Studi e riscoperte. 2 

Collezionisti ebrei del primo Novecento

metà gotha
metà ghetto

Tra Otto e Novecento si forma una comunità di intellettuali e collezionisti che darà alla cultura europea - e ai suoi musei - un contributo fondamentale. Le innumerevoli donazioni a prestigiose istituzioni, soprattutto francesi, non saranno sufficienti a consentire all’aristocrazia ebraica una completa integrazione in Europa. Una generosità scarsamente ripagata, mentre alcuni di quegli uomini e donne finirono vittime del nazismo e dei suoi complici.

Jean Blanchaert

una delle ultime grandi figure della vecchia scuola è Arturo Schwarz, un tempo gallerista, poi, ormai da molti anni, storico dell’arte, saggista e mecenate, nato ad Alessandria d’Egitto novant’anni fa. Gli chiediamo come spiega il grande successo ebraico nel campo delle arti figurative a partire dalla metà del XIX secolo. «Molti dimenticano che per diciotto secoli noi ebrei siamo stati i paria, gli intoccabili della civiltà europea, avevano il diritto di assassinarci, derubarci, rapirci le mogli e non potevamo fare nulla. Le sole attività a noi consentite erano lo studio della Torà, del Talmud e il prestar denaro. La Rivoluzione francese che aprì i ghetti, portando una libertà poi riconfermata da Napoleone, ci trovò abituati a riflettere e a sviscerare questioni complesse. Con queste solide basi, la sete di conoscenza e di libertà, unite a delle notevoli capacità creative, fecero il resto». Arturo Schwarz non vuole somigliare al mondo chic ed elegante del grande collezionismo europeo, non ha mai cercato di imitare la borghesia e in un certo senso è rimasto il ragazzo che fondò con alcuni amici la sezione egiziana della IV Internazionale trotzkista. Egli, ancora oggi, va avanti per la sua strada che è poi quella che gli ha indicato André Breton in persona. Schwarz non vuole essere definito collezionista, perché considera il collezionismo «una fissazione della libido allo stato anale», bensì una persona che ha comprato soltanto le cose che ha amato. Inoltre, da anarchico coerente quale è, non crede nella proprietà privata e per questo ha lasciato tre quarti delle sue opere dadaiste e surrealiste al Museo d’Israele a Gerusalemme, un quarto alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma e le opere contemporanee al Museo d’arte di Tel Aviv. 

Dagli anni Trenta del XIX secolo e per ben cento anni, gli abitanti degli “shtetl”, i villaggi ebraici dell’Europa Orientale, dove si parlava yiddish, guardavano con diffidenza la corsa all’emancipazione dei loro fratelli più occidentali, tedeschi e austroungarici, per esempio. Emancipazione faceva spesso rima con assimilazione. È comunque in ambito emancipato, a volte assimilato, a volte no, che nasce e si sviluppa il grande collezionismo ebraico. Un caso paradigmatico è quello dei tre figli di Hermann-Joseph Reinach, banchiere di Francoforte emigrato in Francia negli anni Quaranta dell’Ottocento. Egli decise di impartire a Joseph, Salomon e Théodore un’istruzione privata chiamando per loro i migliori precettori e allenandoli ad avere una prodigiosa memoria. L’exploit scolastico dei fratelli fu un modello per tutta la borghesia ebraica dell’epoca. I tre ragazzi Reinach vennero presto soprannominati, tenendo conto delle iniziali dei loro nomi, Je Sais Tout (Io So Tutto). Allo scoppio dell’affaire Dreyfus nel 1894, Joseph, il primogenito, dedicò tutto se stesso alla difesa del capitano ingiustamente accusato di tradimento, diventando consapevolmente parafulmine dei feroci attacchi antisemiti della stampa francese. È difficile dire quanto il formidabile percorso di emancipazione dei Reinach fosse contiguo all’assimilazione; certo, essere definiti “faux français” (falsi francesi) fu una doccia fredda per gli ebrei di Francia che così tanto tenevano alla loro nuova identità nazionale. Spesso, seguendo gli insegnamenti del filosofo tedesco Moses Mendelssohn (1729-1786) gli ebrei si erano impegnati a conservare le proprie tradizioni e allo stesso tempo a essere protagonisti della vita politica del paese dove si trovavano. «Noi siamo a casa nostra in Europa e ci sentiamo figli delle terre in cui siamo nati e cresciuti e in cui siamo stati educati; parliamo le loro lingue e le loro culture costituiscono la nostra sostanza intellettuale. Siamo tedeschi, francesi, inglesi, ungheresi, italiani con ogni fibra del nostro essere. Abbiamo da un pezzo cessato di essere autentici semiti purosangue e il senso di una nostra nazionalità ebraica si è perduto da lungo tempo». Così risponde il rabbino Adolf Jellinek (1821- 1893) al sionista Leon Pinsker (1821-1891) durante una discussione nel 1882, a sostegno dell’idea di integrazione degli ebrei nella società europea(1).

«Noi siamo a casa nostra in Europa e ci sentiamo figli delle terre in cui siamo nati e cresciuti e in cui siamo stati educati; parliamo le loro lingue e le loro culture costituiscono la nostra sostanza intellettuale»


Théodore Reinach.

Arturo Schwarz.

Claude Monet, La cattedrale di Rouen. Il portale e la torre Saint-Romain. Effetto mattino, armonia bianca (1894), Parigi, Musée d’Orsay (donazione Camondo).


Pierre-Auguste Renoir, La colazione dei canottieri (1880), Washington, Phillips Collection.


Pierre-Auguste Renoir: Irène Cahen d’Anvers (1880), Zurigo, Siftung Sammlung E. G. Bührle.

La borghesia ebraica, come scrisse Stefan Zweig parlando di Vienna, esercitava una particolare influenza nella cultura, nell’arte e nello spettacolo. «Costituiva il vero pubblico, riempiva i teatri, le sale da concerto, comprava i libri, i quadri, frequentava le esposizioni e dovunque con la loro comprensione più agile, meno inceppata dalla tradizione, era fautrice di ogni novità»(2). La descrizione di Zweig si adatta anche a Parigi ed è forse per questo motivo che in entrambi i paesi, Austria e Francia, nascerà, anche per invidia, un forte antisemitismo.
Tornando ai Reinach e parlando di Salomon (il secondogenito), non possiamo non ricordare il suo Repertorio della statuaria greca e romana, ancor oggi fondamentale strumento di consultazione per chi si occupa di archeologia. Ma l’importante lascito dei Reinach alla Stato francese è quello di Théodore, l’ultimogenito, detto il Pico della Mirandola della sua epoca: giurista, archeologo, ellenista, matematico, filologo, numismatico, epigrafista e uomo politico, creò con l’architetto Emmanuel Pontremoli, anch’egli archeologo, una villa “greca”, villa Kérylos, sul modello delle dimore patrizie di Delos del II secolo a.C. Siamo a Beaulieu-sur-Mer, in Costa Azzurra. La costruzione, non è un’imitazione, ma la reinvenzione di qualcosa di antico, austero ed estremamente lussuoso e raffinato al tempo stesso. I mobili in legno di limone, di pero, di pruno d’Australia e di noce americano, con tarsie in avorio e intrecci di cuoio, sono realizzati dall’atelier Bettenfeld su disegno di Pontremoli e rappresentano la grande ebanisteria dell’epoca. Il visitatore uscirà ammantato di classicismo, pensando di essere stato in un’altra parte del Mediterraneo, sull’Egeo, duemiladuecento anni prima. Di fronte a villa Kérylos, che vuol dire “rondinella di mare”, dall’altra parte del golfo, si trova la villa che Béatrice Ephrussi de Rothschild fece costruire a Saint-Jean-Cap-Ferrat. Anche questa dimora, dotata di un giardino meraviglioso e di collezioni di porcellane uniche al mondo, è stata donata con disposizione testamentaria dalla sua proprietaria allo Stato francese.
Appena usciti dall’affaire Dreyfus, pensando forse che la ferita fosse ormai cicatrizzata, Béatrice Ephrussi de Rothschild e Théodore Reinach donarono alla Francia, intorno agli anni Trenta, queste splendide proprietà. Théodore non avrebbe mai immaginato che quindici anni dopo suo figlio Léon con la moglie Béatrice de Camondo e i figli Bertrand e Fanny sarebbero stati imprigionati a Drancy, alle porte di Parigi, in attesa di partire (senza ritorno) per Auschwitz.
I Camondo, partiti da Costantinopoli, si trasferirono con la loro banca nel 1869 a Parigi, non senza passare prima per Torino dove, in seguito a cospicue donazioni, furono insigniti da Vittorio Emanuele II del titolo di conti, potendo così presentarsi in Francia da aristocratici, col nome di “de Camondo”. Si immergono nella vita mondana parigina, ricevono nel loro palazzo al 63 di rue Monceau e, assecondando le mode dell’epoca, diventano grandi collezionisti. Comprano indistintamente opere d’arte di stili, gusti ed epoche diverse: la pittura fiamminga, gli impressionisti, oggetti d’arte dell’Estremo Oriente e gli orientalisti. Si comincia a parlare del “goût Camondo” (gusto Camondo).
Pierre Assouline racconta che Jules ed Edmond de Goncourt dicevano, a proposito di gusto: «La distinzione delle cose che circondano un individuo è a misura della distinzione di quell’individuo»(3). Anche se la vecchia aristocrazia francese li considerava «dei levantini, degli ottomani sui generis, gente dell’Est lontano, orientali pazzi d’Occidente. Sicuramente ebrei, ma italiani no di certo»(4), i Camondo diventano un riferimento nell’ambito delle arti decorative di Francia. Ed è proprio al suo nuovo paese che Moïse de Camondo lascerà la sua stupenda abitazione in memoria del figlio Nissim, aviatore, morto per la Francia nel 1917.

Un importante lascito dei Reinach allo Stato francese è quello di Théodore: una villa “greca”, villa Kérylos, sul modello delle dimore patrizie di Delos
del II secolo a.C.

Alfred Sisley, Inondazione a Port-Marly (1876), Parigi, Musée d’Orsay (donazione Camondo).


Una veduta esterna della villa Ephrussi de Rothschild a Saint-Jean-Cap-Ferrat (Costa Azzurra).


Il figlio di Théodore Reinach, Léon, era marito di Béatrice de Camondo, la seconda moglie di Théodore Reinach, Fanny Kann, era cugina di Béatrice Ephrussi de Rothschild, il cui cognato, Charles Ephrussi, grande collezionista, mecenate, storico dell’arte ritratto dall’amico Renoir nel celeberrimo dipinto La colazione dei canottieri, ha grandemente ispirato a Marcel Proust il personaggio di Swann. Durante l’affaire Dreyfus, Edgar Degas, amico di Charles, suo collezionista, gli tolse il saluto in quanto ebreo. Degas interruppe i rapporti anche con Camille Pissarro, per lo stesso motivo. Nel 1946, Irène Cahen d’Anvers, madre di Béatrice de Camondo, visitando in una galleria parigina una mostra dedicata ai capolavori francesi in collezioni tedesche e svizzere, si trovò di fronte al ritratto che Auguste Renoir le aveva fatto nel 1880 e che era stato sequestrato nel 1941 dal funzionario Rosenberg, capo dei saccheggiatori nazisti, nel castello di Chambord (la casa della figlia Béatrice). Il generale Hermann Göring, a quel tempo a Parigi, se ne impossessò. Ci vorrebbe un libro per descrivere le peripezie di questo quadro. Diciamo soltanto che Irène Cahen d’Anvers ne ottenne la restituzione.
La generosità nei confronti del paese che li aveva accolti come cittadini era pratica diffusa tra gli ebrei francesi. Diverse sono le istituzioni parigine e di altre città della Francia che hanno ricevuto in eredità le collezioni della famiglia Camondo, in particolare da Isaac, cugino di Moïse: il Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme per gli oggetti di culto ebraico, il Musée du Louvre per i mobili del Settecento, il Musée d’Orsay per i capolavori impressionisti (Cézanne, Degas, Monet, Pissarro, Renoir, Manet, Sisley), il Musée Guimet per le opere d’arte asiatica, il Musée Carnavalet e i Musées des Beaux-Arts di Lille e di Digione. L’atteggiamento munifico dell’aristocrazia ebraica non la preservò dal genocidio nazista e una parte dell’antico patriziato francese, parlando dei nobili ebrei continuò a chiamarli con scherno «demi Gotha, demi ghetto». Metà Gotha, metà ghetto. Nonostante tutto.

Uno dei giardini della villa Ephrussi de Rothschild a Saint-Jean-Cap-Ferrat (Costa Azzurra).

Una veduta esterna di villa Kérylos, a Beaulieu-sur-Mer (Costa Azzurra).


Un interno di villa Kérylos, a Beaulieu-sur-Mer (Costa Azzurra).

(1) R. S. Wistrich, Gli Ebrei di Vienna 1848-1916, Milano 1994, p. 229.
(2) S. Zweig, Il mondo di ieri, Milano 1994, p. 24.
(3) P. Assouline, Le Dernier des Camondo, Parigi 1999, p. 32.
(4) P. Assouline, op. cit., p. 269.

ART E DOSSIER N. 313
ART E DOSSIER N. 313
SETTEMBRE 2014
In questo numero: L'EBRAISMO E L'OCCIDENTE; CHAGALL E I SUOI MODELLI Primo Novecento: i collezionisti; Ebraismo e Rinascimento; Roma: le catacombe israelitiche; Gli affreschi di Europos-Dura. IN MOSTRA: Chagall, Artiste ebree, Equilibrium.Direttore: Philippe Daverio