LA PRIMA
GIOVENTù

Tommaso di ser Giovanni nasce il 21 dicembre del 1401 a Castel San Giovanni in Altura (oggi San Giovanni Valdarno, provincia di Arezzo).
La cittadina fa parte delle “terre nove”del contado fiorentino,

Che comprende anche Arezzo, Volterra, l’alta Val Tiberina, la Valdelsa, San Miniato. Firenze in quegli anni è florida e artisticamente vivacissima (proprio il 1401 è l’anno del concorso per le porte del battistero), ma vive un momento di grande incertezza politica, minacciata com’è dalle truppe milanesi. Castel San Giovanni è nota nei documenti dell’epoca, anche per fornire un vinello Trebbiano buonissimo.

La famiglia di Tommaso pare piuttosto agiata, dato che il padre ser Giovanni (1380-1406) è notaio, e suo nonno Mone (diminutivo di Simone), viene da una famiglia di cassai (da cui il cognome), oggi diremmo mobilieri: il bisnonno di Masaccio era Andreuccio Cassai, appunto. La madre, monna Jacopa (1382-post 1427) è figlia di un oste, Martinozzo di Dino, e viene da Barberino di Mugello. Della sua famiglia poco si sa.
Il neonato, come più tardi testimonierà il fratello Giovanni, viene chiamato Tommaso (o Tomaso) perché ha visto la luce nel giorno dedicato al santo eponimo. Il soprannome di Masaccio, ricorda invece Vasari, gli fu dato, immaginiamo negli anni fiorentini, non per qualche suo vizio, ma per la tanta «straccurataggine». Il giovane sarebbe stato poco o per nulla attento «alle cure o cose del mondo», e tanto meno al vestire. Se la sua fisionomia risponde a quella del presunto autoritratto nella scena del San Pietro in cattedra della cappella Brancacci, non si fatica a credere all’aneddoto, che risponde peraltro a una consolidata tradizione di attribuire a certi artisti di particolare talento, Filippo Brunelleschi compreso, una scarsissima attenzione ai bisogni terreni. Nell’affresco del Carmine, Masaccio ci appare con un giubbone rosso, una folta capigliatura riccioluta, il naso lungo, in un volto non particolarmente attraente, ordinario, per così dire, rispetto al profilo aristocratico di Leon Battista Alberti che gli sta a fianco, giusta l’interpretazione tradizionale di questi visi che s’immaginano tratti dal vero. Nella seconda edizione delle Vite (1568), Vasari non a caso idealizzerà le fattezze del giovane tanto elogiato, riproducendo alla lettera, nell’ipotetica effigie di «Masaccio da S. Giovanni Pittore», un volto con barba e baffi, più marcato e “impressivo”, quello del san Tommaso, santo eponimo di Masaccio, nell’episodio del Tributo (qui a pagina 15).
Al di là della figura retorica dell’artista «astrattissimo», piuttosto comune nella storia dell’arte, in questo caso non si fatica a credere che Masaccio poco si curasse dei propri beni oltreché dell’aspetto: i documenti (in cui è menzionato come Maso, Mazo, oltre che Tommaso o Tomaso) parlano più spesso di debiti che di crediti. Spesso gli acconti in denaro dei committenti passano direttamente al sarto che gli ha fatto un giubbetto (e al quale ha dato un dipinto), o a un garzone non ancora pagato.
Ma torniamo agli anni dell’infanzia e della prima gioventù. Quando Tommaso ha cinque anni gli muore il padre, ventiseienne. La madre non aveva ancora partorito il secondo figlio, al quale era stato destinato il nome di Vittore, che poi sarà mutato in Giovanni, come il padre scomparso. Si tratta di quel Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia (o lo Scheggio, o lo Scheggione, come riferiscono i documenti), che a differenza del fratello avrà una lunga e prolifica carriera di pittore di cassoni e deschi da parto («forzierinaio»). Lo Scheggia sarebbe stato immortalato da Masaccio nella cappella Brancacci nel san Giovanni evangelista giovanetto della scena col San Pietro che risana con l’ombra: capelli biondi, magrolino e un po’ malinconico, ben si addice al soprannome Scheggia, derivato, pare, dal suo aspetto smilzo. Inoltre, il naso lungo e gli occhi obliqui non sono dissimili da quelli che vediamo nel presunto autoritratto di Masaccio. Il giovane Scheggia sarebbe rimasto con la madre quando questa si risposò (verso il 1412) con un anziano speziale di Castel San Giovanni, Tedesco di Maestro Feo. Tommaso all’epoca aveva poco più di dieci anni, e pare che i rapporti col patrigno fossero stati pessimi, tanto che lui che era il primogenito sarebbe restato ad abitare con i nonni paterni.


Trittico di San Giovenale (datato 23 aprile 1422), particolare; Cascia di Reggello (Firenze), Museo Masaccio d’arte sacra.

Il tributo (1424-1426 circa), particolare del volto di san Tommaso; Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci. Sebbene non sia possibile identificare la bella fisionomia di questo apostolo con quella di Masaccio, Vasari se ne servì per rappresentare il volto del pittore nella xilografia che illustra la biografia dedicata al giovane artista.

Alla morte dello speziale, nel 1417, Masaccio sarà totalmente escluso, come il fratello Giovanni e pare anche la madre, da quell’asse ereditario. Dopo la morte di Tedesco, Tommaso risulta finalmente abitare con la madre a Firenze, in Oltrarno, e già a diciassette anni viene menzionato dai documenti fiorentini come «dipintore».
Resta controversa la sua formazione artistica; c’è chi propone che si sia addestrato all’arte nel paese natale, dove ancora attorno al 1414 è documentata l’attività di legnaiolo del nonno Mone e del fratello Lorenzo. Altri studiosi immaginano invece più probabile che si sia formato a Firenze, magari presso il conterraneo Mariotto di Cristofano, che almeno dal 1419 risultava vivere e lavorare a Firenze, e che verso il 1421 aveva sposato la sorellastra Caterina, figlia di primo letto dello speziale Tedesco. Solo dal 1425 Masaccio risulta appoggiarsi alla bottega di un artista oggi poco noto, Niccolò di Lapo, in Sant’Apollinare, nei pressi della Badia fiorentina (era questa la zona che ospitava anche le botteghe dei notai e dei cartolai). Lo Scheggia, invece, aveva deciso attorno al 1420 di arruolarsi come soldato, e solo qualche tempo dopo compare nei documenti per la sua collaborazione col fratello, e poi per la sua attività autonoma di pittore.
Nel 1422 Tommaso s’iscrive dunque all’Arte dei medici e degli speziali, che radunava a Firenze anche gli artisti, e per questo motivo s’immagina che già avesse ricevuto qualche commissione di una certa rilevanza e anche ben remunerata, dato che la tassa da pagare per l’immatricolazione era piuttosto sostenuta. Non a caso, la sua prima opera conosciuta, il Trittico di San Giovenale, risale proprio al 1422, e reca la data, come si vedrà, del 23 aprile.
Qualche giorno prima, il 19 aprile 1422, si era svolta a Firenze una solenne processione per la consacrazione (la “sagra”) della chiesa di Santa Maria del Carmine, alla quale Masaccio deve aver assistito, quasi certamente traendo qualche schizzo con i ritratti dei personaggi illustri che vi avevano preso parte. Qualche anno più tardi l’artista ripeté la scena in un affresco, non grandissimo nelle dimensioni, nella chiesa del Carmine. Quella scena, che raffigurava una serie di fiorentini illustri in processione davanti alla chiesa (fra i quali anche Brunelleschi) andò distrutta alla fine del Cinquecento nel corso di alcuni lavori di riadattamento all’interno dell’edifici. Ne resta fortunatamente qualche copia frammentaria eseguita da artisti del Cinquecento (di recente è stata risollevata la questione, che ci pare poco probabile, che l’affresco originale di Masaccio esista ancora, semplicemente coperto da successive sovrastrutture).


San Pietro risana gli infermi con la sua ombra (1424-1426 circa), particolare del san Giovanni evangelista; Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci. Il volto del giovane apostolo che segue san Pietro è ritenuto per tradizione il ritratto di Giovanni detto lo Scheggia, fratello di Masaccio. L’uomo anziano dietro di lui, con barba e capelli bianchi, giubba e berretta blu, sarebbe lo scultore Donatello, amico di Masaccio, che all’epoca doveva avere quasi ottant’anni (era nato nel 1386).

Artista fiorentino della fine del XVI secolo, Processione di uomini illustri, particolare dalla Sagra perduta di Masaccio (1424 circa).


Trittico di San Giovenale (datato 23 aprile 1422); Cascia di Reggello (Firenze), Museo Masaccio d’arte sacra.

Il Trittico di San Giovenale, dipinto probabilmente a Firenze, e terminato pochi giorni dopo quella consacrazione memorabile, ha una storia avvincente. Rimasto per secoli dimenticato nella chiesetta di San Giovenale a Cascia, in una vallata del Valdarno che da Reggello scende verso l’Arno, dove forse si trovava fin dalle origini, ha una struttura a tre ante. Il pannello centrale raffigura la Madonna in trono col Bambino mentre negli scomparti laterali sono presenti i santi Bartolomeo e Biagio da una parte, Giovenale e Antonio abate dall’altra. L’opera fu rinvenuta in malridotte condizioni da Luciano Berti nel 1961, nel corso di un suo sopralluogo da ispettore della Soprintendenza. Il basamento, coperto da un listello scuro, rivelò poi, dopo una prima sommaria pulitura, la data dipinta in oro dal pittore stesso (con una scrittura inequivocabilmente attribuibile a Masaccio, la prima che si conosca per l’epoca in elegante capitale umanistica), che recita: «[ANNO DOMI]NI MCCCCXXII A DI VENTITRE D’AP[RILE]». Anche la grafia dei versi dei Salmi nel bellissimo libro di scorcio retto da san Giovenale corrisponde perfettamente alla scrittura autografa di Masaccio, come risulta al confronto con un documento della portata al Catasto da lui firmato. Pochi dubbi, diremmo nessuno resta dunque sull’attribuzione di questa suggestiva opera a Masaccio, che dopo il restauro ha rivelato una mirabile vividezza di colori, unita al realismo delle fisionomie: si notino, fra i tanti dettagli, gli occhi arrossati di sant’Antonio abate, i meravigliosi volti dei due angeli ai piedi del trono della Vergine, dei quali solo s’indovina il profilo (espediente rarissimo all’epoca), le mani dei santi in pose tutte diverse e scorciate. E quel gesto della Madonna, che con la mano regge i piedini del Bambino Gesù, in una posa maternamente verosimile.
Il bimbo tiene le dita in bocca e con l’altra manina regge una cocca del velo trasparente della Madre, e i resti di un piccolo grappolo d’uva, che è anche simbolo del mistero eucaristico, oltreche espediente per mostrare la golosità del bimbo, che evidentemente ha messo in bocca qualche acino, e ora si succhia le dita.
Il trittico ha ancora l’apparenza di un fondo oro tradizionale, e anche la composizione ha l’aspetto di un dipinto di carattere goticheggiante. Tuttavia, la scena si svolge in uno spazio convincente, che non ha paragoni nella pittura fiorentina precedente. La difficoltà di unificare prospetticamente la scena, che poteva esser ostacolata dalla struttura a tre scomparti dell’opera, viene risolta e superata da Masaccio grazie alle linee ortogonali del pannello centrale che convergono verso i volti della Madonna e del Bambino, e alle linee del pavimento, presente in tutti e tre i pannelli, che si riuniscono in un unico punto di fuga, esterno alle tavole. Il trono di legno, che nel bel museo di Cascia, dove da qualche anno il dipinto è conservato, è stato ricostruito in un modello a grandezza naturale, e fa mostra di sé accanto al trittico, acquista finalmente, a paragone con i troni di tradizione gotica, una sua eccezionale profondità spaziale. I volumi dei corpi sono così plasticamente definiti, che solo una scultura di Donatello potrebbe gareggiare in quegli anni con l’illusione ricreata da Masaccio di una fisicità tanto pienamente concreta. Il committente resta ignoto, ma il fatto che fra i santi raffigurati compaia Giovenale fa pensare che il trittico fosse destinato alla chiesa dov’è stato rinvenuto. Non è improbabile che l’opera fosse stata finanziata dalla famiglia Castellani, che aveva possedimenti nella zona, della quale alcuni esponenti portano il nome dei santi raffigurati. Resta il fatto che questo dipinto, il primo che si conosca di Masaccio, mostra un’assoluta autonomia stilistica, che difficilmente fa pensare all’influenza di un suo qualsivoglia maestro, tantomeno della mano del fratello minore, come talvolta, anche di recente, è stato proposto.


Trittico di San Giovenale (datato 23 aprile 1422), pannello di destra, particolare con i volti di san Giovenale e sant’Antonio; Cascia di Reggello (Firenze), Museo Masaccio d’arte sacra.

MASACCIO
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GLORIA FOSSI
Un dossier dedicato a Masaccio (San Giovanni Valdarno, 1401 - Roma, 1428). In sommario: Una fortuna tutta postuma; La prima gioventù; Gli anni cruciali; L'incertezza delle date; Il desco da parto; La cappella Brancacci. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.