Grandi mostre. 1 
Honoré Daumier

uno sguardo
critico

Caricaturista graffiante, il marsigliese Daumier lascia la sua impronta anche nella pittura e nella scultura, ambiti nei quali riesce a trasferire, attraverso l’abbozzo di volti deformati, il gioco di luce e l’abilità nel modellare la materia, il sentimento di ingiustizia provato nei confronti della classe dirigente francese

Cristina Beltrami

nel 1959 Robert Rey apre l’introduzione al suo Daumier pubblicato da Garzanti chiedendosi se l’artista marsigliese avesse coscienza della potenza del suo linguaggio artistico, se sapesse che «sarebbe diventato Daumier». Figlio di un vetraio marsigliese dalle velleità letterarie, nel 1816 raggiunge il padre a Parigi che nel frattempo aveva trovato in Alexandre-Marie Lenoir un estimatore dei suoi versi. Sarà lo stesso Lenoir a prendersi a cuore la formazione del giovane Honoré Daumier e a incoraggiarlo a iscriversi all’Accademia libera svizzera.
Nel 1825 Daumier entra come apprendista nella bottega di Zéphirin Belliard, litografo di fama pure nativo di Marsiglia, che lo inizia al mondo della stampa. Le sue prime litografie satiriche appaiono, con lo pseudonimo di Rogelin, in “La Caricature”: sono aperte critiche alla politica di Luigi Napoleone e al contempo sono immagini nelle quali la società si riconosce come in uno specchio deformante. Il pubblico ama le caricature di Daumier che ne implementa la sagacia sino all’irriverenza estrema del Gargantua, ove il re è rappresentato come un gigante insaziabile dei beni del suo popolo. Stampata nel 1831, la litografia viene considerata un’offesa intollerabile, gesto che Daumier dovrà pagare con il carcere. Dopo poco più di due mesi nella prigione di Sainte- Pélagie, l’11 novembre 1832, gli viene concesso di scontare la pena presso la casa di cura del dottor Philippe Pinel. Le giornate trascorrono lente, nella quotidiana osservazione dei pazienti, principalmente dei malati di mente: qui Daumier raccoglie un bagaglio d’immagini che riproporrà nella serie dell’Immaginazione. Nonostante la punizione esemplare, non appena Charles Philipon fonda la rivista “Le Charivari”, Daumier riprende l’attività di caricaturista, pur coltivando a latere il sogno e la passione per la pittura: lo dimostra il registro d’entrata del carcere dove si era dichiarato «peintre». Non poteva che trattarsi di un’attività relegata ancora all’ambito privato, visto che il bozzetto della Repubblica francese è la sua prima opera pittorica presentata in pubblico. Alla prima selezione del celebre concorso del 1848, indetto per individuare un’immagine ufficiale della nuova Repubblica, la tela di Daumier si colloca undicesima. Il risultato è di riguardo considerando che non poteva vantare un apprendistato ufficiale e che la giuria era composta, tra gli altri, da paladini del classicismo come Ingres, Delaroche e Gérôme. La Repubblica ha la salda composizione piramidale del manierismo e di Rubens, pone al centro la possente figura della Francia che, come una moderna Carità laica, sfama e istruisce i suoi figli. È questo il dovere di una nazione secondo il profondo credo repubblicano di Daumier, che ritiene di abbandonare la seconda fase della selezione, conscio che la sua pittura, libera da schemi accademici e capace di pescare autonomamente dalle fonti antiche, non poteva cristallizzarsi in un’immagine ufficiale. Champfleury si rammaricherà della rinuncia di Daumier poiché considerava la sua prima prova una delle migliori del concorso.
Daumier impiega una prospettiva scorciata e porta la luce a contrasti estremi; così la sua pittura acquista una forza a cui attingono artisti come Rodin che, modellando il Balzac, terrà conto del Crispino e Scapino del 1863-1865. Crispino e Scapino sono i due valletti, astuti e intriganti, usciti dalla penna di Molière, che ancora una volta Daumier propone come metafora della classe dirigente francese. La critica si fa più esplicita nei Due avvocati, soggetto più volte riproposto a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in cui i rappresentanti del foro sono volutamente deformati, divengono maschere volgari ed emblemi di una legge che l’artista reputa iniqua. Daumier non è certo meno caustico come scultore, tecnica alla quale si avvicina grazie ad Antoine-Augustin Préault, che frequenta fin dai tempi dell’accademia svizzera e di cui Baudelaire, nel 1852, ricorderà due “d’après” nello studio dell’Île Saint-Louis.


Jacques Lefèvre (1833), Parigi, Musée d’Orsay.

La Repubblica (1848), Parigi, Musée d’Orsay.

Crispino e Scapino (1863-1865 circa), Parigi, Musée d’Orsay.


I due avvocati (1858-1862), Lione, Musée des Beaux -Arts.


Gargantua (1831), Parigi, Bibliothèque nationale de France;

Daumier si cimenta pubblicamente nella modellapzione plastica a partire dal 1831, quando Philipon gli commissiona la serie delle Célébrités du Juste Milieu: trentasei busti in terra cruda policroma dedicati ai protagonisti del potere parigino. Un’infilata di ritratti beffardi, come quello di Jacques Lefèvre, banchiere e deputato, i cui difetti - la stempiatura, il naso aquilino - sono portati a limiti parossistici. Daumier sembra intagliare la materia con la sicurezza impeccabile di un carpentiere, evidenzia ogni imperfezione e il colore infine ne accentua il carattere grottesco e ridicolo. La scultura di Daumier è l’esatto opposto della ritrattistica encomiastica ufficiale. Egli crea degli archetipi che sopravvivono al loro tempo, lo superano, diventano eterni come le passioni che li hanno animati. È un attento osservatore della società e tra il 1862 e il 1864 realizza Un vagone di terza classe, uno dei suoi dipinti più celebri in cui, con profonda capacità psicologica, mostra l’attitudine alla vita di tre generazioni della stessa famiglia. Nella società in cui l’identità dell’individuo si perde nella massa, la figura centrale della Sala d’attesa non ha un volto, è solo un abbozzo una macchia di colore che segue una declinazione cromatica di grande raffinatezza, al limite del monocromo. Le fonti visive di Daumier si riconoscono ancora una volta nei grandi maestri del Louvre, da Rembrandt a Goya. Non a caso Henri Focillon, negli studi degli anni Venti dedicati all’Estetica dei visionari (tradotti per la prima volta in Italia nel 1965) chiude con Daumier un percorso cominciato con Tintoretto ed El Greco e sviluppatosi con Rembrandt, Piranesi e Turner. Artisti ai quali lo storico francese riconosce una «genialità creatrice, una forza profetica tutta concentrata sui domini più misteriosi dell’umana fantasia, gli effetti infine di un’ottica speciale che altera profondamente la luce, le proporzioni e persino la densità del mondo sensibile»(*)

Sala d’attesa (1862-1864) Buffalo, Albright-Knox Art Gallery.


L’immaginazione (1850 circa), Londra, Mary Evans Picture Library.

ART E DOSSIER N. 309
ART E DOSSIER N. 309
APRILE 2014
In questo numero: CARICATURE E BIZZARRIE Da Leonardo a ''Frigidaire'' da Daumier a Jossot e a Jacovitti. IN MOSTRA: Cinquecento inquieto, La città, Rosso, Brancusi, Ray.Direttore: Philippe Daverio