Camera con vista


dire, fare, vedere:
wenders e salGado

di Luca Antoccia

Guardare, fotografare e perciò anche filmare comportano un rischio, il rischio già corso dalla grande pittura: il “rischio di vedere”, che è il centro di questa nuova rubrica tra fotografa, cinema e pittura. In altre parole il rischio che l’atto della visione si trasformi in epifania, in choc esperienziale. Come sapeva Pirandello, che nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore racconta la storia di un cineasta che diventa muto dopo aver ripreso sul set, suo malgrado, l’uccisione di un’attrice. E qui, nella vita e nell’opera del grande fotografo di esseri umani, la svolta si situa dopo il reportage del genocidio in Ruanda. Dopo aver visto e testimoniato la ferocia umana, Serafino-Sebastião (nel film Il sale della terra, 2014, di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado) diventa fotograficamente muto: smette di scattare e quando riprende si dedica ad animali e piante (come testimoniato dalla mostra Genesi, Milano, Palazzo della ragione fotografa, conclusa lo scorso 2 novembre). Ma attraverso il racconto di Salgado a Wenders si capisce che a salvarlo dal mutismo è stata anche un’altra scelta: spinto dalla moglie, in dieci anni pianta due milioni di alberi in una desolata landa amazzonica ricevuta dal padre, dimostrando che si può invertire la deforestazione e offrendo la più grande occasione di lavoro del Nordeste. Salgado esce dall’Africa, dal contatto con la morte e il colera, malato nell’anima. Il sole nero della depressione brucia per un po’ la sua vista ma non il suo cuore. Come Cézanne di fronte all’Estaque e alla Sainte-Victoire si rende conto sì che tutto può scomparire e che costruire un’immagine è aiutare il mondo a tenersi insieme, ma va anche oltre e diventa “homo faber”, (ri)costruendo un pezzo di mondo. La sua fotografa ha sollevato dubbi in Susan Sontag che lo vede complice involontario di un’estetica del dolore e di un disincanto mediatico vicino al cinismo. Ma in Messico Salgado accetta una sorta di camera della tortura affinché i Tarahumara gli concedano poi l’uso della fotocamera e dunque della sua vista. Si espone cioè di continuo alla morte e ai virus. 

Ne esce minato ma non sconfitto. Sembra proprio uno degli Uomini del ventesimo secolo di August Sanders, fotografo che Wenders amava molto e che cita diffusamente nel suo Appunti su moda e città

Ed ecco che il Wenders fotografo di paesaggi urbani ipercolorati e senza uomini incontra qui il suo doppio speculare attraverso il cinema. Molte sue passioni si ritrovano nel Sale della terra, un film di superba umiltà.


Frame da Il sale della terra (2014) di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado.

ART E DOSSIER N. 317
ART E DOSSIER N. 317
GENNAIO 2015
In questo numero: MILANO CAPUT MUNDI Leonardo designer di corte; La città al tempo della Spagna; Il laboratorio del contemporaneo, dal Futurismo al dopoguerra, a oggi. IN MOSTRA: Rembrandt, I Maya.Direttore: Philippe Daverio