Grandi mostre. 3 
Dosso Dossi a Trento

altri rinascimenti

Una revisione del folgorante percorso artistico di Dosso Dossi: una serie di opere chiave a confronto con i prestigiosi apparati decorativi realizzati, in compagnia del fratello Battista, nel Magno Palazzo trentino del cardinale Bernardo Cles. Ce ne parla qui uno dei curatori.

Vincenzo Farinella


perché allestire una mostra su Dosso Dossi a Trento, nel castello del Buonconsiglio, quindici anni dopo la grande retrospettiva dedicata al pittore estense, tra il settembre del 1998 e il luglio del 1999, presso le Civiche gallerie d’arte moderna e contemporanea di Ferrara, il Metropolitan Museum of Art di New York e il John Paul Getty Museum di Los Angeles? Una risposta a questa domanda e le ragioni di questa nuova mostra si possono sintetizzare in tre punti.

In primo luogo l’esposizione trentina si inserisce nella fortunata serie di mostre della “Città degli Uffizi”, ideata qualche anno fa da Antonio Natali e giunta ormai, con questo dossesco, al suo sedicesimo appuntamento. Il progetto è nato, come scrive lo stesso direttore degli Uffizi, dall’«idea di offrire un’immagine del museo che vada oltre quella consolidata di luogo deputato alla migliore conservazione delle opere d’arte, per andare a toccare nel vivo l’educazione stessa. Museo inteso, anche, come nucleo di propulsione culturale centrifuga. Per corrispondere a quest’esigenza s’è pensato che sarebbe tornato utile rinverdire i rapporti degli Uffizi con quelle terre (e sono tante) che con la galleria hanno legami, antichi e moderni. E per rinverdirli si tratta, per esempio, di riportare temporaneamente opere degli Uffizi (specie della riserva) nei posti ai quali erano connesse o pei quali erano state addirittura eseguite. Così facendo, oltre tutto, si portano alla conoscenza della gente creazioni che, proprio per essere sistemate nelle stanze dei depositi, sono poco note o perfino ignote. Ma nel contempo il luogo prescelto per la mostra può godere dei riverberi di cultura che, per i più, gli Uffizi ancora promanano. [...] Trento non rientra certamente fra i posti poco frequentati [...]. Né, parimenti, c’è bisogno di chi sottolinei il pregio del Castello del Buonconsiglio. Cui tuttavia pur sempre gioverà la rivelazione di rapporti stretti con gli Uffizi; a loro volta, peraltro, da essi gratificati. Anche così si ravviva la cultura». L’occasione, in questo caso specifico, è stata offerta dalla presenza, nei depositi del museo fiorentino, di tre tavole con ritratti di condottieri, avvicinate in passato a un quarto pezzo della Galleria Colonna rimarcando affinità con i risultati della ritrattistica di Dosso (1487 circa - 1542), ma mai seriamente studiate dal punto di vista iconografico e stilistico. I lavori in corso di ampliamento degli Uffizi, inoltre, hanno reso disponibile, per la mostra trentina, l’intero nucleo di opere dossesche lì conservate, momentaneamente inaccessibili al pubblico: si tratta di quattro capolavori dell’artista, tre riferibili alla prima maturità, intorno al 1515-1517 (un Ritratto di uomo d’arme, un Riposo durante la fuga in Egitto e la Pala di Codigoro) e uno, la celebre Bambocciata o Stregoneria, degli anni estremi di Dosso e di Battista Dossi (1536-1540 circa).
Una seconda ragione che ha consigliato la realizzazione di questa mostra consiste nell’occasione, del tutto inedita, di far dialogare le opere convocate a Trento - attingendo in particolare, oltre che dagli Uffizi, da altre raccolte pubbliche italiane - con le straordinarie decorazioni ad affresco del Buonconsiglio, dove una parte importante, anzi preponderante, fu svolta dai due fratelli pittori, che in un anno di lavoro operarono in ben diciannove ambienti del “Magno Palazzo”, molti dei quali ancora integralmente o parzialmente conservati. Proprio l’occasione offerta da questo dialogo ha spinto ad aprire le porte della mostra, in modo molto più insistito di quanto non fosse avvenuto un quindicennio fa, alle opere di Battista Dossi (notizie dal 1517 - 1548), artista indubbiamente di minore originalità e tenuta qualitativa rispetto a quanto palesato dal fratello maggiore, ma comunque capace, in non pochi casi (e in particolare nelle opere di più ridotto formato), di giungere a risultati di indubbio interesse.

Un palazzo dove la “maniera moderna” degli affreschi convive con
gli arcaismi degli arazzi fiamminghi



Non va sottovalutata infine, tra le ragioni della mostra trentina, la necessità che da più parti si avvertiva, dopo un ventennio di studi dosseschi quanto mai appassionati e polemici - aperti dalla monumentale monografia di Alessandro Ballarin (Dosso Dossi. La pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, 1994- 1995), “terremotati” quindi dalla scoperta di Adriano Franceschini dei documenti d’archivio che dichiarano il Polittico Costabili avviato da Dosso e Garofalo già nel 1513 (documenti che hanno indotto i curatori della mostra del 1998-1999, e cioè Peter Humfrey e Mauro Lucco, a ricostruire il percorso di Dosso in un modo radicalmente diverso da quello proposto di Ballarin) - di tentare di ricomporre quella vera e propria drammatica lacerazione che si è venuta a creare negli studi su questi due pittori, e in particolare nel profilo del maggiore. Necessità che ha indotto a non centrare la mostra sul solo capitolo trentino, ma ad aprirla all’intero percorso dei Dossi, dal 1512 (data probabile del Bagno di Castel Sant’Angelo, che apre la mostra) agli anni Quaranta del Cinquecento, quando Dosso esce di scena e Battista prende il suo posto. Di conseguenza il catalogo è stato pensato anche in una prospettiva monografica, corredandolo di un ampio regesto documentario, arricchito da numerose scoperte d’archivio, a cura di Andrea Marchesi.
Il percorso della mostra e del catalogo si articola in sei sezioni: le prime cinque, latamente cronologiche, curate da Marialucia Menegatti, da Alessandra Pattanaro e dallo scrivente; la sesta, sulle decorazioni trentine, approntata da Lia Camerlengo e Francesca de Gramatica. Si parte così dalla giovinezza dei due fratelli nel secondo decennio del Cinquecento, tra riecheggiamenti giorgioneschi, suggestioni nordiche e nuovi stimoli veneziani o centroitaliani offerti dalle diverse frequentazioni di Dosso (amico di Tiziano) e Battista (allievo di Raffaello). Si assiste quindi all’incontro con Alfonso I, il grande ed estroso committente che nel 1514 assume Dosso come pittore di corte degli Este, utilizzandolo ben presto da protagonista nella decorazione del suo nuovo appartamento privato sulla via Coperta a Ferrara. Si segue poi la grande stagione della ritrattistica dossesca, potendo finalmente contare su un pezzo di Dosso recuperato da Marco Jellinek, il Ritratto di Nicolò Leoniceno, sicuramente firmato (con il suggestivo motivo della D nell’osso), datato e documentato al 1521. Si attraversa poi la “crisi” maturata da Dosso nel corso degli anni Venti, che annoverano, nella prima metà del decennio, alcuni dei più noti capolavori dell’artista (tra cui il Giove pittore di farfalle di Cracovia e l’Apollo musico e Dafne della Galleria Borghese), mentre nella seconda metà emergono nuove ricerche formali (come nel San Sebastiano di Brera), stimolate dall’ingombrante presenza a Mantova di Giulio Romano, l’allievo prediletto di Raffaello.

Quando Dosso si trasferisce col fratello a Trento, è ormai lontano dagli umori estrosi e bizzarri della giovinezza



In conclusione si potrà cogliere l’affermarsi, durante gli anni Trenta, della personalità di Battista, in coincidenza con un diradarsi di opere autografe di Dosso, sino ai primi anni Quaranta, quando il fratello maggiore esce di scena (1542) e il minore prende il suo posto alla corte estense (fino al 1548).
Un vero e proprio commiato, in mostra, è costituito dalla cosiddetta Bambocciata degli Uffizi, una tela che sembra raffigurare un’allegoria di Ercole, dove i due fratelli, intorno al 1540, realizzano, in quello che sembra un estremo caso di collaborazione, un ennesimo capolavoro: quasi un nostalgico riassunto di un trentennio di attività e, al tempo stesso, una profetica apertura sul futuro della pittura italiana.
Perché il titolo Rinascimenti eccentrici al Castello del Buonconsiglio? Il plurale è sembrato giustificato dal fatto che a Trento due diverse eccentricità sono venute a dialogare e a convivere: quella di Dosso Dossi e quella del committente, Bernardo Cles. Anche se il primo, quando si trasferisce col fratello a Trento, è ormai lontano dagli umori estrosi e bizzarri della giovinezza e anche se il secondo sembra mosso dalla volontà di approntare nel principato trentino una città e in particolare un edificio degni di ospitare il prossimo, auspicato concilio della Chiesa, i due protagonisti della costruzione e della decorazione del Magno Palazzo sembrano accomunati da due progetti sostanzialmente eccentrici rispetto alle norme del Rinascimento italiano.
Dosso, negli apparati decorativi trentini, forza costantemente i limiti del classicismo, anche quando sembra prestare maggiormente omaggio a quei «demoni etruschi» come Roberto Longhi definì gli influssi degli artisti centro-italiani che da tempo stavano risalendo la penisola, con continue deviazioni dalle regole codificate, come quando spalanca strade che saranno compiutamente percorse solo mezzo secolo dopo la sua scomparsa, agli albori dell’epocale svolta naturalista di fine secolo: non a caso per i suoi paesaggi e per le sue nature morte sono stati evocati i nomi di Annibale Carracci e di Caravaggio.
Bernardo Cles, cardinale della Chiesa romana e al tempo stesso primo consigliere di Ferdinando d’Asburgo, fa realizzare un palazzo dove la “maniera moderna” degli affreschi convive con gli arcaismi degli arazzi fiamminghi, dove i marmi lombardi e le terrecotte toscane dialogano con i bronzi e le maioliche tedesche, portando sì «Roma sulle Alpi» secondo quanto argomentato nel saggio introduttivo al catalogo, ma al tempo stesso proponendo un ideale di “unità” tra Nord e Sud che, a queste date, non trova confronti in Italia e che, a occhi avvezzi alle norme classiche, doveva apparire intimamente eccentrico.



Dosso (e Battista) Dossi, Allegoria di Ercole (o Bambocciata), (1536-1540), Firenze, Galleria degli Uffzi.

Dosso Dossi, Pala di Codigoro (Apparizione della Madonna col Bambino ai santi Giovanni Battista ed evangelista) (1517 circa), Firenze, Galleria degli Uffzi.

Dosso Dossi, Riposo durante la fuga in Egitto (1516-1517), Firenze, Galleria degli Uffzi.

Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù (1524 circa), Cracovia, castello di Wawel.

Dosso Dossi, San Sebastiano (1526 circa), Milano, Pinacoteca di Brera.

ART E DOSSIER N. 314
ART E DOSSIER N. 314
OTTOBRE 2014
In questo numero: CHIC! ARTE, STILE ED ELEGANZA Dai dandy del Cinquecento alla scultura dell'Illuminismo da Montesquiou a Iké Udé. IN MOSTRA: Horst, Arte islamica, Dossi.Direttore: Philippe Daverio