Grandi mostre. 3
Il Liberty a Forlì

la grande
bellezza

Nato a cavallo tra il XIX e il XX secolo il Liberty, espressione di una nuova estetica nel campo dell arti figurative, dell'architettura e delle arti applicate, ha goduto di scarsa visibilità nel nostro paese.
Oggi la rassegna in corso nei Musei di San Domenico colma questa lacuna restituendo, come ci racconta qui uno dei curatori, ampio spazio  a un movimento di rinnovamento anche nel gusto e nello stile di vita.

Fernando Mazzocca

Il Liberty italiano è stato riscoperto con crescente entusiasmo a partire dagli anni Sessanta. Da allora si sono succeduti studi, ricerche, restauri e continue iniziative di valorizzazione anche a livello locale, ma, nonostante le diverse rassegne che gli sono state dedicate, di cui due sole piuttosto vaste e di carattere generale (a Milano nel 1972 e a Roma nel 2011), è mancata in realtà una grande mostra in grado di restituire l'identità di quello stile, le sue diverse formulazioni nell'applicazione alle Irripetibile, pervaso dall'ottimismo, ma anche dalle inquietudini espresse dalla modernità. La forza del Liberty o dello "stile floreale" o dello "stile lineare" come in alternativa è stato chiamato, fu quella di creare un linguaggio e un'atmosfera comuni all'architettura e alle arti figurative, ma anche e in particolare a quelle applicate, come pure alla letteratura, il teatro e la musica. Erano gli anni euforici, tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e lo scoppio della Grande guerra, della cosiddetta Belle Époque, quando il mondo venne percorso, e anche così l'Italia, dal sogno, dalla magnifica utopia di una bellezza che fosse in grado di interpretare la realtà trasformata dal processo tecnologico. Quindi anche la nostra giovane nazione, da poco unificata, venne unita, anche culturalmente, da una nuova estetica che fosse in grado di rappresentare, superando il naturalismo e lo storicismo che avevano dominato gran parte del secolo ormai verso la fine, le aspirazioni alla modernità.

Queste ambizioni e questa volontà di aggiornamento a livello internazionale vennero celebrate alle grandi esposizioni allora organizzate nella penisola.

Davvero epocali per la loro grandiosità e lo slancio furono quella internazionale d’arte decorativa moderna (Torino 1902), ospitata negli avveniristici padiglioni progettati per l’occasione dall’architetto D’Aronco, e quella, sempre internazionale, organizzata nel 1906 a Milano in occasione dell’apertura del magnifico traforo del Sempione. Ma ebbero un ruolo altrettanto decisivo, anche per la capacità di confronto con quanto avveniva nel resto d’Europa, le Biennali di Venezia iniziate nel 1895. E infine l’Esposizione internazionale che venne realizzata a Roma nel 1911 per celebrare degnamente il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Diverse opere, che furono presentate e discusse a quelle rassegne, sono state rintracciate e compaiono nel percorso di una mostra che, con ben trecentocinquanta numeri in catalogo suddivisi in quindici sezioni a tema, ha voluto ricostruire la complessa vicenda del Liberty che è stato uno stile, non solo nel senso formale, ma in un’accezione più ampia di gusto, di stile di vita. Ho cercato, come curatore di questa mostra (Liberty. Uno stile per l’Italia moderna, Forlì, Musei di San Domenico, fino al 15 giugno) insieme a Maria Flora Giubilei e ad Alessandra Tiddia, di mettere particolarmente in rilievo il ruolo di promotore e mecenate di questo nuovo linguaggio artistico della Biennale di Venezia che commissionò in diverse occasioni delle importanti decorazioni per il Padiglione principale, quello dedicato all’Italia, o per altri spazi. Sartorio realizzò nel 1907 l’imponente ciclo il Poema della vita umana, di cui sono ora esposti nello scalone che porta al primo piano scandendo in maniera scenografica il percorso espositivo tre monumentali pannelli pervasi da un estro immaginativo straordinario. Mentre Chini, sempre nello stesso anno, creò il grande fregio, anch’esso in parte esposto, per la famosa sala del Sogno che celebrava l’affermazione definitiva della pittura e della scultura simboliste. Ancora a Chini si deve, nel 1914, lo splendido ciclo della Primavera classica, di cui è presente un pannello davvero impressionante per imponenza e bellezza. Ci ricorda nel suo splendore decorativo Klimt, i mosaici bizantini e l’arte dell’Estremo Oriente, in particolare del Siam. Il geniale artista toscano era stato alla corte imperiale di Bangkok dove aveva avuto occasione di mostrare la sua versatilità come pittore, decoratore e creatore di splendide ceramiche.


Emilio Longoni, Ghiacciaio (1905).


Giulio Aristide Sartorio, studio per La Gorgone e gli eroi (1896), particolare, Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Giorgio Kienerk, L’enigma umano, il colore, il silenzio, il piacere (dopo il 1900), particolare, Pavia, Musei civici.


Carlo Stratta, Aracne (1893), Torino, GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.

Il percorso espositivo evidenzia l’eccezionalità di quel clima irripetibile, pervaso dall’ottimismo, ma anche dalle inquietudini espresse dalla modernità


Chini è tra i protagonisti di una mostra che ha voluto far dialogare, con un suggestivo allestimento basato sui rimandi, i confronti e gli effetti spettacolari, la pittura con la scultura, i disegni d’architettura, i manifesti, la grafica d’autore e i libri illustrati, e il multiforme universo delle arti applicate: i mobili, le vetrate, i ferri battuti, i paraventi, gli oggetti d’arredo, in particolare le ceramiche, i tessuti, i ricami, i gioielli, gli abiti. Evidenziando i temi e le soluzioni formali più ricorrenti. È stato possibile tracciare una linea comune tra i dipinti di Previati, Segantini, Chini, Nomellini, Longoni, Sartorio, De Carolis, Laurenti, Boldini, Marussig, Zecchin, Casorati, e le sculture di Bistolfi, Trentacoste, Canonica, Rubino, Andreotti, Wildt, ma anche i mobili di Bugatti, Zen, Basile e i ferri battuti di Bellotto e Mazzucotelli, nonché le ceramiche di Chini e delle eccellenti manifatture della vicina Faenza, e infine i manifesti di Cappiello, Dudovich, Terzi, Hohenstein, Mauzan, sottolineando attraverso opportuni rimandi i rapporti con la letteratura, tra D’Annunzio, Pascoli e Gozzano. Ma anche con la musica, pervasa di richiami all’Estremo Oriente, di Puccini e Mascagni. Il visitatore potrà cogliere i molti punti di incontro tra il Liberty e il simbolismo, come nel motivo ricorrente, che diviene fondamentale, della metamorfosi della figura umana in forme del mondo animale e vegetale.


Giulio Aristide Sartorio, La sirena (1893), Torino, GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.


Galileo Chini, La primavera classica (1914), Montecatini (Pistoia), Accademia d’arte Dino Scalabrino.

A Chini si deve lo splendido ciclo della Primavera classica, che ricorda nel suo splendore decorativo Klimt, i mosaici bizantini e l’Estremo Oriente


L’“Arte nuova”, un altro termine usato per definire il Liberty, intese rifarsi, in maniera quasi programmatica, al Rinascimento, mutuando addirittura motivi e iconografie come quella della primavera. L’immagine identificata tra realtà e allegoria di quella stagione, simbolo della giovinezza e del rinnovamento, la si ritrova un po’ ovunque, dai dipinti alla grafica, dalle sculture agli arredi. La sezione più vasta della mostra intitolata “Una nuova Primavera. Sogni e allegorie” vede riuniti a celebrare questa mitologia, insieme antica e moderna, artisti di diversa formazione e vocazione, dai divisionisti ai simbolisti. La particolare attenzione, rispetto alle precedenti rassegne sul Liberty, riservata a una pittura e a una scultura che dialogando con la tradizione l’hanno resa attuale cioè moderna, ha cercato dunque di identificare una via italiana, originale proprio in questa capacità di confrontarsi con il passato e con i miti, facendoli rivivere, nel grande scenario internazionale dell’“Arte nuova”.


Ernesto Basile, Vittorio Ducrot, Ugo Antonio, Ettore De Maria Bergler, Secrétaire (1903), Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

Gaetano Cellini, Vinta (1908), Torino, GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.


Aemilia Ars, cancello (1902 circa), Bologna, Museo Davia Bargellini.


Giovanni Segantini, L’angelo della vita (1894), Milano, Galleria d’arte moderna.

Liberty. Uno stile per l’Italia moderna

a cura di Fernando Mazzocca, Maria Flora Giubilei
e Alessandra Tiddia
Forlì, Musei di San Domenico
orario 9.30-19, sabato, domenica e giorni festivi 9.30-20
chiuso lunedì
fino al 15 giugno
catalogo Silvana Editoriale
www.mostraliberty.it

ART E DOSSIER N. 310
ART E DOSSIER N. 310
MAGGIO 2014
In questo numero: IL PRANZO E' SERVITO Cibo nell'arte: il pesce nella Grecia antica, la simbologia del pane, il nutrirsi come gesto e la dimensione alimentare nel contemporaneo. IN MOSTRA: Kahlo, Dora Maar. Direttore: Philippe Daverio