Studi e riscoperte. 1 
Il corpo in Pablo Picasso

le sfide
del grande trasfiguratore

Tema caro a Picasso, la figura umana è stata trattata dall’artista spagnolo come terreno di studio e sperimentazione, sorretto dalla conoscenza di maestri come Masaccio, Velázquez, El Greco e da un occhio attento nei confronti dei protagonisti del suo tempo con l’incessante volontà di superare le frontiere accademiche per sondare nuovi orizzonti.

Ludovico Pratesi

fin dai suoi esordi giovanili, il corpo è protagonista della pittura di Pablo Picasso (1881- 1973), vero e proprio enfant prodige del disegno. Nato con la matita in mano, il piccolo Pablo Ruiz - figlio di José Ruiz y Blasco, artista e professore all’Accademia di Belle arti a Malaga, ottimo disegnatore e notevole pittore accademico -, tracciava su fogli di carta i volti dei suoi familiari, dall’amatissima madre fino alle sorelle più giovani. La prima educazione che Pablo riceve dal padre è di tipo tradizionale, testimoniata da opere come Scienza e carità (1897), perfettamente in linea con la pittura dell’epoca. Ma il suo animo, già da ragazzo, mostrava i primi segni di ribellione, in aperto contrasto con i desideri paterni, tanto da spingerlo a rinunciare al cognome del padre per utilizzare quello della madre, lasciare Barcellona (dove si era trasferito dalla natia Malaga) e trasferirsi a Parigi. E tra i boulevard e gli atelier di Montmartre, Picasso abbandona ogni riferimento alla tradizione per affrontare strade e sfide nuove, che ruotano - non a caso - intorno alla possibile ridefinizione della figura umana all’interno della storia dell’arte occidentale. Un percorso per gradi che comincia proprio all’alba del nuovo secolo con i capolavori del Periodo blu, caratterizzato da una visione del reale che tende a trascenderne il dato fattuale per trasmettere un sentimento di “spleen” esistenziale, presente in un’opera come La vita. Dipinta nel 1903 e considerata emblematica per comprendere la complessità del Periodo blu, questa tela è il punto di partenza per esplorare l’evoluzione del corpo umano nell’arte di Picasso. All’interno di un ambiente con un soffitto a volta, davanti a due tele, dove l’artista ha tratteggiato alcuni personaggi in pose rannicchiate (un uomo solo e un abbraccio tra un uomo e una donna), si stagliano quattro figure, in una sorta di dialogo muto tra corpi, volti e gesti. A sinistra una coppia seminuda in piedi, stretta in un abbraccio, che ricorda le rappresentazioni di Adamo ed Eva dell’arte del Rinascimento, si rivolge a una donna più anziana vestita con una lunga tunica di foggia classica, dall’espressione dura e ieratica, che tiene un neonato addormentato in braccio. Il colore blu che invade l’opera è ispirato dal ricordo di Carlos Casagemas, grande amico di Picasso, che si era ucciso per amore due anni prima a Parigi, e che l’artista ritrae nel giovane in piedi, dallo sguardo intenso e consapevole. «Ho iniziato a dipingere in blu pen sando a Casagemas», spiega l’artista, che in quest’opera evidenzia le caratteristiche che rimarranno proprie della sua ricerca. Non rappresentazioni ma esperienze, in grado di trasmettere la dimensione dinamica di una pittura aggrappata a un presente interpretabile attraverso uno sguardo di Giano: da una parte lo stile di Picasso denuncia una profonda conoscenza della storia dell’arte (le sue fonti vanno dalla scultura medievale spagnola a maestri come Masaccio, Velázquez o El Greco), dall’altra, rivolgendo l’attenzione verso i suoi contemporanei che conosce e ammira (da Cézanne a Munch, da Toulouse-Lautrec a Bonnard), esprime il desiderio di superare i codici accademici per andare oltre ed esplorare nuovi territori. Questa ambiguità rimane anche nel Periodo rosa, nel quale Picasso si concentra su ritratti di adolescenti nudi, in pose affettuose e tenere, come I due fratelli (1906) e Giovanetto nudo con cavallo (1905-1906). Gli sguardi distanti e fissi, i paesaggi essenziali e ridotti a campiture di colore, i corpi immobili, raggelati in gesti bloccati e ieratici, sembrano quasi omaggi estremi a un passato che Picasso ha dovuto interiorizzare prima di abbandonarlo per sempre.


La vita (1903), Cleveland Museum of Art.

I due fratelli (1906), Parigi, Musée Picasso.


Les demoiselles d’Avignon (1907), New York, Museum of Modern Art.


Il fauto di Pan (1923), Parigi, Musée Picasso.

Il salto definitivo avviene nel corso del 1906, attraverso la riflessione sulla figura umana intesa in senso archetipale e simbolico, quasi un’icona sacra e primordiale che l’artista identifica nell’arte primitiva africana (vedrà la prima statuetta africana nello studio di Matisse) e nei bronzi iberici del V secolo, esposti in una mostra al Louvre. Il dado è tratto: nel 1907 l’artista si ritira in isolamento nel suo studio per dipingere Les demoiselles d’Avignon, punto di partenza per l’arte del XX secolo, che il suo collega Derain definirà «un’impresa disperata». Un vero e proprio “turning point”: per interpretare un soggetto tipico della pittura francese (da Poussin a Cézanne) non più volti ma maschere, non più corpi ma sculture primitive, all’interno di uno spazio astratto e geometrico, dove ogni riferimento alla realtà viene trasfigurato in una dimensione mentale, che sfocerà nel cubismo. Non solo: per indicare il suo nuovo percorso, Picasso colloca il volto-maschera della bagnante accovacciata all’incontrario (verso la schiena), per indicare l’annullamento di ogni legge fisica della natura. Con quest’opera Picasso cancella duemila anni di pittura per affermare la libertà totale dell’artista rispetto alla storia dell’arte: la conosce così bene da permettersi di “annullarla” per poi riprenderla, con uno sguardo sempre nuovo e diverso, provocato dalla ferrea volontà di interpretare il proprio tempo, costi quel che costi. Non c’è da stupirsi dunque se, dopo il suo viaggio in Italia nel 1917, durante il quale ammira non solo le opere di Michelangelo alla Sistina ma soprattutto gli affreschi della Villa dei misteri a Pompei, Picasso abbandona le linee dure e spigolose per ritornare a figure sognanti ed evocative, dai corpi tozzi ma eleganti, come nel capolavoro del suo periodo neoclassico: Il flauto di Pan (1923). Ancora una volta, l’artista si ispira al passato per trasfigurarlo, costruendo una scena dal carattere fortemente evocativo per fondere insieme Poussin e Sironi in una soluzione tesa verso una sorta di sensuale essenzialità delle forme, in un’armoniosa sintesi tra natura, architettura e umanità, non priva di risvolti erotici. Corpi disegnati più che dipinti, che si impongono come presenze simboliche: un ulteriore passaggio per arrivare a figure mostruose e grottesche, che animano le tele dei primi anni Trenta, come Figure in riva al mare (1931). Figure frammentate in masse che si uniscono attraverso il desiderio sessuale, vero protagonista dell’opera, dove membra e carni sono oggetto di una metamorfosi che le avvicina a creature animali o minerali, come ritroviamo nella composizione di Guernica (1937), drammatica allegoria del bombardamento dell’omonima città basca da parte dell’aviazione tedesca il 26 aprile del 1937.

In Guernica i corpi sono dei pupazzi, quasi delle bambole tragiche dalle teste abnormi in quanto espressioni di un dramma assoluto

Qui i corpi sono dei pupazzi, quasi delle bambole tragiche dalle teste abnormi in quanto espres sioni di un dramma assoluto, che ricordano nella loro deformazione l’Urlo di Munch. «L’insistenza nel perseguire la bellezza ha guidato le sue strade, facendolo moralmente latino, ritmicamente arabo», ha detto Apollinaire di Picasso, coraggioso pioniere dell’arte e indefesso innovatore, capace di trasformare la figura umana in un territorio di ricerca, per unire insieme tradizione e modernità, attraverso il cambiamento della bellezza in una sfida al presente per costruire il futuro.


Acrobata e giovane equilibrista (1905), Mosca, Museo Puškin.

Figure in riva al mare (1931), Parigi, Musée Picasso.


Guernica (1937), Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía.

IN MOSTRA
Firenze festeggia la recente riapertura del Musée Picasso di Parigi con un’esposizione che vede il maestro spagnolo interagire con altri artisti della sua terra attraverso una novantina di opere provenienti dalla collezione del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía. Un percorso che, nel confermare la grandezza e l'eclettismo del genio di Malaga, intende dimostrare quanto personalità come Miró, Dalí, Gris, Blanchard, González abbiano contribuito a dare nuovi stimoli al panorama internazionale del XX secolo. In un periodo compreso tra il 1910 e il 1963 troviamo capolavori come il Ritratto di Dora Maar (Picasso, 1939), presentato per la prima volta in Italia, Siurana, il sentiero (Miró, 1917) e Arlecchino (Dalí, 1927), e ancora diversi dipinti, incisioni e disegni preparatori di Guernica, mai esibiti fuori dalla Spagna in numero così elevato. Picasso e la modernità spagnola, a cura di Eugenio Carmona, professore ordinario di storia dell'arte all'Università di Malaga, fino al 25 gennaio 2015 a Palazzo Strozzi (piazza Strozzi, orario 10-20, giovedì 10-23, telefono 055-2645155, www. palazzostrozzi.org). Catalogo Mandragora.

ART E DOSSIER N. 316
ART E DOSSIER N. 316
DICEMBRE 2014
In questo numero: CORPO E METAMORFOSI Da Cleopatra al Posthuman; La carne e il dolore; Da Carpaccio a Pirandello. IN MOSTRA: Memling, Dai samurai a Mazinga, Doni di nozze.Direttore: Philippe Daverio