Studi e riscoperte. 2
La fotografia di František Drtikol

l'alchimista
di praga

Il ceco Drtikol, partendo dal pittorialismo diffuso nell’Europa a cavallo tra Otto e Novecento, conduce la fotografia di nudo - negli anni Venti e Trenta - a esiti nuovi di astrazione formale che non cancellano la forte componente sensuale degli esordi: vere alchimie geometriche ai limiti del reale.

Walter Guadagnini

ha quasi cinquant’anni, František Drtikol, quando nel 1930 l’editore praghese Eduard Beaufort dà alle stampe il volume Donne nella luce, destinato a essere l’opera maggiore, e la più conosciuta, di un autore che ha attraversato la stagione più felice della cultura ceca nei primi anni del Novecento. Nato nel 1883, Drtikol è infatti tra i protagonisti di un periodo che, con la fine della prima guerra mondiale e la conseguente conquista dell’indipendenza e di una costituzione repubblicana, ha letteralmente trasformato la Cecoslovacchia da provincia - pur vivace - dell’impero austroungarico a nazione europea di prima grandezza, luogo nel quale si concentravano, e dal quale si propagavano, idee e personalità in ogni ambito della cultura. Drtikol (1883-1961) segue in qualche modo le vicende del suo paese; studia nella nativa Prˇíbram ma si forma intellettualmente a Monaco di Baviera, per rientrare in patria nel 1903. Dapprima a Prˇíbram, e poi a Praga, apre studi fotografici che ben presto divengono luoghi di incontro frequentati dall’intellighenzia cittadina, che trova nel giovane fotografo il proprio ritrattista e insieme un compagno di discussioni curioso e preparato. In questi anni il fotografo, sull’onda di quanto ha visto a Monaco e di quanto circola nei club fotografici del continente e degli Stati Uniti, elabora un proprio stile modellato sui canoni dell’imperante pittorialismo: grande attenzione all’aspetto tecnico della fotografia, elaborazione di immagini ricche di riferimenti all’iconografia pittorica della tradizione, trasferimento di ogni oggetto e di ogni corpo in una dimensione extratemporale, priva di qualsiasi riferimento immediato alla realtà. Una poetica di matrice simbolista, che ha come fondamento essenziale la volontà di portare la fotografia a competere, sullo stesso piano, con la pittura e le cosiddette arti maggiori, in un tentativo di nobilitazione di quella che, in questi anni, è ancora considerata - tanto nell’immaginario collettivo quanto nelle cerchie accademiche - una pratica più vicina all’industria o alla scienza che non all’arte. In questo contesto, l’area mitteleuropea è sicuramente tra le più attive: nella stessa Monaco dove studia Drtikol insegna Frank Eugene, figura di primo piano del movimento pittorialista; nei corsi di Eugene si forma per esempio anche Germaine Krull, di origini polacche; in Austria è attivo il Wiener Kamera Klub, campeggiano autori come Heinrich Kühn e nello stesso tempo figure come quella di Anton Trˇcka segnalano quanto il collegamento tra le poetiche pittorialiste e le istanze Jugendstil e simboliste fosse assai stretto. La stessa Cecoslovacchia, attraverso una figura come quella di Karel Novak, partecipa a questa stagione, dalla quale poi emergerà anche un autore come Rudolf Koppitz.



Nudo (anni Trenta).

Onda (1927).

Grido (1927).


Madre terra (1931).


Crocifssione di donna (1913).

Drtikol assorbe questo clima, e le sue prime immagini si caratterizzano in senso pittorialista non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello tematico, poiché fonte di ispirazione sono di frequente letture bibliche e mitologiche, che naturalmente fungono da innesco a “tour de force” in fase di stampa e alla possibilità di avvicinare il tema prediletto, quello del nudo, senza il pericolo di incorrere nelle reprimende di una società che solo negli anni Venti si libererà definitivamente dalla severità dei costumi dell’impero.D’altra parte, è questo un punto cruciale del quale tenere sempre conto nella valutazione delle opere fotografiche che abbiano la nudità del corpo come soggetto principale: sin dai suoi inizi, la fotografia paga la sua presunzione di realtà, il suo essere considerata come impronta fedele del reale con un rapporto duplice nei confronti della nudità, poiché da un lato è chiaro che apre a un immaginario - e a un mercato - erotico e pornografico che accoglie con straordinario favore l’invenzione e la sua diffusione, dall’altro deve mascherare questo suo realismo di fondo con l’elevazione del soggetto a un rango quanto meno artistico. È sufficiente pensare che anche i nudi dello svedese Oscar Rejlander (1813- 1875) in una composizione come Le due strade della vita, acquistata addirittura dalla regina d’Inghilterra nel 1858, furono soggetto di aspre critiche proprio per la presunta incapacità della fotografia di trasformare le modelle in altro da ciò che esse erano nella realtà, al contrario di quanto avveniva nella pittura e nel disegno. In questo senso, peraltro, proprio il pittorialismo rappresenta il momento di maggiore diffusione di questo immaginario, perché il riferimento costante alla pittura faceva sì che tra i soggetti prediletti dai rappresentanti del movimento vi fosse il nudo, genere per eccellenza della tradizione accademica, e quindi momento di confronto ineludibile. Ma se fino al 1930 la storia di Drtikol è una tra le tante possibili nella fotografia europea del tempo, la pubblicazione di Donne nella luce segna un momento di stacco per certi versi epocale, degno di essere analizzato più in profondità. Le quarantasei fotografie che compongono il volume, realizzate nel corso degli anni Venti, si configurano infatti come una straordinaria elaborazione di una serie di suggestioni che provengono dai più diversi ambiti del modernismo, filtrate attraverso una sensibilità assolutamente individuale, irriducibile a qualsiasi etichetta o movimento definiti. Le modelle di Drtikol mantengono, della stagione pittorialista, il principio di fondo dell’atemporalità, continuano a vivere in un tempo privo di legami con le contingenze della realtà, ma si muovono ora su di un palcoscenico a metà tra costruzione e astrazione, in uno spazio costituito da solidi geometrici, da figure astratte, tra teatro, architettura, danza e, per l’appunto, fotografia. Un gioco di luci dal carattere quasi espressionista, che tende a mettere in risalto il contrasto tra luce e ombra come mai in precedenza, fornisce ulteriore materia di riflessione, soprattutto perché combinato con una nitidezza di immagine totalmente affrancata dal gusto per lo sfumato e l’indefinito della stagione precedente. È come se Drtikol avesse assorbito, elaborato e reinventato attraverso queste messe in scena del corpo l’intero bagaglio della cultura dell’immagine modernista che gli stava di fianco, ma alla quale non aderirà mai, almeno ufficialmente: chiarezza della visione, sfruttamento delle caratteristiche intrinseche della macchina fotografica, costruzione della forma in chiave astratta, invenzione di uno spazio che può arrivare sino ai limiti della surrealtà, corpi che mantengono una sensualità carnale e allo stesso tempo si trasformano in puri andamenti di linee, forme tra le forme. Come nell’Onda del 1926, o in quelle composizioni dove pare affiorare, in sottofondo, la grande lezione di quelle avanguardie artistiche che, fra anni Dieci e anni Trenta, immaginavano una ricostruzione del mondo di carattere geometrico, poco prima dello scoppio della tragedia. Che Drtikol vivrà peraltro appartato, essendosi sorprendentemente allontanato dal mondo della fotografia - e sostanzialmente dall’agone pubblico - a partire dal 1935, dedicandosi alla pittura e soprattutto alla filosofia e alla meditazione.


Nudo con drappeggio (1920 circa).

ART E DOSSIER N. 316
ART E DOSSIER N. 316
DICEMBRE 2014
In questo numero: CORPO E METAMORFOSI Da Cleopatra al Posthuman; La carne e il dolore; Da Carpaccio a Pirandello. IN MOSTRA: Memling, Dai samurai a Mazinga, Doni di nozze.Direttore: Philippe Daverio