalla Cappella Sistina a Loreto, in Luca Signorelli, catalogo della mostra, op. cit., pp. 59-71.

(20) Il suo stemma è posto al centro della volta.

(21) Cfr. P. Gianuizzi, Le pitture di Luca Signorelli in Loreto, Cortona 1903, pp. 5-7; G. De Caro, ad vocem Basso della Rovere, Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 7, Roma 1965, pp. 152-153; F. Grimaldi, La historia della chiesa di Santa Maria de Loreto, Loreto 1993, pp. 154 sgg.

(22) La Flagellazione è parte dello stendardo processionale a due facce (segno opistografo) commissionato a Fabriano dalla confraternita dei Raccomandati di Santa Maria del Mercato. Antonio Paolucci (I protagonisti dell’arte italiana. Pittori del Rinascimento, Firenze 2004, p. 249) rileva che in quest’opera l’artista cortonese esprime un’originale rielaborazione della lezione di Piero della Francesca, con suggestioni tratte da Francesco di Giorgio Martini e da Giusto di Gand, inaugurando una spregiudicata teatralità tipica della sua produzione migliore.

(23) Signorelli firma la tavola con l’iscrizione: «OPUS LUCE CORTONENSIS». Isolata dal primo significato legato al nome Luca di Cortona, la parola “luce”, associata a Cristo, può essere letta come ablativo di “lux”.

Madonna del latte (1484-1485 circa), recto dello Stendardo di Fabriano; Milano, Pinacoteca di Brera.


Pietro Perugino e Luca Signorelli, Crocifissione e santi (1483-1485 circa); Firenze, Galleria degli Uffizi.

La Madonna del latte (1484-1485 circa) era in origine il recto dello Stendardo di Fabriano, presenza iconica utilizzata nei cortei processionali, allusiva alla professione di fede delle oblate dedite all’assistenza dei bambini abbandonati. A livello stilistico e iconologico la Vergine è resa con una monumentalità e nitidezza geometrica di sapore pierfrancescano, vicina ai tipi femminili di Bartolomeo della Gatta, solenne e umana al contempo. Il suo incarnato dalla compattezza smaltata è rischiarato da una luce fredda e mattutina.

Il panneggio è lumeggiato con la tecnica della puntinatura aurea, una delle cifre stilistiche del pittore cortonese, maturata sui ponteggi della Cappella sistina. Entro una monocroma mandorla mistica popolata da dieci cherubini, Cristo Bambino è colto mentre preme con le manine il seno della madre per far schizzare il latte dal capezzolo. In questo gesto, ludico e simbolico al contempo, il figlio di Dio crea una via lattea all’interno di una dimensione aurea. Guarda in direzione del fruitore, attirando la sua attenzione e cercando la sua complicità.
La grande Pala di sant’Onofrio (1484), commissionata dal vescovo Jacopo Vagnucci(24) per il duomo di Perugia, è una mirabile sintesi di tutte le esperienze pittorico-stilistiche assimilate negli anni Settanta da Signorelli. È un esempio del buon riuso iconografico, dell’accostamento di cose viste nelle opere di altri artisti coevi, in un nuovo montaggio(25): «ma non sono inserti di una cultura orecchiata; sono consonanze e riflessi di una situazione mentale ormai ben chiarita e che si risolvono in autentica personalità singolare»(26). Il trono richiama modelli ferraresi, veneziani e padovani: Lorenzo ricorda santi presenti in opere di Filippo Lippi e Donatello; il Battista e sant’Onofrio(27) sono perugineschi; l’angelo musico è botticelliano.

(24) Il vescovo cortonese, conterraneo dell’artista, muore nel 1487 a settantuno anni. Secondo Mancini, che ne scrive nel 1903 (G. Mancini, op. cit.), il volto di Ercolano è da leggere come ritratto di Jacopo Vagnucci. Il committente è raffigurato senza aureola e senza gli attributi del “defensor civitatis”. Sant’Onofrio è il protettore dei tintori di lana, nume tutelare della famiglia Vagnucci. 

(25) In questa opera di «solenne grandiosità», Scarpellini, nella sua monografia del 1964 (P. Scarpellini, op. cit.), rileva come l’artista cortonese, attraverso una serie di incastri, «monta insieme pezzo a pezzo brani diversamente pensati e di disparata provenienza», con citazioni disinvolte di Donatello, Piero della Francesca, Verrocchio, Antonio Pollaiolo, Botticelli, Perugino, con forti suggestioni fiamminghe.

(26) U. Baldini, Luca Signorelli, Milano 1966, p. 4.

(27) Si veda l’analoga descrizione della testa di san Girolamo nella Crocifissione e santi di Perugino, ora agli Uffizi.

A sinistra sono raffigurati santi eremiti, e a destra santi prelati, ovvero i martiri Lorenzo ed Ercolano, compatroni di Perugia. La disposizione nello spazio dei santi pare suggerire la forma di due colonne che sorreggono un’architettura immaginaria, enfatizzata ulteriormente dall’arco posto sopra la Madonna in trono. Il paesaggio dello sfondo è ridotto ai minimi termini, un accenno, perché tutto in primo piano diventi un interrogativo esistenziale. E se tutto diventa tema su cui soffermarsi, lo sfondo quasi sparisce. Nella pala è esaltato il pulviscolo sottile di una luce albale, che rischiara la scena di gruppo in esterno. Ogni partecipante modula la propria posa entro il canovaccio di una sacra conversazione silente. Nessuno profferisce parola alcuna. Semmai tutto quello che accade o che deve accadere è solo pensato, letto, rimandato. Siamo dinanzi al momento prima di una messa in scena. L’angelo sta accordando il liuto, i santi ripassano la loro parte. Si intuiscono sospiri, messaggi immateriali, sommovimenti di spirito, impulsi trattenuti. Tra anima intellettiva e anima sensitiva, tra occhi e bocca chiusa, una leggerezza pensosa scorre di corpo in corpo, in un giorno estatico, dove ognuno non è ignaro dei colori, dei profumi, dei suoni, anche se pare assorto in altre occupazioni. È come se l’artista cercasse di raffigurare persone con l’idea dell’eterno al posto del viso, ma intanto qualcosa di molto sensuale freme e formicola, e la pittura si sofferma a enfatizzare la distribuzione luministica, la preziosità del piviale, della dalmatica, delle stoffe, della mitria, delle decorazioni. Il loro silenzio eloquente si solleva sulla pesantezza delle cose mondane: la leggerezza di ciò che non viene detto è il segreto supremo, come fosse luce che trapassa nel vaso di vetro, nell’acqua che tiene ancora in vita i fiori recisi, che prolunga l’immagine della loro bellezza caduca. La chiave per comprendere la grandezza di quest’opera sta proprio nella presenza dei due bicchieri diafani contenenti acqua e fiori - si pensi al significato del termine “still life”, piuttosto che quello della “natura morta” - in dialogo con le loro ombre, in un’atmosfera di sospesa metafisica concreta. Ed è in quell’incontro semplice, tra estremo realismo (richiamando alla memoria dettagli naturalistici presenti nel Trittico Portinari(28) di Hugo van der Goes, descritti con attenzione lenticolare) e apertura metafisica, che si mostra l’assoluto singolare. Tra i due bicchieri c’è uno spazio di tempo che può variare da alcuni secondi ad alcuni secoli. Intanto l’aria del cielo è percorsa da due minuscoli angeli sospesi in un “non tempo”. Si percepisce lo sventolio delle loro vesti. Sembra un nonnulla, ma in realtà svela la poetica sottile del pittore cortonese. La Natività di Giovanni Battista (1484 circa) presenta affinità stilistiche con la Pala Vagnucci. Probabilmente è parte della sua predella figurata, come si evince dal punto di vista ribassato della scena. Era posta accanto a un’epigrafe del 1484 scritta «a lettere d’oro maiuscole», nel lato sinistro, mentre a destra era collocata la scena del Martirio di san Lorenzo(29).


Studio per il sant’Ercolano della Pala di sant’Onofrio (1483-1484); Londra, British Museum, Department of Prints and Drawings.

Di grande maestria è la resa della luce, quasi una proiezione mentale, arrembante da sinistra, che colpisce i personaggi con notevoli effetti di bagliore soffuso, in una scena costruita in superficie come se fosse la traduzione pittorica di un fregio del Verrocchio, come la Decollazione del Battista di Firenze(30). L’uomo che irrompe nella stanza guarda, esitante, con la mano ancora sul battente, si lascia alle spalle una luce intensa ed entra in un’altra dimensione, quella dei santi cristiani. Signorelli lo descrive con una capigliatura che pare di fiammelle rosse, come fosse una divinità pagana che, incuriosita, vuole mettere il naso nella nuova era dei santi resi immortali dalla loro fede. Questo sottile dettaglio, non esplicitamente dichiarato, esemplifica una sensibilità di stampo neoplatonico: la luce della tradizione mitologica e filosofica greca entra nella stanza in cui sta nascendo colui che battezzerà il nuovo sole cristico.


Natività di Giovanni Battista (1484 circa); Parigi, Musée du Louvre.

Questa luce, antica e sapienziale, travasa il suo afflato spirituale nell’illuminazione interna della camera da letto, andando a enfatizzare le figure che animano la scena. La forza avanguardistica di quest’opera sta proprio nelle incoerenze luministiche e prospettiche, nel punto di vista molto ribassato, negli scarti dimensionali dei personaggi. Le ombre portate vanno in direzioni diverse. Da un lato giunge una luce mitologica. Dall’altro lato spiccano le figure monumentali di una levatrice che armeggia con bacili e il muto Gioacchino, il quale scrive sul foglio ciò che non riesce a esprimere con la voce.

La Madonna Medici (1485-1490 circa) degli Uffizi è inquadrata come se si scorgessero le immagini da un oculo di una parete marmorea, sopra cui sono scolpiti il busto del patrono di Firenze e due profeti assisi, intenti a scrivere su cartigli: san Giovanni Battista è contenuto in una valva sostenuta da ali, poste al di sopra di una targa con la scritta «ECCE AGNIUS DEI»; i profeti sono stati individuati nelle figure di Isaia e Michea, ovvero gli esegeti che formulano nei loro scritti la profezia messianica(31). La scelta di inquadrare la scena da un’apertura circolare apre a un intento concettuale, strettamente correlato al tempio rotondo che si scorge sullo sfondo, oltre un arco naturale formatosi nelle rocce. La rotonda rappresenta una congiunzione ideale fra i templi romani dedicati a Ercole vincitore(32) e un battistero cristiano, luogo della promessa di resurrezione. In questa terra di mezzo, probabilmente un’isola delimitata da corsi d’acqua, animano la scena quattro giovani seminudi e un cavallo bianco al pascolo.


Michelangelo, Tondo Doni (1503-1504 circa); Firenze, Galleria degli Uffizi.


Madonna col Bambino (1490-1492 circa); Monaco di Baviera, Alte Pinakothek.


Madonna Medici (1485-1490 circa); Firenze, Galleria degli Uffizi.

(28) Il Trittico giunge a Firenze nel 1483. 

(29) Cfr. T. Henry, Tavole e catalogo, in L. Kanter, G. Testa, T. Henry, op. cit., Milano 2001, p. 104; R. Caracciolo, Iacopo Vagnucci: vescovo e committente d’arte nel secondo Quattrocento, Perugia 2008, pp. 99-102. 

(30) Cfr. L. Kanter, G. Testa, T. Henry, op. cit., p. 19.

(31) Isaia 7, 14-15; Michea 5, 1-13. Cfr. A. Natali, La Bibbia in bottega. Le scritture, l’antico, l’occasione, Firenze 1991, p. 97. Non è chiaro come mai il pittore abbia scritto erroneamente la parola «AGNUS».

(32) I resti del tempio dedicato a Ercole invitto, che custodiva l’Ara Maxima, erano ancora visibili quando Signorelli soggiornava a Roma.

Sono uomini in attesa di essere battezzati dal figlio di Dio per la vita eterna, nella perfezione geometrica e simbolica allusa dal cerchio? Signorelli lascia intravedere alle spalle della Madonna sia una dimensione arcadica sia un riferimento a una tradizione pagana decaduta (dove la natura si impossessa delle rovine). Una natura rigogliosa è esibita in primo piano con numerose varietà di fiori, per collocare i due soggetti principali in un “hortus conclusus” di origine edenica. Dato che la tavola era collocata nella casa di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, nella stessa camera dove erano appesi anche Pallade e il centauro e la Primavera di Botticelli, è ipotizzabile una lettura neoplatonica, particolarmente cara alla sensibilità del committente. La critica ha individuato la Madonna Medici come riferimento diretto utilizzato da Michelangelo (amico di Lorenzo di Pierfrancesco) al momento di realizzare il Tondo Doni, anch’esso con figure di uomini nudi in secondo piano, strettamente legate a riferimenti battesimali(33). Pure nel tondo conservato all’Alte Pinakothek di Monaco, la Madonna col Bambino (1490 circa), è presente un uomo nudo, descritto mentre si sta togliendo un sandalo, assiso nelle vicinanze di un fiume, probabilmente in attesa di essere purificato dall’acqua salvifica. Per questa figura - in posizione analoga ma rovesciata compare anche nel frammento della Pala Bichi, Due giovani nudi (1488-1489), custodito nel Toledo Museum of Art, nell’Ohio - Signorelli si avvale di un disegno, eseguito durante il suo soggiorno romano, del famoso Spinario, donato da papa Sisto IV nel 1471 al popolo romano (ora nei Musei capitolini). Due uomini seminudi e una rovina dell’architettura romana, sacrificata alla prolificazione di erbe e piante, sono posti in secondo piano anche nel Ritratto di uomo. Nel quadro conservato negli Staatliche Museen di Berlino è raffigurato un umanista che si figura un viaggio nel tempo, come se fosse possibile proiettarsi in un’Arcadia letta sui libri, per vedere con i propri occhi i prodigi di una civiltà proveniente dall’Età dell’oro.


Ritratto di uomo (1485-1490); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

Come in altri paesaggi che fanno da sfondo ai soggetti principali, anche in questo capolavoro della ritrattistica rinascimentale Signorelli costruisce partiture di classica eleganza, con colte e fantastiche rivisitazioni dell’antico, con soluzioni che rivolgono l’artificio in verità poetica. Il personaggio canuto porta, sull’abito rosso, una stola nera, segno della “auctoritas” nella civiltà rinascimentale neoplatonica(34). La descrizione fisiognomica dell’uomo è magistralmente resa nella costruzione del modellato plastico e nell’utilizzo duttile della luce, appresi da Piero della Francesca. Di fatto, le opere di questi anni testimoniano che Signorelli è stato ammesso a frequentare gli ambienti  più elitari della cultura fiorentina, i cenacoli sostenuti dai due rami della famiglia Medici, il gotha insomma della grande stagione del neoplatonismo.

Il vertice ermetico è risolto nel quadro Pan deus Arcadiae o Regno di Pan (1490 circa), una sorta di “sacra conversazione” pagana, che si apre a innumerevoli letture iconologiche. L’opera è considerata dalla critica uno dei capolavori assoluti del cortonese, sia a livello di contenuti sia sul piano stilistico e pittorico. Purtroppo la tela è stata distrutta tra il 1944 e il 1945, a causa di un bombardamento a Berlino, durante la seconda guerra mondiale.


Due giovani nudi, frammento della Pala Bichi (1488-1489); Toledo (Ohio), Museum of Art.


Nudo con corpo sulle spalle (1500-1504); Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.

Regno di Pan (1490 circa), distrutto tra il 1944 e il 1945, già a Berlino, Kaiser Friedrich Museum.


Madonna col bambino e i santi Giovanni Battista e Giuseppe (1486-1488).

(33) La presenza dell’infante Battista conferma la lettura iconologica inerente al battesimo.

(34) Marcelli riconosce nell’uomo il filosofo Cristoforo Landino, dipinto da Signorelli poco dopo l’impresa sistina, negli anni in cui il celebre umanista «aveva conquistato uno scranno nell’Olimpo della nuova Atene della civiltà fiorentina». Lo identifica sulla scorta della somiglianza con il ritratto del celebre umanista presente nell’Annuncio dell’angelo a Zaccaria dipinto da Ghirlandaio nel 1490 in Santa Maria Novella a Firenze. La lettura è intrigante, ma non mi pare che vi siano somiglianze nei tratti somatici dei due presunti ritratti di Cristoforo Landino. Si veda F. Marcelli, Il volto e il ritratto, in Luca Signorelli, catalogo della mostra, cit., Milano 2012, pp. 125-128.

La divinità con zampe caprine pare una imago pronta a farsi emblema di un criptico significato neoplatonico, pensato dagli intellettuali della corte medicea nella seconda metà del XV secolo: l’artista cortonese raffigura Pan con le corna lunari che gli aureolano la testa; ha un mantello stellato sulle spalle; è assiso su un trono roccioso, mentre regge uno scettro rustico e un flauto a canne di varie altezze, la cosiddetta “siringa” di sua invenzione. Attorno alla divinità, donne e uomini arcadici intonano suoni che si accordano con l’armonia della natura e del cielo, sorvolato da misteriose figure, che prendono forma dalla vaporosità delle nubi.

Dopo il periodo umanistico, il dettaglio delle corna lunari sul capo di Pan è diventato incomprensibile per troppa evidenza, non rivelando più il vero significato originario, ovvero che la divinità incarna il principio vitale della natura e della luce, nonché la nozione filosofica della “causa prima”.

Riprendendo testi ellenistico-romani, i circoli neoplatonici del Rinascimento considerano il dio Pan come il principio generatore del Tutto. I filosofi e gli intellettuali del XV e XVI secolo ricostruiscono il senso legato all’immagine di Pan passando attraverso Servio, nel suo Commento alle Ecloghe di Virgilio, ai Saturnali di Macrobio, attraverso le speculazioni sui miti antichi elaborate dal Medioevo al Rinascimento, seguendo le letture e le reinterpretazioni in chiave allegorica presenti nelle opere di Isidoro di Siviglia, Rabano Mauro, Alberico. Nelle Genealogie deorum gentilium, Boccaccio suggerisce due percorsi ermeneutici sulla base delle fonti a sua disposizione, intendendo Pan come immagine della natura o del sole.


Studio per la Circoncisione (1485-1490); Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen.

Anche Francesco Zorzi, nel De Harmonia mundi, lo identifica con la natura e, allo stesso tempo, con Dio, inteso come “sole soprasensibile”, secondo l’interpretazione presente in Macrobio. Platone narra che Socrate, in punto di morte, rivolge la sua ultima preghiera a Pan. È noto che il motto “Conosci te stesso”, scelto da Socrate per sintetizzare il nocciolo della sua ricerca filosofica, era inciso sul tempio di Delfi, dedicato ad Apollo, altro dio greco legato all’immagine del sole. Le dotte disquisizioni su Pan di Poliziano, di Cristoforo Landino, di Pico della Mirandola, di Marsilio Ficino sono imprescindibili per comprendere correttamente i significati allusi da Signorelli nel dipinto commissionatogli da Lorenzo il Magnifico.

Anche la Circoncisione di Londra viene realizzata attorno al 1490. Entro un nicchione bramantesco, la scena drammatica è sviluppata in maniera teatrale, dove non vi sono né sostantivi né verbi a descrivere i fenomeni che stanno accadendo. La lusinghiera consapevolezza dei santi rappresentati - certi di essere stati scelti da Dio per essere testimoni di un evento sovrannaturale e terreno al contempo - conta nella composizione dell’opera tanto quanto la policromia dei marmi della facciata e del pavimento. In attesa che il sangue cada dal prepuzio di Dio nella bacinella posta a terra, si cerca di comprendere con lo sguardo silente, con la preghiera o con la gestualità. Intanto una lieve brezza sommuove le pagine del libro e un rotolo (benda medica o filatterio della stessa natura di quello tenuto dai profeti nei tondi della scenografia) sta posato, in equilibrio, contro il bordo della bacinella. L’eloquenza delle cose e delle ombre sul pavimento multicolore cerca di esprimere l’apparizione del meraviglioso. Gli uomini e le donne manifestano o descrivono le rivelazioni fulminee e il loro stato di posseduti da Dio. Ma gli atteggiamenti dei santi, la loro attitudine al bene, sono solo linguaggi comprimari di un’orchestrazione coloristica, come dire che lo spirituale viene evocato con più efficacia per mezzo della bellezza cristallizzata nelle pietre, nei marmi, nei materiali dei tessuti, nella voce della luce.


Studio per la testa di san Simeone nella Circoncisione (1485-1490); Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen.

Circoncisione (1490 circa); Londra, National Gallery.


Annunciazione (1491 circa); Volterra, Pinacoteca civica.

Signorelli ci pone davanti agli occhi la scienza esatta di una visione, che è una visione pittorica e luministica. L’atto della circoncisione di Cristo è proiezione di qualcos’altro, un atto da immaginare, un racconto simbolico, un rito da decifrare, come fosse una conseguenza della sacra scrittura.

Realizzata a Volterra attorno al 1491, l’Annunciazione testimonia la maturità stilistica dell’artista e la sua padronanza delle tecniche espressive. La pala è stata commissionata per l’altare maggiore dell’oratorio della confraternita della Vergine Maria. La direzione della luce è dettata dalla presenza di tre finestre della parete occidentale del luogo destinato ad accoglierla. Anche la volta dell’arcata, sotto cui è posta l’Annunciata, è simile a quella reale dell’oratorio. I personaggi sono rappresentati al confine tra una stasi assoluta, ereditata da Piero della Francesca, e il movimento dei corpi tipico di Antonio del Pollaiolo, in una sublimazione del contrasto tra moto e calma, entro cromatismi rutilanti declinati tra interni ed esterni, in una interlocuzione fra composta razionalità, virtuosismi architettonici e decorativi, e intellettualismo teorico del neoplatonismo fiorentino. Ogni personaggio sta isolato sul suo lato dell’evento. Dio, nell’immanente ovale di luce coronato da angeli, giunge dallo spazio siderale a farsi calda carezza dentro il ventre inviolato di una vergine. La sua luce freme dentro il corpo della ragazza, come un conto alla rovescia che dà avvio a una nuova e inedita dimensione del tempo. L’irruzione dell’eterno si manifesta come un sovvertimento o una rivelazione fulminea, che sommuove le sciarpe diafane portate dai due personaggi in primo piano.

L’arcangelo, appena disceso con piume di pavone nelle ali, annuncia come un rumore di visione a passo di danza. La Madonna, irrigidita sotto il porticato, prova a opporre una timida resistenza, quella spontanea dello spavento e del timore. Il libro è caduto dallo sguardo della lettura al pavimento. La volatilità dello Spirito santo viene trasportata da un circolo rosa. Si dirige nell’antro della Vergine, come uno strumento musicale nell’ombra della sua custodia. Nel bassorilievo della sovrapporta, David continua a suonare le note dell’Antico testamento. Sotto l’antenato di Cristo, un’anta è socchiusa sul buio del mistero profetico. Sta in questo sottile gioco dei dettagli la grandezza di una interessante intuizione. Avviene uno sfruttamento del potenziale semantico delle immagini, della varietà di coloriture, delle forme sintattiche, che in qualche modo cercano di conoscere un evento sovrannaturale attraverso la deformazione del reale.


Martirio di san Sebastiano (1498 circa); Città di Castello (Perugia), Pinacoteca comunale.

La pala d’altare col Martirio di san Sebastiano è realizzata attorno al 1498, per la cappella funeraria di Tommaso Brozzi nella chiesa di San Domenico a Città di Castello, probabilmente a seguito di un’epidemia di peste scoppiata in città nel 1497. Il committente ha stretti legami con la famiglia Vitelli, che governa la città e che ha a disposizione un esercito imponente. Seguendo la fonte della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, l’approccio creativo di Signorelli rilegge la storia portandola nel suo tempo, con la descrizione di una scena con arcieri e balestrieri che indossano abiti coevi, attraverso una reinterpretazione soggettiva per far scorrere nuova linfa dentro l’iconografia tradizionale. Avendo in mente la pala dal medesimo soggetto realizzata da Antonio e Piero del Pollaiolo (ora alla National Gallery di Londra), il cortonese cerca di dare un ulteriore contributo al processo evolutivo della ricerca pittorica attraverso un dinamismo più fluido nei movimenti dei personaggi. Esemplare è il soldato che carica la balestra in equilibrio su una gamba, tra le altre figure descritte sotto sforzo muscolare. Il dinamismo dell’arte di Signorelli attira l’attenzione del giovane Raffaello, il quale copia uno dei balestrieri in uno studio a penna e inchiostro, ora conservato all’Ashmolean Museum di Oxford (PII.501). Osservazione dal vero, dunque, partendo dalla suggestione di una lettura e dalla visione di un’altra opera pittorica, tra tempo presente e rievocazione. Allora può capitare che il tempo presente nella pala sia soggetto all’azione di asincronie, come a dire che la rappresentazione si svolga contemporaneamente in luoghi e tempi diversi nello spazio. Quindi le immagini di Diocleziano, riconoscibile a sinistra perché raffigurato con una corona d’alloro tra i capelli, e del prefetto Cromazio, che lo sta informando sugli atti iconoclasti di Sebastiano, sono associate ad architetture romane (un arco di trionfo e una sorta di Colosseo), che qui invece sono descritte come resti decadenti presi d’assalto dall’azione della natura e del tempo.

Nel lato destro potrebbe essere stato ritratto il committente con la sua famiglia. Originale è la resa della discesa rosacea del paesello, dove il santo viene condotto da un gruppo di soldati verso l’imperatore e il luogo dell’esecuzione, estendendo il soggetto raffigurato in primo piano verso un episodio precedente della narrazione. Intanto Dio, da un ovale di luce orizzontale portato da una nube, fa in modo che i carnefici non colpiscano con le frecce gli organi vitali del corpo flessuoso e ben tornito del santo. La figura risanata dalle ferite da frecce diviene per i cattolici un’immagine simbolica per sperare nella guarigione dal morbo della peste.

Nello stesso anno 1498 Signorelli è chiamato da Domenico Airoldi da Lecco, abate generale dell’abbazia di Monteoliveto Maggiore, per affrescare le Storie della vita di san Benedetto sulle pareti del chiostro(35). I soldati nella scena Incontro di Benedetto e Totila paiono dello stesso esercito di quelli presenti nella pala della pinacoteca di Città di Castello, abbigliati secondo la moda di quegli anni. Gli affreschi hanno una narrazione con più episodi nella stessa scena, con i personaggi che agiscono in momenti diversi. Tra la decina di affreschi realizzati da Signorelli e dalla bottega spiccano, per aderenza a un convincente realismo di eco nordica descritto in un quotidiano poetico, l’invenzione della donna che sale le scale, dell’uomo ripreso di spalle, appena fuori l’uscio di casa, e la scena del trasporto del frate morto per il crollo di un muro, che preannuncia le tipologie del trasporto di Cristo nella cappella di san Brizio e i compianti di Cortona, Matelica e Castiglion Fiorentino. I due frati ospitati fuori dal convento assaporano gli aspetti dell’intimità quotidiana, la calorosità umana negli interni di una famiglia o di una locanda, resi con puntuali ed esatte notazioni realistiche.


San Benedetto resuscita il monaco travolto dalla caduta di un muro (1497-1499); Monteoliveto (Siena), abbazia, Chiostro grande.

(35) Il ciclo di affreschi viene completato dal Sodoma.

SIGNORELLI
SIGNORELLI
Mauro Zanchi
Un dossier dedicato a Luca Signorelli (Cortona, 1445 circa - Cortona, 16 ottobre 1523). In sommario: ''Et fu onorato da' poeti con molti versi''; ''Destò l'animo a tutti quelli che sono stati dopo di lui''; ''Michelagnolo imitò l'andar di Luca, come può vedere ognuno''; ''Il Cielo si allargò molto in dargli delle sue grazie''. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.