L’ASTRAZIONE GEOMETRICA
VERSO IL RAZIONALISMO

Chiusa la tragica esperienza della prima guerra mondiale, l’astrattismo geometrico passa sotto l’insegna dell’architettura e della tecnica, denunciando un raffreddamento delle forme svuotate dei contenuti emozionali e simbolici.

alla fine del 1915 Tatlin espone i suoi Controrilievi negli stessi ambienti dei quadri suprematisti di Malevič, ma separatamente. Una polemica è già implicita nell’uso che entrambi fanno della sala espositiva: Malevič pone il suo Quadrato nero in alto, sull’angolo tra due pareti, ricordando la posizione dell’icona russa nelle izbe; Tatlin usa l’angolo per risolvere la problematica spaziale delle sue opere, che non sono bassorilievi, né sculture a tutto tondo, anzi nemmeno sculture, ma riflessione sulla nuova dimensione architettonica dei materiali. Questa trova poi la sua espressione più compiuta nella spirale, tuttavia ancora di ascendenza futurista, del progetto per il Monumento alla Terza internazionale (1920).
Prossimo alle idee di Tatlin è il Programma del gruppo produttivista di Alexandr Rodčenko e della moglie Varvara Stepanova, pubblicato nel 1920, poco dopo il Manifesto del realismo di Naum Gabo (pseudonimo di Naum Pevsner) e del fratello Anton Pevsner. Si evidenziano ora le due anime del costruttivismo, nato nel 1913. I fratelli Pevsner pongono le basi per le più tarde ricerche visuali e cinetiche, concentrandosi sulle forme di «spazio e tempo» e su un’idea di bellezza, che «dovrebbe assisterci dovunque la vita trascorre e agisce: al banco, a tavola, al lavoro, in riposo, al gioco, nei giorni feriali e in vacanza, a casa o nelle strade». Più freddamente oggettivo è il gruppo produttivista. Rodčenko, che è anche scultore e in seguito grafico e designer, nel 1921 presenta un’opera costituita da tre stesure di colore, Puro colore rosso, puro colore giallo, puro colore blu: la famosa definizione di Nikolaj Tarabukin è l’«ultimo quadro», nello scritto del 1923 Dal cavalletto alla macchina. Intorno all’indirizzo costruttivista si riuniscono numerosi architetti e artisti della corrente astrattista, quali Ljubov Popova, Alexandra Exter e, più indipendente, El Lisickij, via via svincolato dal repertorio astratto maleviciano; di qui muove un’influenza su artisti non propriamente costruttivisti, come l’ungherese László Moholy-Nagy. La volontà di superare la divisione tra arte, scenografia teatrale, produzione industriale, architettura e progettazione urbanistica appare in linea con quanto poco prima enunciato nel manifesto di fondazione del Bauhaus, gettando in entrambi i casi le basi per le future riflessioni sul concetto di creatività. Con la differenza che all’impegno etico e ancora fortemente spiritualistico della prima fase della scuola tedesca qui si oppone un più severo impegno ideologico, e al «comunismo cosmico» di quella un «comunismo scientifico, fondato sulla teoria del materialismo storico». Utopia anche in questo caso? Lo stalinismo si sbarazzerà anche dei costruttivisti, la cui eredità, tuttavia, vive nella grafica, nelle arti applicate e nell’evoluzione dell’astrattismo geometrico assai più della meditazione di Malevicˇ.
Nel suo radicamento nella cultura tedesca ed europea, e forse proprio in virtù di una maggiore flessibilità ideologica, è soprattutto il Bauhaus il crogiuolo delle ricerche astratto-geometriche degli anni Venti. Gropius attrae nella sua scuola artisti di diverso orientamento, senza escludere, in un primo momento, ricerche astratte confinanti con l’esoterismo come quelle di Itten, e utilizzando le competenze teoriche e pratiche di artisti non necessariamente astrattisti, come Klee e Schlemmer.
L’esordio del Bauhaus, in realtà, è ancora sotto il segno dell’espressionismo. Il programma di Gropius, pubblicato nell’aprile del 1919, ha molto in comune con le idee di poco precedenti dello stesso Gropius, di Bruno Taut e della produzione di disegni fantastici e utopie architettoniche: unione di arte e popolo, cooperazione delle arti nell’architettura, una nuova didattica fondata sul lavoro pratico in officina, dove è abolita la distinzione tra architetto, scultore, pittore e artigiano. Il «comunismo cosmico» di Taut, misto di nostalgie dei mistici medievali e di anarchismo, fa naufragare i contatti che egli pur tenta con i costruttivisti. Solo verso la metà degli anni Venti avviene una svolta verso un più concreto rapporto tra arte e tecnica e, parallelamente, una nuova ricerca strutturale nella pittura.
Si sente ancora per qualche anno, dalla Russia, il soffio delle prime avanguardie storiche. Nel 1926 Kandinskij pubblica Punto e linea su piano. Nel 1927 per le edizioni del Bauhaus appare Il mondo non oggettivo di Malevicˇ. Quest’ultimo, dopo la serie dei quadri bianchi, ha proposto ricerche scultoreo- architettoniche sul tema di un’arte spaziale (Satelliti, Planiti, ovvero progetti architettonici futuribili) e strutture astrattogeometriche per oggetti d’uso. Questo non costituisce, tuttavia, un avvicinamento alle problematiche della scuola, né la sua utopia è vicina agli architetti utopisti che circondano Gropius (oltre a Taut, Mendelsohn e il primo Mies van der Rohe). Malevič non ha voluto abbandonare la sua patria; ma, nonostante i suoi tentativi di integrazione nel sistema, non è né in Germania né in Unione Sovietica, ma sembra vivere in una Russia che non esiste più.


Vladimir Evgrafovič Tatlin, Controrilievo (1916); Mosca, Galleria di Stato Tret’jakov.

Vladimir Evgrafovič Tatlin, modello per Monumento alla Terza internazionale (1919-1920), ricostruzione; Stoccolma, Moderna Museet.

Alexandr Rodčenko, Nero su nero (1918); San Pietroburgo, Museo di Stato russo. Le avanguardie russe, nei primi decenni del Novecento, procedono a un rapidissimo e drastico rinnovamento della pittura nazionale, in direzione convintamente astratta e ostinatamente antinaturalistica, raccogliendo stimoli da altri movimenti europei. Un periodo di libertà creativa che si conclude negli anni Venti con l’imposizione, da parte delle autorità sovietiche, di un ritorno all’arte figurativa.

El Lisickij, Insinua nei bianchi il cuneo rosso (1919-1920); Eindhoven, Van Abbemuseum.


El Lisickij, Senza titolo (1919-1920); Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

Intanto, tra il 1922 e il 1923, hanno luogo gli incontri tra Van Doesburg, i costruttivisti russi e un settore del Dada tedesco in varie città della Germania. È il movimento dell’elementarismo, avviato da un primo manifesto pubblicato nel 1921 nella rivista “De Stijl”, in cui appare, a fianco di Raoul Hausmann, Hans Arp e Ivan Puni, il nome di Moholy-Nagy, e poi nel manifesto del 1926. La stessa rivista presenta, nel 1922, il manifesto Proun di Lisickij del 1920. Nell’elementarismo l’impegno politico dei russi coesiste con il disimpegno degli olandesi, attraverso il legame con la componente dadaista, in un’arte anti-individualista, «che non fa della filosofia, perché si costruisce in base agli elementi propri solamente ad essa». La figura di Moholy-Nagy, chiamato nel 1922 al Bauhaus, fondamentale anche per la grafica nelle pubblicazioni della scuola, segna un momento importante per l’ingresso della fotografia e del cinema nell’astrattismo (cinema astratto parallelamente avviato dai Rhythmus di Hans Richter), e per l’analisi della luce e del movimento che aprirà la strada, al pari delle strutture di Gabo e Pevsner, alle esperienze cinetiche. Le “trasparenze” di Moholy-Nagy si fondano su una “geometria” e un’“oggettività” che consapevolmente prendono le distanze dal residuo simbolismo di Kandinskij e rappresentano, insieme alle ricerche ottiche di Albers, la punta estrema di una concezione scientifica della creazione artistica.

Bruno Taut, Cattedrale di cristallo sul monte Resegone, in Alpine Architektur, Hagen 1919.


El Lisickij, studio per Proun RVN (1923); Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.


Kazimir Malevič, Il planit del pilota (1924); Amsterdam, Stedelijk Museum.

Eliminazione di contenuti emozionali e simbolici, si è detto; ma non del tutto. Prima del 1930, un versante per così dire “romantico” persiste, e probabilmente all’interno di questo è il germe di un incontro con il surrealismo che avrà, al giro del decennio (ma anche più tardi), non poche occasioni di dissidio. Nel nuovo saggio del 1926 Kandinskij indica una continuità con le sue riflessioni intraprese in Lo spirituale nell’arte, di cui possiamo trovare un riscontro nella persistenza di molti pattern, come croci, soli, montagne. Tuttavia, al rapporto con i teorici dell’“Einfühlung” subentra quello con la “Gestalt”; l’attenzione si sposta dalla scarica emotiva nelle linee e nei colori all’ordine compiuto dell’immagine nel suo complesso, non riducibile alla somma degli elementi che la compongono. Se nel periodo dell’astrazione lirica egli considerava superiori le strutture irregolari, non legate alla geometria tradizionale, le quali solamente consentono un numero infinito di forme, ora, in una sorta di raffreddamento del suo residuo romanticismo, e in un atteggiamento più “laico”, rinuncia a quelle infinite possibilità a favore della maggiore chiarezza e comunicabilità immediata delle forme geometriche semplici. Tuttavia, chiarendo il suo amore per il cerchio che si può definire “romantico”, nel 1925 scrive all’amico e suo biografo Will Grohmann: «il futuro romanticismo è un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma».

Frame da Rhythmus 21 (1921) di Hans Richter.


Frame da Rhythmus 21 (1921) di Hans Richter.


László Moholy-Nagy, Composizione A.XX (1924); Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.

Klee, una delle vette non riducibili a una tendenza entro la cultura figurativa del Novecento, non si può considerare un astrattista, poiché un pregiudiziale distacco dalla forma naturale non è mai stato presente nella sua poetica. Piuttosto, la sua aspirazione consiste nel condurre alla purezza del «cristallo» il fango dell’esperienza, in una continua tensione in cui rifugge dal «freddo romanticismo senza pathos» dell’astrazione, e in cui l’astrazione è, piuttosto, un approdo da cui riemergono le immagini della vita. L’artista, come scrive nel 1924, è simile al tronco di un albero, che trae dal profondo della terra la sua linfa e la trasforma nella bellezza della vegetazione. Le forme archetipiche che ispirano la pittura di Klee includono le pulsioni dell’inconscio, l’espressione comunicativa dell’infanzia, la trasfigurazione simbolica stratificata nella storia dell’umanità, dalla scrittura alle culture popolari ai simboli religiosi e teosofici, la fiaba, il teatro, l’architettura e soprattutto il linguaggio musicale.Un altro artista che sfugge alla classificazione “oggettiva” è lo svizzero Johannes Itten. La teoria dei colori, a lungo indagata, sfugge ai suoi presupposti scientifici lungo i percorsi delle filosofie e delle religioni orientali e il fascino delle dottrine esoteriche. Gli studenti sono incantati dalla sua personalità. La cosa preoccupa Gropius, che già nel 1923 lo respinge dalla scuola. Analoga sorte tocca a Van Doesburg, instancabile agitatore di idee, i cui fermenti dadaisti, molto più sfrenati di quelli penetrati nell’elementarismo, non lo convincono affatto.
Dalla fine degli anni Venti riemergono nella pittura di Kandinskij elementi biomorfici, incastonati nella pur sempre rigorosa geometria. Oltre all’indubbio contatto con il surrealismo, in particolare con Miró e con Arp, si nota l’attenzione ai processi formativi degli organismi elementari e all’origine della vita: è presente in questa nuova tendenza, ancora una volta, una volontà di appropriarsi di dati scientifici attraverso la trasfigurazione della creatività artistica. In questa rinnovata complessità di riferimenti egli incontra, tra il 1930 e il 1931, i gruppi francesi di Cercle et Carré e di Abstraction-Création.

Josef Albers, Pergolati (1929); Orange (Connecticut), Josef and Anni Albers Foundation.


Paul Klee, Giardino magico (1926); Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.


Vasilij Kandinskij, Composizione VIII (1923); New York, Solomon R. Guggenheim Museum.

ASTRATTISMO
ASTRATTISMO
Jolanda Nigro Covre
Un dossier dedicato all'Astrattismo. In sommario: Astrattismi; L'astrazione geometrica verso il razionalismo; Dopo il 1930. Alla ricerca di un codice. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.