Studi e riscoperte. 2
Artisti, propaganda e primo conflitto mondiale

fuochi
di guerra

La prima guerra mondiale si accende in pochi mesi a partire dall’estate del 1914. Una follia collettiva sembra impadronirsi di popoli e governi, con folle di entusiasti bellicisti e scarsa opposizione. Artisti e letterati si mettono al servizio della causa e della propaganda. Alcuni di essi sono fra i moltissimi che vi perdono la vita.

Philippe Daverio

Sosteneva Candide - all’inizio delle sue confessioni nel noto racconto di Voltaire - che amava la guerra perché vi si facevano tanti incontri. Ma poi passava, il malcapitato, fra le peggiori esperienze possibili in una sequenza di avventure allucinanti. Il Candide di Voltaire è il primo racconto morale e umoristico che rivendichi nella sostanza il diritto alla pace. Lo leggevano tutti i liceali di Francia; eppure la chiamata alle armi per l’inizio della prima guerra mondiale ha un successo che mai prima d’allora era stato celebrato con simile partecipazione esaltata.

La guerra è la conseguenza di tensioni decennali portate al parossismo. Il 28 luglio del 1914 avviene il noto assassinio di Sarajevo. L’atmosfera si riscalda.
Un mese dopo esattamente l’Austria dichiara guerra alla Serbia, alla quale viene in soccorso la Russia. Quindi l’Austria dichiara guerra alla Russia il 5 agosto. La Germania del Kaiser su quest’ultimo caso l’aveva preceduta avendo dichiarato guerra il 1° agosto alla Russia, il 3 agosto alla Francia e al Belgio il 4. Il Regno Unito dichiara guerra alla Germania in quel medesimo 4 agosto e all’Austria il 13, la quale a sua volta aveva dichiarato guerra alla Russia il 6 agosto a fianco della Germania. Il 23 agosto il Giappone affianca gli alleati e dichiara guerra ai tedeschi, e il 1° novembre l’impero ottomano entra in guerra a fianco degli austrotedeschi. Tutte le colonie controllate dalle potenze europee seguono.


Gli intellettuali e gli artisti non restano estranei alla follia collettiva della guerra nata nelle ombre delle cancellerie e scattata per un attentato assurdo

E tutto s’infiamma in un attimo. La cattedrale di Reims, simbolo della monarchia di Francia, era già stata ridotta in ceneri il 19 settembre. Con l’autunno si contano le prime decine di migliaia di morti. Solo l’Italia sta ad aspettare il mutare degli eventi e dei venti per tradire l’alleanza con le potenze germaniche ed entrare in guerra con gli alleati atlantici il 24 maggio dell’anno successivo, ma lo fa sull’onda d’un entusiasmo trasversale e frenetico. La guerra era nata nelle ombre delle cancellerie, scatta per un attentato assurdo, ma si trova a raccogliere un’adesione immediata e incondizionata. Gli intellettuali e gli artisti non restano estranei alla follia collettiva.

A dire il vero la prima ondata di furia battagliera si era avuta in Italia pochi anni prima della guerra quando fu lanciata la campagna per la conquista della Libia, quella porzione di costa mediterranea dimenticata dell’impero ottomano di cui a Costantinopoli importava ormai quasi nulla, visto che la Tunisia era già protettorato francese, l’Algeria colonia e pure il Marocco stava per perdere la sua indipendenza dopo le diatribe che avevano spinto Berlino a tentare l’avventura coloniale dalle parti di Agadir, passata sotto protezione francese.


Giacomo Balla, La guerra (1919).

L’Italia del quarto governo Giolitti decide di ridarsi all’avventura coloniale per dimenticare le batoste del 1896 d’un giovin regno d’Italia che aveva tentato di tagliarsi una fetta nella torta africana con la guerra d’Abissinia; decide d’affrontare nel 1911 i fucili ad avancarica dei libici e ha facile fortuna. I socialisti si oppongono fermamente all’avventura e per essi i due esordienti politici romagnoli Pietro Nenni e Benito Mussolini. Furono gli intellettuali a sostenere l’avventura e in modo particolare Giovanni Pascoli con un accalorato discorso dal titolo La grande proletaria si è mossa, e ovviamente D’Annunzio con le sue appassionate “canzoni” pubblicate sul “Corriere della Sera”.

François Flameng, Convoglio di mitraglieri alpini sui Vosgi (1916), Parigi, Musée de l’Armée.

Ma già nella prima stesura del Manifesto del futurismo di Marinetti la questione era stata posta con quella bizzarra capacità dell’autore di mutare il pensiero anarchico espresso in francese - «Nous voulons glorifier la guerre, seule hygiène du monde, le militarisme, le patriotisme, le geste destructeur des anarchistes, les belles Idées qui tuent» - in un pensiero italiano che si fa premonitore dell’interventismo: «Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore», dove gli anarchici si traducono in libertari e dove le idee capaci di uccidere diventano idee per le quali morire; erano pronti i futuristi a partire per il fronte. E il giovane Sant’Elia vi muore nell’ottobre del 1916 con una pallottola in fronte mentre Boccioni era già deceduto per uno stupido incidente prendendo un calcio da un cavallo che per lui era animale inconsueto. 




Tre copertine di numeri del settimanale satirico tedesco “Simplicissimus” pubblicati tra il 1914 e il 1918.

I maniaci dei motori e dei rumori s’erano visti arruolare fra le truppe in bicicletta. E il prode D’Annunzio, già maturo cinquantenne, si ferisce all’occhio perché non sa usare la mitragliatrice e sull’aeroplano prende l’otturatore in faccia. Dall’altro lato si faceva ben più brutta la faccenda: Franz Marc era morto nell’inferno di Verdun nella primavera del 1916 dopo essere partito immediatamente volontario alla dichiarazione delle ostilità, considerando il conflitto una “positive Instanz”, mentre il suo compagno d’avventura pittorica August Macke, partito con lo stesso entusiasmo, aveva risolto la sua vita nei primi scontri dell’autunno del 1914 quando i tedeschi stavano incendiando con le bombe la cattedrale di Reims. Lo scultore Henri Gaudier-Brzeska, tenuto da Ezra Pound in grande considerazione come animatore dei vorticisti, torna nella sua Francia d’origine e muore subito, colpito in fronte appena al di là della Manica, nel giugno del 1915.

Eppure, mentre gli esaltati andavano a morire o i più fortunati tornavano feriti - come il genovese polacco Guillaume Apollinaire che s’era arruolato per sentirsi finalmente francese - la vita cittadina dei teatri non subiva un momento di tregua: il numero degli spettacoli a Parigi quasi non calò. Nel 1917, quando infuriava la più orribile delle battaglie navali nello Jutland, quando appariva per la prima volta fra le trincee di Francia il gas mostarda tedesco, nei giorni di Caporetto e della rotta, i Ballets Russes continuavano allegri la loro programmazione e Pablo Picasso, con la musica di Satie, metteva in scena Parade. La contraddizione era totale. Gli artisti minori dell’epoca, quelli che la storiografia recente ha lasciato nell’ombra del gruppo degli illustratori, meriteranno un giorno d’essere ripresi in considerazione. Sono loro a inventare per la carta stampata le immagini dipinte del conflitto in corso.

Gli artisti alternativi, invece, s’erano talvolta rifugiati nella sicurezza della neutralità elvetica dove preparavano la liberazione di Dada nel cabaret Voltaire di Zurigo, mentre de Chirico se ne stava tranquillo nell’infermeria del nevrocomio di Ferrara a dipingere quadretti piccoli che poteva posare su una sedia usata come cavalletto mentre convertiva Carrà alla Metafisica, essendosi questo già convertito al pacifismo dopo essere partito in guerra con proclami pittorici di fuoco.



Alcune pagine di numeri del settimanale satirico tedesco “Simplicissimus” pubblicati tra il 1914 e il 1918.

ART E DOSSIER N. 322
ART E DOSSIER N. 322
GIUGNO 2015
In questo numero: ESPRESSIONISMO In mostra a Genova tra avanguardia e Bohème. L'ARTE, LA GUERRA E LA PACE: Dai pittori garibaldini a Yoko Ono. PHILIPPE DAVERIO La follia della Grande Guerra. IN MOSTRA Visconti e Sforza, Illustrazione di guerra.Direttore: Philippe Daverio