XX secolo. 1
Steven Parrino

astrazione
zombie

L’essenzialità della monocromia nera in Parrino diventa manifestazione estrema di disagio esistenziale. E di presa di distanza da ogni formalismo astratto di tipo tradizionale.

Riccardo Venturi

«Quando ho cominciato a dipingere, della pittura si diceva: “Painting is dead”. Mi sembrava una situazione interessante per la pittura... la morte può essere rinfrescante, così ho iniziato a occuparmi di necrofilia... Trattare la storia allo stesso modo in cui il dottor Frankenstein maneggia le parti del corpo... Natura morta...»(1). La testimonianza è di pugno dell’artista americano Steven Parrino (1958-2005), la cui pittura monocroma nera contrassegnerà gran parte della sua produzione.

Quanto segue è altrettanto spiazzante: il lettore non troverà alcun riferimento al Quadrato nero di Malevič, di cui si celebra quest’anno il centenario della prima esposizione pubblica a San Pietroburgo e di cui una recente mostra alla Whitechapel di Londra ha ripercorso la fortuna fino ai nostri giorni (altrove, in questo numero della rivista, si parla dell’imminente mostra a Bergamo). E nemmeno riferimenti a Piet Mondrian, Yves Klein, Piero Manzoni, né a Barnett Newman, Ellsworth Kelly, Robert Ryman.

Quel “painting is dead” non era una semplice provocazione ma uno slogan che coglieva bene un sentire diffuso tra gli artisti americani negli anni Sessanta, quando ci si chiedeva come continuare a dipingere malgrado la crisi del modernismo. O, più radicalmente, se vi era ancora una chance per la pittura una volta esaurito il modernismo formalista di Clement Greenberg, che aveva fatto del medium della pittura un modello per l’arte astratta, sviluppo logico e inesorabile di oltre un secolo di storia. Sbaglieremmo a concludere che Parrino, realizzando i suoi monocromi neri pieni di deformazioni, pieghe, buchi e altre violente manomissioni, rifiutasse in blocco la storia dell’arte astratta. Non solo teneva a precisare di essere nato nel 1958, l’anno dei primi Black Paintings di Frank Stella(2), decisivi nel diffondere una sensibilità minimalista che troverà presto nella scultura la sua modalità d’espressione più adeguata: poche righe dopo il passo sopracitato riconosceva infatti esplicitamente di muoversi all’interno dell’“arte per l’arte”, una tendenza in cui è stata spesso compresa l’astrazione, se solo pensiamo al titolo della raccolta degli scritti di Ad Reinhardt pubblicata postuma nel 1975: Art as Art.


Untitled (2002).

Qual era dunque il contesto in cui operava Parrino? Quello della scena newyorchese underground degli anni Settanta


Parrino è consapevole che l’arte per l’arte, lungi dal designare una grammatica estetica stabilita che riaffiora ciclicamente nelle arti visive, appartiene piuttosto a un preciso contesto storico. Non solo: quest’ultimo ha un impatto sulle opere anche quando si ha a che fare con l’arte per l’arte che, a ragione della sua chiusura circolare su se stessa - come l’abbraccio di Narciso - sembra capace di sottrarsi alle pressioni delle contingenze esterne. Realizzare un monocromo negli anni Dieci in Russia, negli anni Trenta in Francia, negli anni Cinquanta a Milano o a Düsseldorf, negli anni Sessanta in Brasile o a New York non è la stessa cosa, al di là delle somiglianze occasionali tra un’opera e l’altra, che spesso si attenuano con un’esperienza diretta delle opere, non più filtrata dalle riproduzioni fotografiche.

Qual era dunque il contesto in cui operava Parrino? Quello della scena newyorchese underground degli anni Settanta - in cui arti visive e musica erano inscindibili - filmata in Rock My Religion (1982- 1984), il video dell’artista minimalista Dan Graham. Parrino decide di diventare artista nel 1974 non visitando la mostra di Adolph Gottlieb al MoMA o quella di Giacometti al Guggenheim ma ascoltando i Ramones e gli Electric Eels. “Painting is dead” doveva così suonare alle sue orecchie come un ritornello ossessivo, una “noise music” ritmata in quattro quarti.
Lo dimostra la catena delle sue associazioni mentali, ripercorse nello stesso passo: «This death painting thing» (l’ipotesi cioè che la pittura sia morta) lo porta verso «a sex and death painting thing» (sesso e morte, la mitologia della musica rock), che diventa «an existence thing» (una faccenda esistenziale, la morte dell’autore ma anche la fine tragica delle rockstar) e, infine, una «sorta di fine dell’esistenza». Insomma, riassume Parrino, «una specie di esistenzialismo post-punk». Non sorprende che, citando le fonti delle sue opere, Parrino non evochi né Malevic né Frank Stella ma i Black Flag, la celebre band punk hardcore degli anni Settanta di Washington.

Malgrado le sue spinte nichiliste, l’esistenzialismo post-punk declinato da Parrino diventò una strategia per continuare a dipingere una volta esaurita la forza propulsiva del modernismo. La tradizione alta della pittura monocroma si accompagna a una nozione che nessuno prima di lui aveva mai osato evocare: la necrofilia. L’espressione non è peregrina. Intervistato da Bob Nickas nel 1987, Parrino precisò: «Ho le mie ragioni per ridipingere alcuni dipinti di nero, recuperandoli come cose maledettamente morte e attribuendo loro un’energia, una forma di rispetto; in questo modo fronteggio la mia astrazione zombie appena risorta, non più puro formalismo»(3). L’astrazione zombie al di là del formalismo modernista?

In un’intervista del 1994 leggiamo: «Ho cominciato a dipingere dopo la morte della pittura. I miei dipinti sono dei non-dipinti, degli antidipinti. [...] La posta in gioco del mio lavoro è la situazione presente: distruzione, degradazione, dissoluzione, frustrazione, potere, successo e declino, entropia. La fine del nostro secolo è un periodo manierista. L’artista è uno specchio del mondo. Il mondo cade a pezzi»(4).

Parrino tocca qui il nervo dell’astrazione storica, coi suoi richiami alla tabula rasa, al grado zero, al nulla al fine di cambiare la società e trasformare le coscienze. Un’arte nata per uccidere l’arte figurativa, se non l’arte tout court, patricida quanto fratricida, come nella rottura tra Mondrian e Van Doesburg sull’utilizzo della diagonale in pittura, per citare un esempio celebre. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta gli artisti sentono che questa macchina da guerra - la cui storia coincide con l’avventura modernista - è ormai moribonda, incapace di tenersi all’altezza delle sue promesse. Esaurita la vitalità della pittura astratta con l’espressionismo astratto, non restava che rivolgersi alla scultura, alla fotografia, alla performance, all’ambiente, alla nuova tecnologia del video, a un approccio concettuale, alle pratiche poststudio. In controtendenza, Parrino restò fan della pittura astratta, agli antipodi della “vague” figurativa che segnerà il ritorno trionfante della pittura nel sistema espositivo e mercantile degli anni Ottanta. Come i morti viventi, l’astrazione zombie di Parrino - ancora sconosciuta sotto le nostre latitudini - turba ancora oggi le faccende umane.


Big Daddy (1999).

(1) S. Parrino, The No Texts (1979-2003), New Jersey 2003, p. 43.

(2) S. Parrino, Entretien (1994), in L. Bovier, C. Cherix, Prise directe, Digione 2002, pp. 125-127.

(3) B. Nickas, Anxious Objects: Parrino, Stahl, Wachtel, in “Flash Art”, n. 132, febbraio-marzo 1987, pp. 101-102, anche in S. Parrino, The No Texts, cit., p. 37.

(4) S. Parrino, Entretien, cit., pp. 125-127.

ART E DOSSIER N. 325
ART E DOSSIER N. 325
OTTOBRE 2015
In questo numero: UNA GEOMETRICA BELLEZZA Parrino, astrazione punk; Malevič-Lisickij, un rapporto difficile; Arti decorative: ceramiche arcaiche, pavimenti medievali, Owen Jones. IN MOSTRA Burri, Picassomania, Malevič, Prostituzione, Giotto.Direttore: Philippe Daverio