Studi e riscoperte. 1
Osvaldo Licini: gli anni parigini

figure
incatenate
a sogni

Personaggio singolare e poliedrico, Licini trova a Parigi il terreno ideale per nutrire la sua curiosità verso le avanguardie del tempo. Frequenta assiduamente i caffè di Montparnasse, dove espone le sue opere e dove, soprattutto, conosce Modigliani, artista cruciale per la sua formazione.

Enrica Torelli Landini

Una cultura già prescelta e amata nella Bologna degli anni Dieci, a fianco di Morandi, e approfondita nel milieu artistico fiorentino - fra l’apertura europea della rivista “La Voce” e il futurismo lacerbiano - è ciò che Licini va a verificare di persona a Parigi subito dopo la sua volontaria partecipazione alla Grande guerra. Cézanne, il cubismo e tutto un filone letterario simbolista sono i presupposti della sua curiosità e voglia di conoscere.

«Alla Rotonde conobbi Picasso, Cocteau, Cendrars, Otiz, Kisling…». Ma sono gli incontri burrascosi con Modigliani nei caffè di Montparnasse, l’estasi provata di fronte alle sue figure «incatenate a sogni», intraviste in una soffitta al lume di un cerino, a segnare definitivamente il suo amore incondizionato per la pittura.

Vistosamente claudicante a causa di una ferita di guerra, Licini impugna un bastone in modo aggressivo (immagine che riprenderà nei suoi angeli) recitando a memoria i Canti orfici di Dino Campana che si confondono con le feroci invettive di Rimbaud gridate da Modigliani.

Modigliani incide sul modo liciniano di concepire la pittura come un atto fisico di conoscenza


Il maestro livornese incide sul modo liciniano di concepire la pittura come un atto fisico di conoscenza: l’incisione del segno, l’uso sensuale del colore come materia da “forgiare”, evidente soprattutto nei nudi degli anni Venti dagli scorci prospettici risolti in un’atmosfera avvolgente, sferica, incandescente. Anche quando provvisoriamente torna nei luoghi natali nelle Marche, Licini dipinge, nel 1920, un duplice Ritratto di Ave, di profilo e di fronte, dove Ragghianti ha riscontrato, nella linearità sinuosa e affusolata, un riferimento a due teste dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, probabilmente derivatogli ancora dagli esercizi sulle opere del grande bohémien di Montparnasse.


Amedeo Modigliani, Nudo coricato col braccio destro sotto la testa (1919).

Torna presto a Parigi; abita presso la madre, in faubourg Poissonnière, una lunga strada popolosa ai piedi del Sacré Coeur. Ritrae la madre in abito da sera, mentre osserva un fiore, in atteggiamento pensoso sotto un vistoso turbante o in atto di leggere un libro. Il riferimento in questo caso sono le “liseuses” che Henri Matisse esponeva in quegli anni da Bernheim-Jeune, la celebre galleria frequentata da Licini, e al Salon d’Automne del 1922 dove esponeva anche il giovane artista marchigiano. Matisse, Van Gogh e soprattutto Cézanne: questi sono i modelli che Licini adesso sta sperimentando. Lo dimostrano molti schizzi che sono rimasti, presso gli eredi, una sorta di diario dove il suo autore si diletta a esercitarsi, con pochi tratti essenziali, sui pittori prediletti.

Nonostante la sua più volte documentata ritrosia a esporre, Licini, che finora ha partecipato a una sola collettiva durante l’apprendistato bolognese, tenta di farsi conoscere mediante le sue partecipazioni alle mostre nei caffè di Montparnasse. «I tempi persistono difficili dal dopoguerra », scrive il critico Paul Sentenac, «la pittura non si vende, gli amatori stringono i cordoni della borsa. Ciononostante le gallerie si moltiplicano e così i pittori.

Questi ultimi non si contentano delle boutiques dei mercanti; ora offrono le loro tele nei caffè».

Gli inizi di Licini a Parigi sono questi: espone i suoi ritratti femminili nei caffè di Montparnasse, dalla celebre Rotonde alla più sofisticata Closerie des Lilas. In quest’ultimo locale si respira la poesia di Verlaine, di Apollinaire, di Paul Fort. Il surrealismo è ormai alle porte, e il suo trascinante fascino farà da guida alle future ricerche sulla “surrealtà” e all’invenzione delle celebri Amalassunte e degli Angeli ribelli. Sul catalogo dell’esposizione organizzata dalla Compagnie des peintres et sculpteurs professionnels alla Closerie (febbraio - aprile 1924), disegna Ragazzo col cuore in testa, che oltre alla sua fuggevole appartenenza ai disegni ispirati a Cézanne - il Cézanne del Ragazzo con panciotto rosso - ci riporta al tema delle appassionate descrizioni dei Racconti di Bruto dove il diciannovenne Licini “futurista”, nel racconto Il cuore in mano, metteva in atto il primo segnale della sua sfida contro tutto e contro tutti(1). Durante le riflessioni più mature, nell’eremo della sua casa marchigiana a Monte Vidon Corrado - solo allora - Bruto prenderà nuova forma trasformandosi nell’Angelo ribelle.

A Parigi, nei primi anni Venti, respira un’aria internazionale che lo affascina, lui abituato alla “profondissima quiete” di Monte Vidone. 


Paul Cézanne, Ragazzo con panciotto rosso (1888-1890), Zurigo, Fondazione Bührle

Tra le colonie più numerose c’è quella dei russi che espongono al caffè del Carrefour du Montparnasse: Michail Larionov e Natalja Goncarova decorano con i loro disegni il catalogo la cui copertina ha un aspetto teneramente costruttivista con il suo fondo rosso acceso e un fotomontaggio che mostra l’interno del caffè gremito di gente e di quadri appesi tra tavoli e specchi. Le mostre degli artisti russi sono organizzate e gestite da un comitato diretto da Sergej Romoff, cofondatore della Compagnie ambulante des peintres et sculpteurs(2). Molti sono i critici che se ne interessano; tra gli altri, André Salmon e Gustave Kahn.
Le numerose mostre nei caffè fanno da contraltare all’accademia dei Salon, sebbene molti dei nomi dei cento e più espositori dei caffè si possano poi ritrovare nelle ancor più numerose liste dei cataloghi delle esposizioni ufficiali tenute al Grand Palais. Che è poi la stessa strada percorsa da Licini, ora a fianco di un carissimo amico d’accademia, ritrovato per caso in questi caffè: Mario Tozzi, giunto a Parigi nel 1919. «A Parigi ritrovai subito Licini, che avevo conosciuto assieme a Morandi a Bologna, miei compagni, sia pure dei corsi superiori di quell’accademia, e giornalmente ci si incontrava in un piccolo caffè di Montparnasse dalle pareti curiosamente decorate in esposizione permanente dai dipinti degli artisti consumatori. Avevo lasciato a Bologna un Licini futurista e qui lo ritrovavo postimpressionista: Matisse+Dufy+Friesz, nei paesaggi e nei fiori; un po’ modiglianesco nelle figure…».

Licini non passa inosservato al Salon d’Automne e al Salon des Indépendants dove espone tra il 1921 e il 1925. Nonostante la folla degli artisti espositori (in parte “pompiers” ma molti ormai famosi) le sue opere vengono accolte con un certo interesse dalla critica francese, considerando che anche la sola citazione del nome era già un grande onore nel marasma espositivo dei Salon. 

A Licini sono invece riservate delle espressioni che riconoscono la qualità delle opere. Fra gli artisti italiani presenti a Parigi e che espongono alla mostra Les italiens de Paris (1928), organizzata dall’amico Tozzi, Licini è forse il più “francese” rispetto ai vari Campigli, Paresce, Severini, de Chirico, fedeli al concetto classico della forma. Il critico Waldemar George identifica questi ultimi come un gruppo di “Novecento” (in relazione alla prima mostra del gruppo indicato con quel nome, organizzata da Margherita Sarfatti a Milano) e rivendica la loro appartenenza all’italianità, mentre per Licini si limita ad accostarlo a Derain.

Lo stesso Tozzi è attratto da altre forme di pittura, dalla tradizione quattrocentesca e dal valore della forma come testimonianza di stabilità eterna, in conflitto con l’impressionismo; mentre il segno liciniano, costantemente incerto e impreciso, esprime invece un’idea di instabilità, di precarietà, testimoniando una forte tensione emotiva. 


Natura morta con limone (1926-1928 circa).

Sono le opere eseguite intorno alla metà degli anni Venti a denunciare la diversità tra Licini e Novecento: le sue nature morte, esposte vicino a quelle di de Chirico, si presentano su un piano inclinato, in bilico, quasi vogliano rovinare a terra(3). Sono decentrate, i colori sono aridi e svuotano le forme anziché renderle corpose. Licini presto trasformerà i suoi soggetti in pure forme astratte dove la linea diviene geometria e dove il tema di fondo è il “bilico”.
La linea dei suoi scarni paesaggi, delle marine e dei sinuosi e svuotati colli marchigiani si presterà a questo squilibrio, ai fiori fantastici dell’astrattismo praticato negli anni Trenta, ricomparendo più tardi, densa e misteriosa, nei fondali da cui sorgono le amalassunte-lune e gli irriverenti angeli. Bruto e le figure astrali create dopo una profonda gestazione metamorfica appaiono come una sorta di “alter ego”, attraverso il quale Licini parla di sé rinunciando all’espressione apertamente autobiografica; immagini psichiche dietro le quali l’artista tenta di celarsi.
Dei molteplici stimoli ricevuti durante gli anni della formazione parigina Licini trattiene, facendone tesoro, quelli a lui più congeniali e che curiosamente aveva trovato in quei caffè dove già si respirava l’aria della nuova avanguardia surrealista. è la parola poetica a ispirare le sue visioni. Ne sono prova gli innumerevoli appunti e i piccoli disegni di cui è affollata la sua biblioteca, che egli sovrapponeva a commento di alcuni passi o versi. Le letture fatte nelle lunghe, fredde, solitarie notti marchigiane, lasciano suggestioni di immagini che si sedimentano nella memoria producendo impronte slegate dal tempo e dallo spazio.

UN ROMANZO PER LICINI
Tre domande di Benedetta Centovalli a Pier Franco Brandimarte, autore di L'Amalassunta, da poco pubblicato per Giunti Editore.
Un oggetto inusuale L'Amalassunta, perfetto nel suo essere un genere di generi, che emerge con sprezzatura sull'odierna produzione di narrativa e tanto più notevole trattandosi del primo libro di un giovane autore. Così è stato apprezzato dalla giuria del Premio Calvino 2014 che lo ha eletto vincitore di quella edizione.
Come è nata l'idea di raccontare la vita di Osvaldo Licini intrecciandola con la storia del giovane narratore?
La sosta in un paesino dell’entroterra marchigiano, tre anni fa o più, mi rimase impressa come una densa fascinazione di cui non sapevo spiegarmi l’origine. Ho conosciuto così questo bizzarro artista che lì si era ritirato venendo da Parigi, dalla compagnia dei grandissimi del suo tempo, Picasso, Modigliani... Da quel momento l’arte e la vita di Licini sono diventati un enigma da risolvere, qualcosa che mi riguardava direttamente.

Non è un romanzo, non è un saggio, non è una biografia, però è anche tutto questo insieme. Poi ci sono le immagini che fanno parte del testo, un po' Sebald e un po' Tuena. Come hai lavorato?
La definizione che hanno dato è quella di romanzo-inchiesta, che può andar bene se teniamo presente la natura rigorosa dell’inchiesta e la libertà inventiva del romanzo; dunque una rigorosa invenzione, dunque un romanzo, che va ancora meglio. La forma c’era, la sentivo, il difficile è stata realizzarla con le parole. Sebald e Tuena sono due dei miei autori preferiti.

La giovinezza e la maturità di Licini, il narratore in cerca di identità e il paesaggio marchigiano che si accende sulle colline: tre protagonisti raccontati con una lingua reinventata tra pittura e essenzialità espressiva.
Dovevo tenere insieme spazi e tempi diversi come fossero un unico flusso continuo, evolvere nelle tre parti del romanzo, far agire le immagini, esploderle. Lo stile è venuto con la forma: doveva assecondare le immaginazioni nel miglior modo possibile, assisterle nella loro formazione, come succedeva in effetti. Soltanto verso la fine del libro ho capito dove stavo andando.


(1) «Bruto s’era disteso, ma s’annoiava un poco. Allora, con una mano, si prese il cuore dal petto, lo posò sul cuscino e lo guardò palpitare. Poi mise il suo cuore nel cavo della mano e cominciò ad ammirare l’opera di Dio».

(2) Il catalogo della terza mostra organizzata dalla Compagnie ambulante testimonia spiccati interessi nei confronti di una poesia dada non ortodossa che sicuramente deve aver coinvolto Licini, autore di poesie e più tardi affascinato dall'avventura surrealista. Vi è un poema dedicato alla pittura da Blaise Cendrars, prelevato dai Poèmes élastiques, quelli recitati dal gruppo dada alla galleria parigina Au sans pareil. Licini leggerà il romanzo di Cendrars Le Plan de l’Aiguille appena uscito, nel 1929, ma il primo incontro con il poeta francese risale ai tempi dell’amicizia con Modigliani.

(3) A questo proposito, cfr. E. Pontiggia, Osvaldo Licini e il Novecento, in E. Pontiggia, E. Torelli Landini, Licini gli anni Venti, Monte Vidon Corrado (Fermo), 1992.

ART E DOSSIER N. 322
ART E DOSSIER N. 322
GIUGNO 2015
In questo numero: ESPRESSIONISMO In mostra a Genova tra avanguardia e Bohème. L'ARTE, LA GUERRA E LA PACE: Dai pittori garibaldini a Yoko Ono. PHILIPPE DAVERIO La follia della Grande Guerra. IN MOSTRA Visconti e Sforza, Illustrazione di guerra.Direttore: Philippe Daverio