XXI secolo
Daidō Moriyama

un cacciatore
on the road

Fin dalla sua prima comparsa nel magazine “Provoke” Moriyama rivela l’intima natura del suo temperamento artistico volto a cogliere frammenti della realtà per evocare e non per descrivere, per tradurre nelle sue memorabili fotografie in bianco e nero gli stimoli catturati girovagando tra le strade di città in continuo divenire. Prima tra tutte Tokyo.

Walter Guadagnini

èil novembre del 1968 quando a Tokyo esce il primo numero di una rivista indipendente, realizzata da un gruppo di giovani appena formatosi, i fotografi Takuma Nakahira e Yutaka Takanashi, il poeta Takahiko Okada e il critico Koji Taki: l’intenzione del giornale, chiara sin dal titolo, “Provoke”, si definisce meglio nel sottotitolo, “Materiali provocanti per il pensiero”, e si chiarisce appieno nella serie di immagini che lo compongono. Si tratta infatti di fotografie realizzate seguendo una direttiva estetica ben precisa, quella dell’“Are-Bure-Boke”, vale a dire dello “sgranato-mosso-sfocato”, un atteggiamento certo non nuovo nella storia della fotografia recente (il caso di William Klein e del suo geniale Life is Good & Good for You in New York del 1956, era noto in tutto il mondo), ma che in Giappone in questi anni assume la valenza di un autentico rifiuto di tutto ciò che appartiene al linguaggio - non solo fotografico - tradizionale. Sulla scorta della lezione del grande innovatore della fotografia giapponese del dopoguerra, Shomei Tomatsu, e in corrispondenza con i movimenti di ribellione sociale che alla fine degli anni Sessanta si diffondono in tutto il mondo, gli animatori di “Provoke” contestano alla radice la possibilità della fotografia di fornire una documentazione oggettiva della realtà, rifiutando sia la chiarezza dell’immagine, sia il suo rapporto con le didascalie esplicative che caratterizzano la stampa popolare a grande tiratura. La fotografia parla da sola e il suo linguaggio non è descrittivo ma evocativo, non è oggettivo ma soggettivo, non racconta storie ma frammenti di realtà, non cerca un senso ma evidenzia il non senso del mondo.

«La superficie esteriore che appare ai miei occhi costituisce
uno stimolo che scatena un impulso, una reazione»



Nel secondo numero del quadrimestrale fa la sua apparizione un giovane autore, Daidō Moriyama, nato nel 1938 a Ikeda, nella provincia di Osaka, nomade dapprima per ragioni familiari (il padre viene trasferito di frequente dall’azienda per cui lavora) e poi per scelta di vita, stabilitosi a Tokyo agli inizi degli anni Sessanta, lettore appassionato di On the road di Jack Kerouac, assistente di Eikoh Hosoe - figura di riferimento della fotografia giapponese del periodo - fino al 1963, autore già di un volume sul teatro contemporaneo giapponese, che ne ha rivelato l’autonomia linguistica rispetto ai modelli della fotografia documentaria allora in voga. Ma saranno proprio le due serie pubblicate in “Provoke” a far emergere la natura più autentica di Moriyama: nella prima, Eros, i corpi di due amanti in una camera d’albergo sono due apparizioni fantasmatiche, sempre fuori fuoco, o in controluce, o troppo contrastate per essere riconoscibili, corpi resi evanescenti ma al tempo stesso sensuali da tale mancanza di definizione, apparizioni a metà tra la realtà e la memoria del gesto. Nella seconda, dedicata invece a un fatto di cronaca, gli scontri tra polizia e studenti ad Aoyama (1969), filtrata attraverso le visioni dell’interno di un drugstore, appare l’altra grande protagonista dell’intera vicenda creativa dell’artista, la città - e in particolare il quartiere Shinjuku - di Tokyo, il teatro nel quale si sviluppano, in contemporanea, la vita di Moriyama e quella di tutti gli abitanti e di tutti gli oggetti che compongono il tessuto urbano. Queste due serie rivelano un grande autore, che solo tre anni dopo, nel 1972, porta a compimento quella sorta di distruzione dall’interno delle regole del linguaggio fotografico e del concetto stesso di fotografia attraverso un volume destinato a rimanere come una pietra miliare nella storia della fotografia mondiale: Shashin yo Sayonara (Addio fotografia, cara). Centotrentasette immagini, in bianco e nero, pubblicate tutte a piena pagina, quelle verticali a pagina singola, quelle orizzontali su pagina doppia, senza didascalie, compongono un viaggio che è insieme all’interno della città, all’interno della lingua, all’interno del fotografo, senza che nessuno di questi elementi sia in grado di fornire una spiegazione definitiva della propria esistenza, e tanto meno avverta il desiderio di farlo. Il fotografo è un cacciatore, come recitava il titolo di un altro suo libro sempre dello stesso anno, nel quale peraltro compare la fotografia forse più famosa di Moriyama, quella visione ravvicinata e allucinata di un cane randagio che ha finito per dare il titolo persino alla grande retrospettiva dedicatagli nel 1999 dal San Francisco Museum of Modern Art; quel cane che si aggira per la città senza una meta precisa, pronto a coglierne i frammenti di vita e di senso, che rendano visibile l’idea di città come corpo in continuo movimento e continuo mutamento che appartiene all’autore.
Come ha affermato lo stesso fotografo: «La superficie esteriore che appare ai miei occhi costituisce uno stimolo che scatena un impulso, una reazione. Io cammino per le strade della città con la macchina fotografica continuamente bombardato da questi stimoli. Con la mia macchina riesco a produrre una reazione a questa molteplicità di sollecitazioni, a rispondere». La fotografia non è una forma d’arte, non inventa nulla, ma è una copia del reale, che però a sua volta essa trasforma, lasciando lo spettatore incerto sul reale significato di ciò che sta vedendo. È un linguaggio caratterizzato da una forte ambiguità, e nelle mani di Moriyama diviene comunque, sempre, una parte dell’esperienza vitale: è per questo che nel suo addio alla fotografia appaiono anche numerose immagini letteralmente indecifrabili perché stampate da negativi rovinati, parzialmente bruciati, calpestati, dove solo un piccolo particolare suggerisce un intero ormai irriconoscibile.
Al polo opposto, si trovano le copie delle copie, le immagini di immagini - riviste, manifesti, involucri delle merci - che segnalano ulteriormente il carattere anche concettuale del volume e della ricerca di Moriyama in questi anni. Il libro, Shashin yo Sayonara, nonostante le prevedibili incomprensioni da parte della critica tradizionale, garantisce la prima vera fama al fotografo anche al di fuori del territorio giapponese, ma il carattere ultimativo di questa esperienza si riflette in qualche modo anche sulla personalità dell’artista, che scompare dalla scena per circa una decina d’anni. Quando torna, negli anni Ottanta, il suo linguaggio si sviluppa nella medesima direzione, continuando a muoversi in quella terra di tutti e di nessuno che è lo spazio urbano, cogliendone di volta in volta i differenti umori e i differenti modi di apparizione, costruendo un archivio insieme individuale e collettivo della società giapponese. Perché, come ha dichiarato Moriyama: «La fotografia in sé può essere riassunta nei termini “memoria/ commemorazione/documento” e non in “espressione/estetica”, che sono aggiunti, credo, al significato di una fotografia solo in un secondo momento».


Stray Dog (Misawa 1971).

How to Create a Beautiful Picture 6: Tights in Shimotakaido (1986).

Oct. 21, 1969 (1969-2008), Modena, Fondazione fotografia.

Provoke no. 3 (1969-2008), Modena, Fondazione fotografia.

Smash-up (1969-2008), Modena, Fondazione fotografia.

Theater (1967-2008), Modena, Fondazione fotografia.


Kariudo (Hunter) (1972-2008), Modena, Fondazione fotografia.


Colour (anni Settanta).

Moriyama in mostra
Il rivoluzionario maestro giapponese ha deciso di rendere visibile per la prima volta in Italia il suo patrimonio fotografico a colori. Alla Galleria Carla Sozzani (Milano, corso Como 10, orario 10.30-19.30, mercoledì e giovedì 10.30-21; www.galleriacarlasozzani.org) dall’8 novembre 2015 al 10 gennaio 2016 Daido in Color. Now and never more, a cura di Filippo Maggia, presenta centotrenta scatti inediti realizzati da Moriyama dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, periodo fondamentale per la sua formazione artistica lontana da convenzioni e schemi precostituiti. La stessa esposizione approderà nella primavera del 2016 alla Fondazione fotografia Modena. Catalogo Skira.

ART E DOSSIER N. 326
ART E DOSSIER N. 326
NOVEMBRE 2015
In questo numero: GIAPPONE E GIAPPONISMI Miyazaki e la pittura; La fotografia di Daido Moriyama; Packaging nipponico; Giappone e Art Nouveau. LA BARONESSA DADA Elsa, Man Ray, Duchamp e gli anni folli. IN MOSTRA Mirà e Cobra, Balla, Monet.Direttore: Philippe Daverio