dopo il 1930.
alla ricerca di un codice

Le tendenze compresenti nel Bauhaus aprono tra i pittori astratti in Europa, ancorati alle strutture espositive parigine, un bivio tra un’accezione letterale dell’impiego delle strutture geometriche e una loro più complessa interazione

all’interno della sperimentazione formale. Tra il 1930 e il 1931 ci si interroga sul significato dell’astrattismo e sull’impiego di una terminologia appropriata a definirlo. In questa ricerca di un codice, non emergono tanto determinati artisti, peraltro presenti in numero impressionante nelle mostre, quanto le formulazioni teoriche che più o meno chiaramente caratterizzano tendenze giustapposte o contrapposte.
Il problema è diventato spinoso dopo il 1919. Si presentano al pubblico, riscuotendo successo anche a livello di mercato, movimenti di recupero di una leggibilità dell’oggetto con un carattere fortemente innovativo, anche quando utilizzano citazioni accademiche. È con il cosiddetto “ritorno all’ordine”, soprattutto nella sua declinazione italiana e francese, nonché con il “realismo magico”, con gli esiti della “Metafisica” e con gli interessi politici e sociali della “Nuova oggettività” tedesca, che gli astrattisti ora devono fare i conti.
Nel 1930 si forma il gruppo Cercle et Carré, animato da Michel Seuphor, belga, insieme a Joaquin Torres García, uruguayano, ed è pubblicata per tre numeri l’omonima rivista. Contemporaneamente, Van Doesburg, che morirà nel marzo del 1931, fonda la rivista “Art Concret”, formulando una denominazione e un concetto diverso dell’astrattismo. Nel febbraio del 1931 nasce un altro gruppo, Abstraction- Création, anch’esso con la sua rivista, che sarà pubblicata fino al 1936. In Italia nel 1934 ha luogo la prima mostra degli astrattisti italiani alla Galleria del Milione a Milano. Questa è in rapporto con l’architetto “razionalista” Terragni, attivo a Como; e fermentano nel gruppo le idee di Carlo Belli, autore del libro Kn, iniziato nel 1930 e pubblicato nel 1935. Altri gruppi proliferano in Europa e in America. Herbert Read, in Gran Bretagna, è il teorico di Unit One, fondato nel 1933, con Ben Nicholson e Barbara Heptworth. Negli Stati Uniti nel 1935 si apre la mostra Abstract Painting in America al Whitney Museum di New York e nel 1936 Cubism and abstract Art di Alfred H. Barr Jr. al Moma; nello stesso anno nasce il gruppo AAA (American Abstract Artists), di tendenza astratto-geometrica. Il contatto di molti artisti europei con Abstraction-Création è importante, anche se la declinazione può essere del tutto originale, come avviene per Nicholson, per esempio, con la sua rarefazione dei piani geometrici di derivazione postcubista fino a soluzioni di purezza formale in cui il rilievo sostituisce il colore.
In Francia, le divergenze si notano tra il gruppo di Seuphor e quello inizialmente pilotato da Van Doesburg, nonostante alcuni artisti, tra cui Kandinskij, siano presenti in entrambi. Per fare qualche nome, in Cercle et Carré troviamo, oltre allo stesso Seuphor, Mondrian e Vantongerloo provenienti da De Stijl, come il più giovane Vordemberge-Gildewart, Prampolini e Fillia provenienti dal futurismo, e poi Gabo, Pevsner, Moholy-Nagy, Arp e Kandinskij; in Abstraction-Création, in posizione preminente, Herbin, Vantongerloo, Hélion, quindi Delaunay, Gleizes, Kupka, ancora Arp e Kandinskij, e inoltre Miró e lo scultore americano Calder, mentre nel numero del 1935 appaiono gli italiani del Milione.
Il fatto curioso è che proprio nel momento del più ostinato tentativo di definire il significato e i limiti dell’astrattismo si rifugga dall’usare questo termine, al quale si preferisce quello di “arte non-oggettiva”, o “arte non-figurativa”, e infine “arte concreta” e il binomio “astrazione-creazione”, con quest’ultimo assonante. L’incertezza non risiede solo nella terminologia, ma anche nella configurazione del quadro: la possibilità di leggere ancora ricordi della natura, o allusioni simboliche nell’evocazione di oggetti, o residui di lirismo nelle linee e nei colori, sono tutti elementi di volta in volta accettati o rifiutati, in una dicotomia che, più che tra figurativo e nonfigurativo, si stabilisce tra una concezione rigorosamente formalista, prevalentemente di ascendenza cubista, e una concezione ancora espressionista della pittura.


Piet Mondrian, Tableau-Poème (1928), con testi di Michel Seuphor.

Copertina della rivista “Cercle et Carré”, n. 3, 1930, fondata da Joaquín Torres García e Michel Seuphor.

Sophie Täuber Arp, Triangolo, cerchi, segmenti di cerchi e linee (1932); Winterthur (Svizzera), Kunstmuseum.


Enrico Prampolini, Forme-forze nello spazio (1932).


Alberto Magnelli, Ronde océanique (1937); Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.

Van Doesburg, con il suo termine, chiude la porta a implicazioni oggettive o simboliche e a componenti surrealiste, che invece entreranno nel gruppo Abstraction-Création: parla di «pittura concreta e non astratta, perché nulla è più concreto, più reale che una linea, un colore, una superficie», mentre «una donna, un albero, una vacca posti su una tela sono concreti allo stato naturale, ma sono astratti allo stato di pittura». Sarà Seuphor, nel 1949, nel suo libro Art abstrait, a tagliar corto, dichiarando di scegliere il termine “astratto”, poiché quello di “concreto” rinvierebbe alla corporalità a tre dimensioni: «Chiamo, qui, arte astratta ogni arte che non contiene alcun ricordo, alcuna evocazione della realtà osservata, indipendentemente dal fatto che questa realtà sia o non sia il punto di partenza dell’artista. Ogni arte che si deve giudicare, legittimamente, dal solo punto di vista dell’armonia, della composizione, dell’ordine - o della disarmonia, della controcomposizione, del disordine deliberati - è astratta». Ma nel 1949 la vicenda astratta, come si vedrà, si è ulteriormente evoluta.

Jean Hélion, Equilibrio (1933); Amburgo, Kunsthalle.


Auguste Herbin, Aria/fuoco (1944); Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.


Theo van Doesburg, Controcomposizione XIII (1925); Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Parigi resta il punto di attrazione anche per pittori che operano al di fuori, o ai margini, dei gruppi, come il nostro Alberto Magnelli, nutrito di esperienza postcubista e attivo più in Francia che in Italia; anche se, nel suo caso, una declinazione più legata al tema della macchina e infine sfociata in rarefazioni quasi metalliche del colore dipende pure da ascendenze futuriste.
O come Prampolini, che espone con Cercle et Carré, ma ben presto, dopo aver traghettato il futurismo attraverso l’esperienza dada e una fase costruttivista, rinvigorisce la sua esperienza astratta interpretando suggestioni surrealiste.
Ritornando alle mostre parigine, gli artisti presentano una propria cifra personale, anche quando operano in stretta osservanza della geometria. Il belga George Vantongerloo, che ha praticato anche la scultura e ha sperimentato modelli di architetture, tende a ridurre i ritmi di Mondrian a stesure più schematiche e piatte ispirate a modelli matematici; Friedrich Vordemberge-Gildewart è forse il più rigoroso a proseguire la lezione di De Stijl in una semplificata riduzione a piani colorati. Più segnati da qualche dubbio appaiono Jean Hélion, intento a complesse contrapposizioni di forme in equilibrio, che ben presto ritorneranno alla figurazione, e Auguste Herbin, che ama i ritmi circolari derivati dai cubisti dissidenti dalla linea rigorosa Braque-Picasso-Gris, tentato anche da riferimenti ancora simbolisti.

Il Café L’Aubette a Strasburgo (Bas Rhin), realizzato dall’architetto Theo van Doesburg nel 1928.


Hans Arp, Costellazione con cinque forme bianche e due nere (1932); New York, Solomon R. Guggenheim Museum.


Ben Nicholson, 1934 (rilievo) (1934); Londra, Tate Modern.

La tendenza formalista non necessariamente esclude l’impegno politico: va segnalata, in particolare, la posizione antifascista e poi antistalinista di Hélion, che uscirà per protesta dal Partito comunista francese. Van Doesburg, dopo il 1924, ha elaborato ulteriormente lo schema delle contro-composizioni in articolazioni di quadrangoli disposti in diagonale; Sophie Täuber Arp, che insieme a lui ha lavorato alla decorazione del Café L’Aubette di Strasburgo, prosegue sperimentando strutture geometriche più irregolari e variate. Il marito Hans Arp, che pure ha collaborato per L’Aubette, ha una formazione più ampia, a contatto con Kandinskij e con analoghe inclinazioni esoteriche, e soprattutto con il dadaismo e il surrealismo: interessi che gli consentono di sviluppare un’astrazione non filtrata dalla geometria, ma nutrita di forme organiche, sviluppate nella scultura e nel bassorilievo, forme che pur nell’estrema purezza, tendente a soluzioni monocrome, si avvicinano alla vita e alla creazione naturale. È il principio formativo delle Concrezioni, che hanno probabilmente a loro volta, come si è visto, un ascendente importante su Kandinskij.
Una contaminazione di surrealismo e astrattismo troviamo anche nella scultura di Alexander Calder. È significativo che siano, rispettivamente, Arp e Duchamp a trovare il nome di Stabiles e Mobiles per le sue strutture arcuate appoggiate a terra e per quelle sospese, legate al soffitto da fili invisibili e in equilibrio apparentemente instabile ma perfettamente calibrato. Nella sua idea antiplastica della scultura egli gioca con i materiali industriali, nonché con i colori primari più il nero di Mondrian, liberati dalle ortogonali.
Rigoristi ed eretici convivono anche a Milano. Carlo Belli nel suo libro Kn sostiene, in uno stile lapidario, «una materia artistica uguale per tutti. Si tratta di lavorarla con mezzo proprio». Anonimato e autoreferenzialità devono creare «opere che non portino titolo, senza firma degli autori, senza data e senza nessun riferimento umano, distinte una dall’altra con semplici indicazioni, K, K1, K2, … Kn». Belli bandisce dall’arte ogni figurativismo, ogni psicologismo, compreso quello di Kandinskij, e ogni intento decorativo.
Senza voler limitare la portata innovativa della mostra milanese del 1934, che, non dimentichiamolo, apre deliberatamente a una dimensione europea, va pur notato che la concezione della pittura senza oggetto risulta un prodotto tipicamente “classico”. Accenti classici non mancavano nel futurismo, in particolare nell’“arte meccanica” del 1922, dove Paladini e Pannaggi erano pur orientati verso il costruttivismo russo e l’idea comunista. Ora, nella Dichiarazione degli espositori alla prima collettiva di pittori astratti del 1934, Bogliardi, Ghiringhelli e Reggiani scrivono: «Le vere rivoluzioni sono le più profonde aspirazioni all’ordine, costi quel che costi. Esse si servono creando in profondità il loro corrispondente ideale. È il metro che ci occorre. Quel metro che varia solo con i grandi cicli: che ha dato la piramide e poi il Partenone; l’ovolo e tutta la statuaria classica».


Ivo Pannaggi, Astrazione prospettica (1925); Macerata, Fondazione Cassa di risparmio, Museo palazzo Ricci.

Ben Nicholson, 1934 (rilievo) (1934); Londra, Tate Modern.

Mario Radice, Composizione C.F. 123 B (1936-1938); Como, Pinacoteca civica.


Osvaldo Licini, Il bilico (1932); Milano, Pinacoteca di Brera.


Luigi Veronesi, Composizione K11 (1936); Torino, GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.

Avversando il Novecento (il movimento sostenuto da Margherita Sarfatti, amica di Mussolini), Belli sembra operare come se non fosse necessario prender posizione nei confronti della realtà del fascismo. Dalla sua chiarezza prendono spunto molti artisti del Milione, come Rho, Soldati, prima vicino a un’interpretazione in chiave purista della Metafisica, e Radice, vicino a certe proposte di De Stijl. Qualche peccato di encomio entra anche in questa tendenza: Radice realizza tra l’altro grandi murali nella Casa del Fascio a Como, incastonando nella composizione astratta ritratti del duce e slogan fascisti.
Non tutti condividono il rigore di Kn. Osvaldo Licini, che nella sua formazione guarda anche a Miró e soprattutto a Klee, crea strutture fondate sul principio della metamorfosi, come rivelazione continua del significato, «segni, e non sogni», come scrive nel 1937. La sua geometria, fatta di elementi estremamente ridotti, di intersezioni taglienti e sottili, diventa “sentimento”, in un equilibrio instabile come mobile è l’immaginazione. Non riducibili a quel rigore sono anche le magiche trasparenze e la libertà inventiva di Luigi Veronesi, come pure la complessa creatività di Fausto Melotti, forse il primo, in Italia, a concepire sistematicamente la scultura come una macchina mobile, al di fuori di ogni tentazione di chiusura plastica e di ricordo monumentale. Troviamo in questo ambiente anche un’altra rivoluzione nel concetto di scultura nelle prime realizzazioni importanti di Lucio Fontana: i ritratti dai colori nero, argento e oro, le sculture colorate in nero, le tavolette graffite e infine, verso la metà del decennio, la libera articolazione nello spazio di frammenti piani o sottili fili metallici piegati organicamente nell’aria in bizzarri grafismi. È già evidente l’interazione di pittura e scultura e la ricerca di un nuovo spazio “agito”, che culminerà nel 1946 nel Manifesto bianco e nella nascita dello spazialismo.

Fausto Melotti, Scultura n. 14 (1935); Milano, Museo del Novecento.


Copertina di “Il Milione”, con la presentazione della mostra personale di Lucio Fontana, 1935.


Jean-René Bazaine, Oggetti di sera (1943); Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.

Nel corso degli anni Quaranta, i temi dell’astrattismo sono portati avanti dal gruppo dei Jeunes peintres de tradition française, nato nel 1941 e condotto da Jean Bazaine, e nella Nouvelle École de Paris, culminando, nel Salon des réalités nouvelles del 1946, in una mostra riservata a pittori astratti: “réalités nouvelles” sono, appunto, creazioni non-figurative. Gli esiti astratti della tradizione fauve e cubista, svuotati degli originari contenuti, costituiscono la base di una pittura rigorosamente formalista, alla quale è molto vicino, per i contatti intercorsi, sia pure con componenti culturali dichiaratamente diverse, il gruppo italiano Forma, uscito nel 1947 con il numero unico della rivista “Forma 1” e il relativo manifesto. Il gruppo confluisce poi, insieme ad altri artisti già attivi nell’astrattismo milanese, nel Movimento Arte Concreta o MAC, del 1948, che estende la produzione dall’arte “pura” all’integrazione delle arti nell’architettura e nel design, segnato dalla forte impronta teorica di Gillo Dorfles.
Bazaine e il suo entourage sono per circa un decennio gli artisti più rappresentativi, nelle strutture espositive, dell’arte francese, nonostante l’astro nascente dell’Informel: basta guardare alle partecipazioni della Francia alla Biennale di Venezia per averne un’idea. La critica e l’attività di promozione di Léon Degand e di Jean Cassou sono risultate a lungo vincenti e importante è stata la funzione di collegamento degli artisti italiani con Parigi svolta da Lionello Venturi, esule per il rifiuto di fedeltà al fascismo. Nell’intenzione di articolare i presupposti fauves e cubisti, la pittura si muove tra un’intima suggestione del dato naturale (Bazaine) e un secco distacco dalla rappresentazione (Estève), pur senza aderire al formalismo geometrico prevalente nella direzione astrattista fino a tutto il corso degli anni Trenta.
Gli artisti italiani sono ancora più diversi tra loro. I componenti di Forma (Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato) si proclamano, nel distacco dal Fronte nuovo delle arti, «formalisti e marxisti», rifiutando dunque una contraddizione tra i due termini, come peraltro è avvenuto anche in Hélion. Diverse sono, per esempio, le direzioni in cui lavorano Achille Perilli (che rifiuterà la denominazione di “astratto”), con la sua creazione di uno spazio pluridirezionale in continua tensione tra dadaismo e costruttivismo; Piero Dorazio, che nei suoi interessi ottici e cromatici sviluppa, come egli stesso ricorda più volte, una radice futurista; Carla Accardi, che farà della scrittura un campo strutturato di immagine e di spazio, puntando, diversamente dagli esempi dell’area informale, su effetti cromatici scioccanti; Pietro Consagra, che prosegue nella sua “scultura frontale” la dicotomia di piano e profondità nelle arti plastiche. Ancora collegato a queste vicende è il Gruppo degli Otto del 1952 (Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato, Vedova), sostenuto da Lionello Venturi; dove tendenze materiche-naturaliste (Ennio Morlotti) e gestuali-espressioniste (Emilio Vedova) fanno intravedere i prossimi contatti con l’Informale.

Alfred Manessier, Barabbas (1952); Eindhoven, Stedelijk Van Abbenmuseum.


Carla Accardi, Materico su grigio (1954); Palermo, RISO - Museo d’arte contemporanea della Sicilia.


Pietro Consagra, Autoritratto (1951-1952); Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna.

Anche tra gli artisti del MAC, pure disciplinati dal lavoro finalizzato all’applicazione pratica e al rapporto con il linguaggio della scienza e dell’industria, troviamo, a fianco dell’alta qualità del design, proprio nel superamento della distinzione tra un’arte “alta” e un’arte “bassa”, e tra arti belle e arti applicate, scatti di straordinaria fantasia creativa: pensiamo alla lunga attività nel campo della didattica della percezione, e di quella dedicata all’infanzia, di Bruno Munari, che muovendosi tra scienza e gioco trae un’inesauribile quantità di invenzioni.
Il gruppo COBRA (dalle iniziali delle città d’origine, Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam), nato nel 1948, è spesso considerato, non appartenendo al solco dell’Informale bensì, per molti aspetti, dell’espressionismo nordico, l’ultimo gruppo astrattista, ma recupera in realtà riferimenti figurativi, tra primitivismo, automatismo psichico e atteggiamento provocatorio; e afferma, dunque, tutto il disagio che a lungo covava, come elemento di disgregazione, nell’evoluzione dell’astrattismo. Estraneo a ogni idea di autosufficienza della forma, o di una sua possibilità di sublime distillazione del reale, si fonda su una violenza cromatica e su un soggettivismo esasperato ben lontani sia dai riferimenti spiritualisti che dalle esigenze formaliste presenti nei gruppi che qui si sono presi in considerazione. Asger Jorn fonderà, nel 1955, il “Bauhaus immaginista”, fortemente alternativo nei confronti del razionalismo della scuola di Weimar.

Piero Dorazio, Rilievo relativo ai tempi di percezione (1950); Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna.


Achille Perilli, E dietro infiniti spazi (1951); Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna.

Con l’anno della pubblicazione di Seuphor ritengo si possa concludere la parabola dell’astrattismo. Dopo il 1949 gli storici dell’arte hanno dovuto ancora difendere a lungo la sua legittimità, soprattutto di fronte a un pubblico ancora diffidente; e a lungo sono stati studiati in un unico contesto artisti pur molto diversi nell’inclinazione astratto-geometrica tangente al design, o in quella espressionista e/o formalista, o infine in quella informale. La scarsa simpatia emersa, intorno al 1960, nei confronti delle prime due, considerate sterili o attardate, non dovrebbe indurre a trascurarne l’importanza sul piano storico.
Il termine astrattismo risuona ancora in quello di “espressionismo astratto” dei pittori americani, o di “astrazione lirica” riferito da Georges Mathieu alla propria esperienza dal 1947. Ma con la nascita della Action Painting in America, e dell’Informel e del Tachisme in Europa, il problema non è più la ricerca di un’arte astratta, bensì di un’arte che si cala nella materia, nel segno, nel gesto, dove è rigettato proprio il formalismo che per molti anni è stato il fondamento dell’astrattismo. Gli artisti americani rifiutano più volte l’idea di astrazione; l’intervento di Michel Tapié nel 1952 con la pubblicazione di Un art autre, insieme all’evento di Vehémences confrontées, è, in effetti, una rivolta contro l’astratto.
Su un versante diverso, le esperienze condotte tra il 1910 e il 1950 hanno segnato per sempre anche le strutture geometriche che riemergeranno negli artisti di Support-Surface, nella Minimal Art, e poi nei Neo-Geo e oltre. Ma si tratterà di una reazione concettuale “fredda” alle tendenze informali e pop; dell’esigenza di riflettere sulla funzione dell’arte e sulla sua stessa definizione, in una serie di interrogativi aperti dall’astrattismo, ma ormai al di là della sua configurazione storica.

Emilio Vedova, Europa ‘50 (1950); Venezia, Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.


Bruno Munari, Macchina inutile (1934); Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna. Munari immagina le prime “macchine inutili” nell’ambito del movimento futurista milanese dei primi anni Trenta. In genere, erano strutture leggere – in legno, vetro, cartone, latta –, appese a un soffitto e caratterizzate da un sensibile dinamismo.

ASTRATTISMO
ASTRATTISMO
Jolanda Nigro Covre
Un dossier dedicato all'Astrattismo. In sommario: Astrattismi; L'astrazione geometrica verso il razionalismo; Dopo il 1930. Alla ricerca di un codice. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.