LA TRIENNALE DI MILANODEL 1891

«Caro Beppe, […] domani mattina inesorabilmente il quadro va a Brera […]

Comunque sia spero che l’inciampo della tecnica diversa non varrà a nascondere del tutto il sentimento che anima la composizione e una parte dell’impressione benevola sentita nelle diverse persone che hanno visto il quadro possa farsi strada nella generalità dei riguardanti».
Così scriveva il 9 aprile del 1891 Previati al fratello(3). Il quadro in questione era ovviamente Maternità, iniziato dall’artista l’anno precedente, ora di proprietà della Banca popolare di Novara, mentre la «tecnica diversa» cui faceva riferimento era il divisionismo. La teoria del divisionismo, derivante dagli studi sul cerchio cromatico che alcuni decenni prima aveva elaborato Eugène Chevreul, nel 1885 era stata adottata dal grande pittore francese Georges Seurat, pontefice del cosiddetto “pointillisme” - tecnica pittorica che si basava sui contrasti simultanei ottenuti accostando i colori complementari (rosso e verde azzurrino, arancio e azzurro, giallo verde e viola).


Maternità (1891); Novara, palazzo Bellini, Collezione Banco BPM.

Meglio ancora sarebbe dire le luci complementari, in quanto i colori che appaiono sulle superfici dei diversi materiali altro non sono che luce. Nella Milano di quel tempo fu invece subito abbracciata da Vittore Grubicy - dealer, gallerista, critico d’arte nonché pittore - quindi, con entusiasmo, dallo stesso Previati. Il quale, in una lettera al fratello della fine del 1890, scriveva: «Una sera mentre come al solito stavo fissando quella tela [Maternità] disperato di venirne a capo secondo quel lavorio interno che non riuscivo a tradurre col pennello, la vidi d’improvviso tutta dipinta con quella tecnica nuova [il divisionismo].
Non rivissi mai più un’epoca di fervore e di speranza eguale a quella».
Ma le speranze di Previati erano fallaci. Quella Prima esposizione triennale di Brera, che riprendeva le vecchie esposizioni annuali dell’omonima accademia nate a inizio Ottocento, doveva rappresentare una sorta di vetrina della miglior produzione artistica italiana coeva. Per l’occasione, nacque anche un periodico, “Brera 1891. Cronaca dell’Esposizione di Belle Arti”, il cui compito - si legge nel primo numero - era quello di costituire una specie di guida per il visitatore, ripromettendosi di intraprendere un viaggio ideale «che servirà ad attirare l’attenzione su tutte le opere notevoli, a qualunque indirizzo d’arte esse appartengano, e indipendentemente da qualunque scuola». Previati esponeva il proprio quadro al primo piano, nella sala L, che ospitava anche Le due madri di Giovanni Segantini, uno dei rari quadri dipinti con la tecnica nuova, entrambi riprodotti nel catalogo della Triennale. Segantini, che aveva studiato all’Accademia di Brera fra il 1875 e il 1879, già da un decennio s’era legato alla galleria milanese dei Grubicy, Vittore e Alberto - il primo avrebbe ceduto poi l’attività completamente al fratello - che lo avevano lanciato a livello internazionale oltre che nazionale: per esempio a Stoccarda, invitato dalla Società di belle arti; a Londra nel 1888, dove aveva esposto con Cremona, Morbelli e Ranzoni; ancora, all’Esposizione universale di Parigi del 1889: ottenendo sempre un rilevante successo di pubblico e di critica.


Georges Seurat, Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte (La Grande Jatte) (1884-1886); Chicago, Art Institute of Chicago.

Forse il più famoso quadro del puntinismo, antesignano francese del divisionismo, fu concepito dall’artista nel 1884 ed esposto nel 1886 all’ottava e ultima mostra degli impressionisti con altre sue tele e alcuni disegni. Incontrò la stessa disapprovazione con cui sarebbe stata accolta Maternità di Previati alla Triennale di Milano del 1891. È impossibile peraltro che il pittore ferrarese abbia visto La Grande Jatte, essendo rimasto per molto tempo dopo la morte di Seurat, avvenuta nel 1891 a soli trentun anni, nel suo studio, mentre è assai probabile che l’eco di tale decesso sia arrivata alle sue orecchie.

Frontespizio del catalogo della Prima esposizione Triennale di Belle arti di Milano (1891), tenuta presso la Pinacoteca di Brera.


Frontespizio del primo numero di “Brera 1891. Cronaca dell’Esposizione di Belle Arti”.

Inoltre, la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma gli aveva acquistato Alla stanga per una cifra assai rilevante. Sul finire del decennio anche il pittore altoatesino s’era convertito al divisionismo; anche se vi erano significative differenze tra i due nel modo stesso di eseguire un quadro: per esempio, al di là della tecnica, in Previati, rigorosamente in atelier, in Segantini, perlopiù all’aperto, come gli impressionisti. Perdipiù differente era l’approccio al reale, l’uso del controluce nei diversi piani, probabilmente dovuto, come ha ipotizzato la maggiore studiosa di Segantini, Annie-Paul Quinsac, a un uso attento dei dagherrotipi prima e della fotografia dopo.
Tornando ai due dipinti esposti nel 1891, comunque, ciò che la nuova tecnica conferiva loro era una straordinaria luminosità, impossibile da ottenere con gli impasti bituminosi della pittura accademica tradizionale.
Peraltro, benché genericamente entrambe divisioniste, piuttosto distinte erano le tecniche: Previati usava delle pennellate assai lunghe, filamentose, come se gli angeli e le altre figure ectoplasmatiche attorno a madre e figlio fluttuassero in un elemento acquoreo trasparente, più che in un’atmosfera tersa e brillante; laddove Segantini adoperava tratti brevi e quasi sincopati, producenti una luce del pari squillante; lungi, in ogni caso, dalle coeve esperienze francesi.
Maternità fu accolta da pochissime voci favorevoli, fra cui quella doverosa di Vittore Grubicy, che evidenziò non solo, o non tanto, la nuova tecnica, ma soprattutto l’ingresso del pittore nell’universo simbolista:
«Se il mio cervello è tormentato da un’idea astratta, mistica, indefinita nelle sue parti la cui bellezza estetica - per me - risiede appunto in questa sua indeterminazione simbolica: se nel mio cervello questa idea, col cercare di incorporarsi e di manifestarsi […] non trova la sua espressione se non mantenendosi in una specie di visione complessiva fluttuante, sintetica, di forme e di colori, che lascino appena intravedere il simbolismo o ideismo musicale e quasi sopraterreno del mio pensiero; perché non mi sarà permesso di tentare la ricerca di un linguaggio, di un suono più tassativamente appropriata, invece di valermi delle solite parole, dei soliti strumenti, delle solite formule, che servirebbero bensì ad esprimermi secondo le consuetudini, ma non mi soddisfano, perché parmi che qualsiasi richiamo alla realtà debba contrastare la natura dell’immagine complessiva che io accarezzo nella mia mente?»(4).
Oltre a lui, pochi difesero l’opera: fra questi Alfredo Melani - architetto e intellettuale che avvicinò Previati a uno dei protagonisti del simbolismo, Puvis de Chavannes - e lo stesso Segantini, che nutriva molta stima nei suoi confronti, ricambiata in egual misura da Previati.
Ma molti di più furono i commenti negativi, che passavano da coloro i quali ammettevano di non capirci nulla guardando quei simulacri di forme, ad altri che ne giudicavano cattivo il disegno, ad altri ancora che si limitavano a riportare i commenti di incredulità e sgomento del pubblico, i suoi sghignazzi divertiti, che fanno venire alla mente quelli del Salon des Refusés del 1863 a proposito del Déjeuner sur l’herbe di Manet, riportati crudamente da Zola nella citata Oeuvre.

Ferdinand Hodler, Le anime deluse (1892); Berna, Kunstmuseum.


Giovanni Segantini, Le due madri (1889); Milano, Galleria d’arte moderna.


Primo manifesto del Salon Rose+Croix, Parigi, Galerie Durand-Ruel, 1892.

Per dirla magistralmente con Barbantini, i critici imputavano a Previati che il suo modo di dipingere «non era la pennellata sensuale e calda di Carcano, la pennellata fine e argentina di Gignous, quella misteriosa e vibrante di Cremona». Tutti esclamavano:
«Questa l’è minga pittura», non è mica pittura! Il più severo era ovviamente Chirtani. Se in passato qualche concessione a Previati l’aveva fatta, ora - senza nominarlo espressamente - lo accusava addirittura di aver costituito un accademismo alla rovescia, quello di coloro i quali «propagandano tutte le stranezze artistiche ivi gabellate per novità [che non sono altro se non] ripropaggini di vecchie code: accademismi rifritti, gonfiature di palloncini lanciati nel vacuo aere in forma di pupazzi maestosi».
Tutto questo provocò una forte amarezza nell’artista. Il quale peraltro l’anno dopo partecipò, proprio con Maternità, alla prima mostra dei Rose + Croix, che si tenne presso la celebre Galerie Durand-Ruel di Parigi. Fondata dallo scrittore e pittore Joséphin Péladan, la setta dei Rose + Croix rappresentava la parte più ermetica ed esoterica del simbolismo, movimento letterario ufficializzato nel 1886 da Jean Moréas, che proclamava l’affermazione in letteratura di un movimento contro il naturalismo e il verismo e, nel 1891, dal critico e scrittore Albert Aurier, che accostò il simbolismo letterario a quello artistico interpretandolo come un modo di rappresentare le idee attraverso le forme. Tale partecipazione ha spinto una grande studiosa del divisionismo come Annie-Paule Quinsac a dire che Maternità scatenò le ire della critica non soltanto per la tecnica divisionista, o per il disegno insufficiente e la composizione banale, ma soprattutto per «l’ispirazione troppo mistica»(5). In effetti nella Francia dell’epoca nacquero movimenti artistici ispirati a esoterismo o a religiosità esotica: si pensi a Gauguin e i suoi discepoli di Pont-Aven, o ai Nabis (Profeti) con Paul Sérusier, Pierre Bonnard ma soprattutto Maurice Denis. Se si va però a vedere chi esponeva al Salon de la Rose + Croix del 1892 accanto a Previati, per esempio lo svizzero Ferdinand Hodler con Le anime deluse (1892, Berna, Kunstmuseum), o l’alsaziano francese Charles Filiger con Madone aux vers luisants (Madonna delle lucciole) (1892 circa), o il francese Henri Martin con Giovane santa (1891, Brest, Musée des Beaux-Arts), oppure l’olandese nato a Giava Jan Toorop con La nuova generazione (Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen), si comprende come la “religiosità”, o meglio, il simbolismo di Previati fosse assai diverso: più “laico”, se vogliamo. Certo, specie negli anni che seguirono, Previati ebbe pure una rilevante produzione religiosa: si pensi a I re magi (1892, Milano, Pinacoteca di Brera), o anche alle Marie ai piedi della croce (1897, collezione privata), o ancora a L’Assunzione (o L’Assunta, 1901-1903 circa, Ferrara, Museo dell’Ottocento); per non parlare degli affreschi della Via Crucis a Castano Primo (Milano), del 1888, staccati e trasferiti su tela in anni successivi. Rispetto a tutti gli autori ricordati dei Rose + Croix, o anche a un cattolico e medievalista quasi preraffaellita come Maurice Denis - pittore che molti anni dopo Giorgio Nicodemi avrebbe richiamato parlando di Previati(6) - l’idea di trascendenza, di superamento
della materialità verso una sfera ideale assoluta, veniva in qualche modo compensata dalla contemporanea passione quasi “scientifica” per le tecniche artistiche, tale da porsi nel solco di quell’attrazione che dalla trattatistica leonardesca in avanti aveva contraddistinto l’arte in Lombardia.
A differenza dei Denis, Péladan e in genere delle coeve Arts and Crafts inglesi, per Previati la tecnica non era uno strumento per arrivare a un’impossibile suggestione collettivistica medievale, a una sorta di opera d’arte totale frutto della molteplicità dei saperi di artisti e popolo: ma uno strumento di conoscenza quasi deuteragonista della pittura stessa.


Le Marie ai piedi della croce (1897).


L’Assunzione della Vergine (o L’Assunta) (1901-1903 circa); Ferrara, Museo dell'Ottocento.


Nel prato (o Pace) (1889); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

Questo dipinto, la cui datazione viene fatta risalire al 1889, dalla descrizione che l’artista ne fece in una lettera di quell’anno al fratello, fu di certo in seguito modificato, almeno fino a quando venne esposto alla Biennale veneziana del 1912, anno in cui fu acquistato dal Ministero della Pubblica istruzione e donato al museo fiorentino. Ne esiste anche una versione di maggiori dimensioni a pastello, ora alla Galleria d’arte moderna di Milano. Rappresenta un momento di ricerca nel passaggio dell’artista al divisionismo, sebbene il soggetto lontanamente ricordi, per esempio, l’impressionismo di un Monet.

(3) Vedi G. Previati, Lettere al fratello, con Introduzione di S. Asciamprener, Milano 1946, p. 60. I corsivi delle citazioni successive sono nel volume.
(4) Testo riportato da F. Mazzocca nella scheda del dipinto in Gaetano Previati 1852-1920. Un protagonista del simbolismo europeo, catalogo della mostra, cit., p. 130.
(5) Vedi A.-P. Quinsac, La peinture divisionniste italienne. Origines et premiers développements (1880-1895), Parigi 1972, p. 39.
(6) Cfr. G. Nicodemi, L’opera religiosa di Gaetano Previati, Milano s.d. (ma 1918), p. 7 e passim.

PREVIATI
PREVIATI
Sileno Salvagnani
Gaetano Previati (Ferrara 1852 - Lavagna 1920) si forma a Milano nell’ambiente della Scapigliatura ma sceglie prestissimo di avvicinarsi alle sperimentazioni dei divisionisti francesi e di Segantini. Divisionista è il suo primo lavoro di successo, Maternità (1890). Col tempo sviluppa anche tematiche mistico-simboliste sulla scia di Redon e Rops. Nel 1907 è alla Biennale di Venezia e poi alla mostra dei divisionisti italiani che sitiene a Parigi su iniziativa del mercante Grubicy, che sarà il suo principale sostenitore. Esplora i più diversi soggetti – compresi paesaggi e nature morte – ma torna più spesso su temi religiosi, fantastici, letterari.