Grandi mostre. 9
Altdorfer a Vienna

l’alternativa
danubiana

Nella pittura di Altdorfer e dei pittori austriaco-bavaresi della prima metà del Cinquecento si esprimono con forza ed efficacia l’alterità del Rinascimento germanico rispetto al modello italiano e le tensioni religiose di un momento cruciale per la storia europea.

Massimiliano Caretto

Altdorf è un piccolo borgo della Baviera incastrato fra due giganteschi massicci montuosi in costante bilico tra una nebbia opalescente che li rende spettrali e una luce satura che li fa brillare come diamanti. Questo luogo di estremi estetici potrebbe essere l’inizio ideale della storia che viene narrata nella mostra frutto della collaborazione tra lo Städel Museum di Francoforte e il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Nativo di questo regno dell’immaginazione, infatti, fu il pittore tedesco Albrecht Altdorfer, figura attorno alla quale è stato costruito un percorso espositivo che, tra dipinti, sculture e opere grafiche, raccoglie circa centoquaranta capolavori unici per stile e rarità. La storia della cosiddetta Scuola danubiana, di cui fu il massimo rappresentante, è un capitolo unico eppure misconosciuto della pittura rinascimentale europea e non è un caso che un’esposizione del genere veda la luce proprio in un momento in cui la cultura “germanica” fa sentire con forza il suo peso in Europa. Tutte germaniche, peraltro, sono la curatela, l’organizzazione, la tematica e gli aspetti che vengono indagati di un “altro Rinascimento” che in Italia verrebbe identificato immediatamente con Cranach, ma che ebbe in Altdorfer il suo padre più autentico.

Con razionalità kantiana, la mostra si articola in sezioni funzionali ad approfondire i moltissimi temi centrali per una buona lettura critica di un fenomeno complesso ma breve, non essendo necessarie particolari partizioni cronologiche per una stagione di ricerca artistica tutta concentrata nei primi cinquant’anni del XVI secolo, i più cruciali della storia tedesca. Il messaggio è chiarissimo già dalle prime sale, dove alcune opere grafiche di Dürer vengono paragonate a quelle di artisti tedeschi che non fecero (né vollero fare) un viaggio di studio in Italia: il contrasto tra il “Leonardo di Germania” e questi artefici locali è qualcosa di stridente e lampante. Illuminante, in questo senso, è la Natività che Altdorfer realizzò nel 1513 circa, considerata tra le sue migliori prove giovanili.

I primi cinquant’anni del XVI secolo sono i più cruciali della storia tedesca


La scena si svolge in una notte senza stelle e si fa fatica a individuare immediatamente un episodio che, di solito, è solenne e ben distinto. Dentro i ruderi di una casa fatiscente (per essere precisi, nel seminterrato) Giuseppe e Maria adorano un bambino sberluccicante appoggiato su un lenzuolo in sospensione, retto da tre piccoli angioletti più simili ai nani di un racconto mitologico. Mentre il bue guarda di sottecchi la scena da un’altra zona della catapecchia, in cielo avvengono fenomeni comico-paranormali: altri tre putti litigano per tenere in mano un registro musicale e, mentre il primo indica dove leggere e il secondo si concentra sul testo, al terzo si solleva la tunica, facendo bella mostra dei suoi glutei bambineschi. A sinistra, invece, le tenebre sono squarciate da un buco spazio-temporale che mostra l’Infinito rivolgersi ai pastori, mentre l’astro dell’Avvento rifulge tra le nuvole come se fosse un pianeta da film apocalittico. È un’opera che mostra con chiarezza le cifre stilistiche che spetterà poi a tutto il percorso espositivo dimostrare nei dettagli. Il senso di voluto anticlassicismo, di violenta opposizione al dilagante gusto italiano esplode in un’arte capace di creare un linguaggio difficile, intricato e sicuramente alternativo ai canoni di proporzione, spazialità ed equilibrio costantemente ricercati nel Rinascimento propriamente detto.

Come non rimanere piacevolmente colpiti dall’anomala Crocifissione inscenata da Georg Lemberger? La tavola ha come titolo completo Allegoria della caduta e della salvezza dell’uomo ed è un’opera chiave per stile e contenuto, essendo uno specchio diretto dell’infuocato dibattito teologico che tormentava tutta l’Europa cinquecentesca e che, proprio in quei decenni, avrebbe trovato in Lutero il suo simbolo. Centrale, infatti, è la figura di Cristo, unico mezzo per salvare la propria anima, circondato - senza alcuna preoccupazione di coerenza spaziale e cronologica - da episodi atti a dimostrare l’ontologica fallacità umana (per esempio, Adamo ed Eva) e i momenti di massima epifania teologica (Cristo nel Limbo, Mosè riceve le tavole della Legge ecc.). Con il crocefisso mostrato lateralmente, un cielo bombardato da fenomeni astronomici, una foresta giganteggiante, questo capolavoro ci parla di un periodo in cui si stava creando una frattura insanabile fra il papato (e tutto ciò che lo rappresentava, arte compresa) e il mondo germanico, smanioso di rivendicare con forza una propria autonomia culturale, politica e razziale. Si susseguono, così, opere vulcaniche per invenzione, stravaganti per le forme ed espressioniste per definizione, mostrando come tale ricerca non fosse un gusto astratto e fine a se stesso, ma reale veicolo di un messaggio fortemente politico e nazionalista, forse ben oltre il concetto stesso di nazione tedesca, ancora ben lontano, ma sicuramente legato a quel “volk” pangermanico che era - da sempre - una delle identità culturali più forti di tutto il continente europeo. Così, la Cattura di Cristo di Wolf Huber è un monumento all’“horror vacui”, con quei suoi soldati orribili, cattivissimi e vestiti di armature a metà strada fra il romanzo fantasy e un set di casseruole, mentre il Seppellimento di Cristo di Altdorfer mostra una Madonna sinuosa come una statua gotica, una serie di volti sgraziati e caricaturali, nonché una prospettiva totalmente sbagliata e fraintesa. 


Georg Lemberger, Allegoria della caduta e della salvezza dell’uomo (1535), Norimberga, Germanischen Nationalmuseums.

Wolf Huber, Cattura di Cristo (1522), Monaco, Alte Pinakothek.

Eppure il tutto è condotto con assoluta maestria, come dimostra il brano paesaggistico sullo sfondo, di inappuntabile bellezza e funzionale a introdurre l’altro grande tema della mostra, cioè appunto il paesaggio. Per quanto il dibattito sia ancora oggi piuttosto acceso, è innegabile, dati alla mano, che Altdorfer fu il primo autore di un paesaggio puro, completamente svincolato dalla presenza di episodi mitologici o sacri a carattere giustificativo.
L’atmosfera è quella del sogno, e la poesia che traspare da questi paesaggi è tale da renderli un genere ben distinto dalle coeve ricerche venete e anche dalle asperità concettuali della protopaesaggistica fiamminga. Nel Paesaggio con borgo di Altdorfer le nuvole turbinano nel cielo color zaffiro e l’aurora violacea spunta dietro le montagne, oltre le sconfinate foreste di pini, tipiche della Germania più autentica. Territori incantanti, il cui immaginario visivo affonda le sue radici nella mitica Foresta Nera, luogo quasi soprannaturale e avverso all’“homo faber” fin dai tempi di Giulio Cesare. Gli fa eco il piccolo Paesaggio con Golgota a tempera del contemporaneo Wolf Huber, in cui le circolarità con cui sono delineati i raggi del sole nascente addirittura sembrano alludere alla rotondità della Terra, per una visione certamente preromantica e con aspirazioni volutamente cosmiche. Chiudono idealmente il percorso alcune opere di artisti non tedeschi, ma che furono influenzati dalla Scuola danubiana, in particolar modo per il repertorio di stravaganze e stilizzazioni di cui questa corrente fu piena. Il Trittico dell’Epifania, dell’anversano Maestro dell’Adorazione Von Groote, è un manifesto del manierismo anversese, che forse fu più debitore della pittura tedesca di quanto si creda: lo spunto è interessante, e la mostra invita chiaramente a future ricerche accademiche in questo senso.

Fantastische Welten Albrecht Altdorfer und das Expressive in der Kunst um 1500

Vienna, Kunsthistorisches Museum, fino al 14 giugno
Maria-Theresien-Platz 1010
orario 10-18, giovedì 10-21, chiuso lunedì fino alla fine di maggio
www.khm.at

ART E DOSSIER N. 321
ART E DOSSIER N. 321
MAGGIO 2015
In questo numero: L'INVASIONE DELLE ULTRAMOSTRE Expo, Biennale e le altre, in Italia e in Europa: da Leonardo a Gauguin, da Altdorfer alla Nuova oggettività, dal barocco romano a Diebenkorn. PAGINA NERA La Palermo dell'abbandono.Direttore: Philippe Daverio