GLI ESORDI

In una lettera riportata nella monografia del 1919 dedicata a Gaetano Previati da Nino Barbantini(1), il 18 settembre 1890 il pittore scrisse al fratello

maggiore Giuseppe - sorta di suo confessore e mentore nei momenti difficili - annunciandogli che stava iniziando quello che sarebbe diventato forse il suo quadro più famoso, Maternità: «Ho davanti agli occhi la mia tela nella sua grandezza definitiva bell’applicata sul telaio. Quanto aspettare! Pare che in pochi giorni ripassino tutti i pensieri che ho accumulati sul mio soggetto in diversi anni dicendomi sempre di metterli in atto una volta buona, sicché il ritardo del falegname che lavorava al telaio di un giorno, mi pareva enorme. Sono anni che questo telaio l’ho ordinato, nella mia mente».
Si comprende come questo quadro non fosse un’opera fra le tante, ma “l’opera” per l’artista, un po’ come L’oeuvre di Émile Zola, romanzo che racconta la storia di Claude Lentier, artista che per tutta la vita insegue il sogno di un dipinto assoluto, L’opera, appunto, senza tuttavia riuscire mai a realizzarlo. Previati invece lo compie, e lo presenta, l’anno successivo, il 1891, alla Prima esposizione triennale di Brera, dove tuttavia subirà una cocente delusione per il modo con cui verrà accolto da pubblico e critica.

(1) A distanza di un secolo, tale monografia appare tuttora la più esaustiva sul pittore: N. Barbantini, Gaetano Previati, Roma-Milano 1919, p. 80. Salvo indicazioni diverse, le citazioni eventuali si intendono tratte da questo volume.

Autoritratto (1911); Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Maternità (1891), particolare; Novara, palazzo Bellini, Collezione Banco BPM.

Ma come era arrivato a questo dipinto l’artista? Attraverso difficoltà estreme, essendo così povero che talvolta non aveva nemmeno venti centesimi per scrivere al fratello; figurarsi per realizzare un quadro di 1,74 x 4,11 m! Però il fratello, che credeva ciecamente in lui, gli permise di poterlo dipingere.
Ma torniamo un passo indietro.
Previati nacque a Ferrara nel 1852.
Il padre, orologiaio, vedrà l’anno dopo morire la moglie, Riccarda Benvenuti, e si risposerà con una fervente cattolica, Cornelia Facchini; per cui, «La casa santificata si svegliava poco dopo l’alba e si addormentava poco dopo un’ora di notte con un mormorio di Pater e di Ave. Ogni letto aveva al lato il ramoscello d’olivo pacifico e l’acquasantiera». Ma Ferrara non era più la città che era stata fatta grande dai duchi Estensi, la città rinascimentale dell’“officina ferrarese”, dei Cosmé Tura, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti; la città “pentagona” delle cento meraviglie, come l’avrebbe definita sei decenni dopo Filippo de Pisis, con il fantasma di Ludovico Ariosto che dialogava con archi preziosi, piazze gloriose, palazzi magnifici e affreschi misteriosi. Era una città assopita da secoli di incuria vaticana, che il giovane Regno d’Italia - proclamato nel 1861 - non aveva saputo togliere dal torpore. Naturalmente i fantasmi del passato vi aleggiavano. Anche di quello recente: «O Ferrara / Quando più i duchi fra le mure tue / Dimoreranno, decadrai e i tuoi / Palazzi senza vita / non saranno / Che ruine sgretolate, e la ghirlanda / Di un Poeta sarà la tua corona / Unica», aveva scritto Byron nel Lamento del Tassocomposto dal grande poeta inglese nella cella dove verosimilmente Tasso era stato imprigionato nel 1579: «E si diceva che un signore inglese che si chiamava lordbiron si era fatto chiudere nella cella di Sant’Anna e ci aveva discorso. E non si rasentava senza paura il castello di Marfisa […]. E di notte su quell’altro castello rovesciato che si vedeva sporgendosi sotto le stelle dal muricciolo della fossa, errava Parisina e si curvava a posare sul davanzale il troppo peso della sua testa tagliata».
Evidentemente, il già ricordato Barbantini, riprendendo il testo di una sua conferenza del 1911, si riferiva al poemetto melodrammatico Ugo e Parisina di Domenico Tumiati, pubblicato a inizio Novecento con le illustrazioni di Previati, che, più tardi, nel 1913, ispirerà una tragedia di D’Annunzio sulla sfortunata Parisina Malatesta (1404-1425), musicata da Mascagni e ispirata a sua volta dal poema di Byron del 1816.


Gli ostaggi di Crema (1879); Crema, Museo Civico di Crema e del Cremasco, in deposito dalla Pinacoteca di Brera di Milano.


Una pia donzella ai tempi di Alarico (1879).

In quella provincia desolata il giovanissimo artista si iscrive per volontà paterna all’Istituto tecnico, dove tuttavia rimarrà poco, iniziando a frequentare - incoraggiato dal fratello - i corsi d’arte dell’Ateneo civico, in particolare quelli di disegno e di nudo, rispettivamente tenuti da Girolamo Domenichini e da Giovanni Pagliarini. Il primo, in particolare, nel 1836 aveva eseguito La condanna di Ugo e Parisina, quadro che larvatamente si ispirava al sentimentalismo melodrammatico di maestri come l’accademico veneziano Michelangelo Grigoletti, più che allo sto ricismo romantico di Francesco Hayez.
Ma verosimilmente l’artista che ebbe un maggior influsso su di lui fu Giovanni Pagliarini (1809 circa - 1878), influenzato dalla Venezia di Cicognara, Grigoletti, Lipparini, autore di scene religiose e di ritratti, fra i quali quello forse più famoso è il proprio, Autoritratto con famiglia (1835-1840).
A sentire Barbantini, però, questi due pittori erano «di nessuna rilevanza», anche se gli impartirono «l’insegnamento elementare fino alla copia dal gesso». Studi d’archivio più recenti hanno tuttavia evidenziato come Previati nel 1870 abbia inoltrato formale richiesta al Comune, al fine di eseguire studi sui dipinti direttamente dal vero, per visitare la Pinacoteca civica(2), dove poté ammirare opere, fra gli altri, di Gentile da Fabriano, Cosmè Tura, Mantegna.
Il giovane artista si fece subito notare nella scuola ferrarese, ottenendo premi in disegno e in copia dal gesso nei primi anni Settanta. Seguirono tre anni di servizio militare nei bersaglieri a Livorno e, nel 1876, il suo assistentato presso la cattedra della Scuola di disegno d’ornato, di architettura e di prospettiva. In quello stesso anno vi fu la svolta. Dapprima, per pochi mesi andò a Firenze - aiutato dalla Provincia ma soprattutto dal fratello Giuseppe - dove studiò da Amos Cassioli (1832-1891), pittore che aveva seguito gli insegnamenti del purista Luigi Mussini (1813-1888), e che in quegli anni stava lavorando a un’enorme Battaglia di Legnanoora alla Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti a Firenze. Infine, affascinato probabilmente dall’illustrazione di un dipinto di Giuseppe Bertini, accademico di Brera che era stato allievo di Hayez, nel 1877 decise di trasferirsi a Milano. Stando a Barbantini, Previati giunse tardi per le iscrizioni in quell’accademia, per cui iniziò a frequentare la Scuola libera del nudo, venendo subito notato dallo stesso Bertini, che lo fece ammettere. Due anni dopo Previati dipinse Gli ostaggi di Cremaquadro con cui si aggiudicò uno dei concorsi di Brera, il Premio Canonica per un soggetto storico. Le figure degli ostaggi dell’imperatore Barbarossa, indistinte e quasi preinformali, testimoniano gli effetti chiaroscurali di uno dei pittori maggiormente in voga nell’Italia di quel tempo, quel Domenico Morelli, napoletano, che aveva fatto del realismo uno dei cardini della propria pittura; ma al contempo, tratti dello sperimentalismo di Tranquillo Cremona, celebre esponente della Scapigliatura milanese, morto nel 1878.
Due anni dopo Previati compì l’opera forse più famosa e impegnativa di questo primo periodo, Cesare Borgia a Capua (o Il Valentino), dipinto di quasi 3 m d’altezza x 6 di larghezza, ora alla Cassa di risparmio di Forlì, che l’artista inviò all’Esposizione nazionale di Torino del 1880. Per il dipinto Previati scelse di commentare l’assedio e il massacro perpetrato da Cesare Borgia nel 1501 nella città campana per mezzo di truppe spagnole e francesi, attraverso un episodio ricordato dal Guicciardini nella Storia d'Italia, indicatore della lascivia del Valentino. Sebbene il quadro riscuotesse il favore del pubblico e venisse acquistato da un nobile - ed era la prima volta che il pittore aveva un’opera comprata in una mostra importante - la critica, forse anche per la sua ostentata licenziosità, lo stroncò inesorabilmente.
Giuseppe Chirtani, critico di grido del “Corriere della Sera” e dell’“Illustrazione Italiana”, lo considerò una sorta di abbozzo, lamentando l’occasione mancata da parte di un artista che di sicuro aveva talento, ma «che lo sciupa[va] in conati superiori alle sue forze. [Infatti a suo dire] in questo dipinto grandioso le figure sembrano più piccole delle dimensioni che hanno, il vuoto prevale sul solido, e manca l’originalità della mano e della visione del colore».
Il quadro tuttavia, come già detto, ebbe grande impatto sul pubblico. Al punto che, ricorda in un aneddoto Barbantini, nel 1883 il generale capo di una commissione medica militare che doveva visitare Previati gravemente ammalato a Bologna, avendo saputo che era stato l’esecutore del Cesare Borgia a Capua, invece di invitarlo in caserma per effettuare la visita, decise di andare a casa dell’artista a Ferrara.


Domenico Morelli, Le tentazioni di Sant’Antonio (1878); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Considerato fra i maggiori artefici del verismo napoletano, Morelli, che pur era stato alla Esposizione universale di Parigi del 1855, non attinse se non marginalmente dai suggerimenti dei Corot, Millet, o dello stesso Courbet; né, più tardi, da quelli provenienti dalla cultura figurativa giapponese. Il suo fu infatti un verismo di compromesso fra tradizione accademica e una modernità interpretata spesso scenograficamente.


Tranquillo Cremona, L'Edera (1878); Torino, Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.

È verosimile che Previati, giunto l’anno prima a Milano, sia stato colpito dalla morte, nel 1878 a quarantuno anni, di Tranquillo Cremona, artista padre della Scapigliatura milanese, per il quale nello stesso anno i Grubicy organizzarono una retrospettiva al Ridotto del teatro alla Scala. In questo celebre quadro, che ispirò mezzo secolo più tardi la commedia psicologica omonima di Carlo Faggiani, il pittore allude simbolicamente alle passioni forti, simili all’edera che si avvinghia come i corpi dei due protagonisti (un uomo e una donna? Due donne?), veri e a un tempo illusori come le loro immagini, evanescenti eppur reali, ottenute con una pennellata dall’effetto quasi “flou”, archetipo di quello che sarà, poi, il divisionismo affatto personale di Previati.

(2) Vedi in proposito, F. Tedeschi, Gaetano Previati: formazione e attività predivisionista, in Gaetano Previati 1852-1920. Un protagonista del simbolismo europeo, catalogo della mostra (Milano, Palazzo reale, 8 aprile - 29 agosto 1999)\, a cura di F. Mazzocca, Milano 1999, p. 32. Le notizie successive sui primi anni di formazione s'intendono prese soprattutto da questo testo.

Cesare Borgia a Capua (o Il Valentino) (1880); Forlì, Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì.


Paolo e Francesca (1887 circa); Bergamo, Accademia Carrara.

Fumatrici di hashish (1887). Il dipinto, presentato all’Esposizione nazionale di Venezia del 1887, antesignana della futura Biennale, inaugurata nel 1895, costituisce una sorta di discrimine fra il periodo romantico e quello simbolista di Previati. Ne esiste anche una versione successiva e di minori dimensioni alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza.


Il bacio (o Romeo e Giulietta) (1889 circa).


Adorazione dei magi (1890-1894); Tortona (Alessandria), Il Divisionismo, pinacoteca Fondazione Cassa di risparmio di Tortona.

PREVIATI
PREVIATI
Sileno Salvagnani
Gaetano Previati (Ferrara 1852 - Lavagna 1920) si forma a Milano nell’ambiente della Scapigliatura ma sceglie prestissimo di avvicinarsi alle sperimentazioni dei divisionisti francesi e di Segantini. Divisionista è il suo primo lavoro di successo, Maternità (1890). Col tempo sviluppa anche tematiche mistico-simboliste sulla scia di Redon e Rops. Nel 1907 è alla Biennale di Venezia e poi alla mostra dei divisionisti italiani che sitiene a Parigi su iniziativa del mercante Grubicy, che sarà il suo principale sostenitore. Esplora i più diversi soggetti – compresi paesaggi e nature morte – ma torna più spesso su temi religiosi, fantastici, letterari.