La pagina nera

quelle ville imperiali
sfatte son dai fortunali

Messe a dura prova dagli inevitabili fenomeni naturali, le ville degli imperatori romani, affacciate sul mar Tirreno, rischiano di diventare sbiaditi ricordi tra tagli economici, speculazioni e disarmante noncuranza. Detiene il triste primato la dimora di Anzio, seguita da quella di Sperlonga.

Fabio Isman

per gli antichi romani, il Tirreno era davvero il mare “lorum”: serviva ad approvvigionare l’Urbe; ne ospitava la flotta, che le è stata fondamentale; era anche la sede ideale dei loro “otia”, cioè di tutto quanto fosse estraneo agli impegni politici, militari, oppure religiosi. Le sue coste, e le isole, sono tutte cosparse delle loro ville. Se, almeno tradizionalmente, Catullo amava soggiornare sul lago, su quello di Garda, a Sirmione, numerosi imperatori, senatori e aristocratici hanno edificato il proprio “buen retiro” sul mare che era anche quello di Roma. Se ne vedono ancora tracce abbondanti: dalla cosiddetta villa di Pompeo non lontana dal castello Odescalchi, a Palo Laziale (le strutture più antiche sono del I secolo a.C.; è in uso per l’intero periodo imperiale e, con i suoi materiali e il cemento, nasce, alla vigilia della seconda guerra mondiale, una torretta d’avvistamento), fino alla penisola sorrentina. Se nella remota Ventotene fu mandata in esilio Giulia, figlia di Augusto, madre di due eredi dell’imperatore, Lucio e Gaio, e moglie di un terzo, Tiberio (si vedono le rovine di una villa imperiale; sull’isola non erano ammessi uomini: vi trascorse cinque anni, per finire poi, secondo alcuni, a Reggio Calabria, nell’ormai demolita torre chiamata con il suo nome), lo stesso Tiberio si fece costruire ben dodici ville a Capri; e almeno la Jovis, la Damecuta e il Palazzo a mare sono ancora leggibili.
Un po’ tutte le isole tirreniche erano cosparse di dimore, di solito bipartite: una sezione più rustica per gli schiavi e i magazzini, e una più “urbana” per il proprietario e i suoi. Una sontuosa villa romana della famiglia dei Domizi Enobarbi, del II secolo d.C., è a Giannutri; i ruderi di un’altra, a Pianosa; Valerio Messalla possedeva quella “alle Grotte” sull’isola d’Elba, e anche quella rustica scoperta nel 2012 nella piana di San Giovanni, che le è sopra e le era collegata. Recentemente, un subacqueo di Capri ha rinvenuto, e segnalato alla Soprintendenza, tre pezzi di conglomerato con tessere di mosaico, e un marmo affiorante dalla sabbia, su un fondale di neppure dieci metri: forse materiali caduti di villa Jovis, forse di un’altra costruzione. A mezz’ora da Napoli, ormai quasi del tutto sommersa, è Baia, per qualcuno «la piccola Atlantide dell’antica Roma», nata sotto l’imperatore Claudio: Seneca la chiamava «il villaggio del vizio» e Ovidio «luogo appropriato per fare l’amore»; famosi i mosaici, i bagni, le sorgenti termali, le magnifiche sculture che la qualificano come sito da “upper class”; è sprofondata per un bradisismo.
Al sorgere dell’impero, Roma era la maggiore città del mondo: più vasta di Pergamo, nell’Asia Minore; più di Antiochia, nella provincia di Siria; più di Alessandria di Egitto; le ville, in campagna o sul mare, erano i luoghi in cui i signori si ritempravano. «Non mi agitano né speranze, né timori, non mi turba alcuno strepito. Parlo solo con me e con i miei libri. Oh vita innocente e schietta; raro e onorato ozio, più bello quasi di qualsiasi negozio. Oh mare, lido vero, e segreto tempio delle Muse», scriveva Plinio il Giovane(1). Come chiudeva il senato, nel I secolo a.C. da aprile a metà maggio, gli “otia” in Campania erano un obbligo per molti. Strabone, geografo del tempo di Augusto, dice che l’intero golfo di Napoli era «arricchito lungo la sua estensione sia dalle città […], sia, negli spazi intermedi, da residenze e piantagioni le une vicine alle altre, che offrono nell’insieme l’aspetto di un solo abitato»(2); tra i tanti, ci passò gli ultimi anni della sua vita Scipione l’Africano, a Liternum; e ci vissero anche Cornelia, la madre dei Gracchi (a Miseno), Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla (più verso Cuma), Lucullo (a Napoli e a Nisida), Cicerone, Cesare e Pompeo. Le coste campane, protette anche dalla flotta di stanza a Miseno, erano una seconda Roma: quella del lusso e dei piaceri. Maiori, Positano, Vietri, per citare solo alcune località, conservano ancora gli echi di quell’antica ricchezza.



Sperlonga, ruderi sulla spiaggia, accanto alla villa di Tiberio.

Disegno ricostruttivo della villa di Plinio il Giovane a Laurento, nei pressi di Ostia. Tratto da L. P. Haudebourt, Le Laurentin, Maison de Campagne de Pline Le Jeune, Parigi 1838.

Anzio, confronti tra incisioni del 1866 e oggi della facciata a mare e delle “Grotte di Nerone” della villa imperiale.


Anzio, confronti tra incisioni del 1866 e oggi della facciata a mare e delle “Grotte di Nerone” della villa imperiale.

Anzio, confronti tra incisioni del 1866 e oggi della facciata a mare e delle “Grotte di Nerone” della villa imperiale.


Anzio, confronti tra incisioni del 1866 e oggi della facciata a mare e delle “Grotte di Nerone” della villa imperiale.

Ma più a nord, più vicino Roma, tre imperatori edificano sul mare complessi straordinari: Domiziano a Sabaudia, sulle rive del lago di Paola; Tiberio a Sperlonga; Nerone nella natia Anzio. Le due ultime ville soffrono per i tagli alle risorse dei Beni culturali: nell’ultimo triennio, Anzio non ha ricevuto nemmeno un euro dal ministero. E i risultati, purtroppo, si vedono. Tante mareggiate, nel tempo, hanno assalito queste meraviglie; e, in particolare, vasti brani della villa di Nerone (più correttamente villa imperiale: vi misero le mani anche Domiziano, Adriano e Settimio Severo) negli ultimi cinquanta anni, sono assolutamente scomparsi. Sperlonga ha ricevuto 25mila euro nel 2013, per i restauri: ma nei due precedenti, ne chiedeva 150mila all’anno. La villa di Tiberio è assai importante: nel 1957, ha restituito statue che ricordano il Laocoonte dei Musei vaticani, rinvenuto in uno scavo a Roma nel 1506; perfino con i nomi dei tre artisti di Rodi che ne sono gli autori: Agesandro, Atanodoro e Polidoro; per ospitare quelle statue, è sorto nel 1963 il Museo archeologico nazionale di Sperlonga. La villa conserva ambienti fantastici: pure una singolare “coenatio”, sala da pranzo estiva a pelo d’acqua. Però, sulla riva del mare, un recente sopralluogo ha rilevato che una struttura muraria, non lontana dalle caserme e dalle stalle, è ormai collassata; tutt’attorno, erba alta; vicino, stabilimenti balneari e qualche discoteca.

Anzio, l’“Arco muto”, estrema propaggine ovest della villa imperiale, appena alcuni decenni fa.


Un’immagine della villa di Anzio: un vano pertinente dell’antico porto neroniamo.


Un’immagine della villa di Anzio: un vano pertinente dell’antico porto neroniamo.

Ancora peggio, tuttavia, se la passa la villa di Nerone. L’imperatore era ad Anzio, dice Tacito, mentre Roma bruciava; qui è nata sua figlia; Coriolano ci vive in esilio, Caligola vi vede la luce, Cicerone vi riorganizza le sue biblioteche. L’edificio imperiale è forse lo stesso in cui, racconta Svetonio, Augusto riceve, nel 2 a.C., il titolo di Padre della patria. Da qui provengono l’Apollo del Belvedere dei Vaticani, «il più alto ideale dell’arte nelle opere antiche» per Johann Joachim Winckelmann, copia di un bronzo greco di Leocares, del 325 a.C.; il Gladiatore Borghese, che invece è greco, trovato durante alcuni scavi realizzati nel 1609 in diciassette frammenti, ora al Louvre; e, trovata nel 1878 presso l’“Arco muto” della villa, la Fanciulla di Anzio del Museo nazionale romano - Palazzo Massimo, tra i più strani reperti dell’antico: un’offerente alta un metro e settanta reca un piatto di marmocon «elementi votivi: una benda arrotolata, un ramo di alloro, una zampa anteriore di leone», spiega l’archeologa Licia Vlad Borrelli; capelli annodati in fronte, un chitone drappeggiato sulla spalla scopre il petto, in un’infinita dolcezza.
Ci sono ancora resti delle murature, mosaici pavimentali nella parte superiore, ruderi della “biblioteca di Domiziano” che è un criptoportico. Sottoterra, anche vasti ambienti, però inaccessibili: colpa dei pochi custodi e dei locali in cattiva salute, rischiano di collassare. E vi abbondano i rifiuti. Il grande “Arco muto” sul mare, dove fu trovata la Fanciulla, non c’è più: vecchie immagini lo testimoniano, e qualcuno lo ricorda in piedi neppure mezzo secolo fa. Maria Antonietta Lozzi Bonaventura, già docente, fa parte di un Comitato civico per la salvezza della villa: «Mezzo secolo fa, esistevano più parti della struttura che non oggi; me le ricordo. Attorno al 1970, una mareggiata scoprì un muro totalmente affrescato. I dipinti furono staccati, poi però dimenticati per decenni in due magazzini. Quando arrivarono i fondi del Giubileo del 2000, si scoprì che erano, in buona parte, svaniti; quanto resta, è al museo». Un altro appassionato locale, Claudio Tondi, ha recuperato un librino di Clemente Marigliani, Il fascino delle rovine, che ha delle cromolitografie del 1866; con l’architetto Paolo Prignani, ha ritratto i medesimi scorci, dall’angolatura con cui erano stati ripresi. Per carità: si tratta di ricostruzioni ideali, ma il confronto fa paura; al posto di arcate alte tre metri, restano soltanto dei muretti di qualche decina di centimetri.

Scorcio della villa di Anzio dal cosiddetto “Arco muto”;


Il molo in cemento realizzato in gran fretta a gennaio 2014.

La villa possedeva un fronte sul mare lungo cinquecento metri e alto quindici. Ne sopravvive appena una pallida ombra; e il degrado è sempre più rapido. La stessa Soprintendenza parla di un «pessimo stato di conservazione», e «fortissimo rischio di totale perdita» per parte del complesso, i cosiddetti “grottoni”, che erano i magazzini sul mare. Lo scorso inverno, due pesanti mareggiate. E in gran fretta, spunta una sorta di molo perpendicolare, a pelo d’acqua, del costo di 660mila euro; però, a difesa «dell’antico porto neroniano», come spiega un cartello, e non della villa. «Opere con il consenso della Soprintendenza, ma non eseguite da lei», dice Maria Antonietta Lozzi. Una colata di cemento a ridosso dei ruderi. Il primo passo per un futuro grande porto, che da tempo il Comune auspica: questo teme il Comitato per la difesa della villa. Perché, si sa, i natanti da diporto rendono assai più della “povera” archeologia, non è vero?

Due statue provenienti dalla villa di Nerone ad Anzio: a sinistra, la Fanciulla di Anzio, copia da un originale greco del II secolo a.C., trovata nel 1878 e conservata nel Museo nazionale romano - Palazzo Massimo;


l’Apollo del Belvedere, copia di un bronzo greco di Leocares del 325 a.C., Città del Vaticano, Musei vaticani.

(1) Plinio il Giovane, Epistularum Libri decem I, 9.
(2) Strabone, Geografia, V, 4-8.

ART E DOSSIER N. 314
ART E DOSSIER N. 314
OTTOBRE 2014
In questo numero: CHIC! ARTE, STILE ED ELEGANZA Dai dandy del Cinquecento alla scultura dell'Illuminismo da Montesquiou a Iké Udé. IN MOSTRA: Horst, Arte islamica, Dossi.Direttore: Philippe Daverio