La pagina nera 


DOPO IL SISMA
ORMAI QUELL’ARTE
VIENE MESSA
ASSAI IN DISPARTE


Colpita da un violento terremoto nel 1968, si è rialzata, a testa alta. Gibellina è un caso straordinario come lo fu il sindaco Ludovico Corrao. Grazie a lui la città è un museo a cielo aperto. Consagra, Burri – ma la lista è lunga – qui hanno lasciato il segno. Il Comune ha investito parte delle sue risorse per la cura di alcune opere d’arte. Ma non basta. La competenza in materia è regionale. E lo Stato? Sta a guardare?


di Fabio Isman

Gibellina (Trapani) rappresenta un caso unico al mondo: una “città del terremoto” che è divenuta città d’arte.
Quest’anno ricorre, è vero, un centenario di Raffaello (il quinto della sua morte), ma anche un secolo dalla nascita di Pietro Consagra (1920-2005), uno tra gli artisti che hanno dato vita a quell’eccezionale esperimento senza pari. Ma le sue opere nella città siciliana oggi vivono nella massima sofferenza e corrono il rischio di andare irrimediabilmente perdute. Più che un articolo, questo è un assoluto grido di dolore.
Per i più giovani, o i meno informati, ricordiamo la vicenda: il sisma del 14 gennaio 1968 nella Valle del Belice distrugge Gibellina, allora di seimila abitanti (oggi, ce ne sono duemila in meno), il cui nome deriva dall’arabo, e significa “piccola montagna”, forse fondata nel Medioevo. Un centro non ricco: per alcuni, soltanto dieci abitanti possedevano un pozzo e sei un bagno. Abbattuta ogni cosa: anche la biblioteca, aperta poche ore alla settimana, l’unico pubblico esercizio in loco; non c’erano teatro, cinema, ristoranti.
Gibellina è una delle quattro città che sono ridotte così; altri cinque paesi danneggiati all’ottanta per cento, e altri ancora, gravemente lesionati. Dal 1984 al 1989, dove erano le rovine, Alberto Burri realizza un’immensa opera di Land Art: il Grande cretto di ottantamila metri quadrati, blocchi di cemento alti oltre un metro e mezzo, con fenditure larghe dai due ai tre metri, per ricordare i vicoli del luogo. A trecentocinquanta metri di distanza c’è quanto resta della città vecchia: dei ruderi ormai sepolti dal verde.
L’idea era stata di un sindaco eccezionale, Ludovico Corrao (1927-2011), tre volte parlamentare e avvocato di Franca Viola, la prima donna a ribellarsi alle nozze riparatrici dopo il rapimento e la violenza, il cui esempio determinerà la fine del “matrimonio d’onore”: Corrao, purtroppo, finirà assassinato da un suo dipendente bengalese nella sede della Fondazione Orestiadi, da lui creata nel 1981, e che è sempre nella località Baglio Di Stefano.


Alberto Burri, Grande cretto (1984-1989).
Le immagini di questo articolo riguardano le opere realizzate per la ricostruzione di Gibellina, distrutta dal terremoto del Belice nel 1968.


Franco Purini e Laura Thermes, Sistema delle piazze (1982-1990), progettto di cinque piazze consecutive.

Gibellina Nuova come capitale d’arte è un progetto che coinvolge parecchi artisti, anche famosi. Tra cui Consagra, di cui diremo, nato a Mazara del Vallo, ai “confini del terremoto”, e che ha voluto riposare per sempre proprio qui.
A Vittorio Gregotti e ad Alberto e Giuseppe Samonà si deve il nuovo municipio; Franco Purini e Laura Thermes creano il Sistema delle piazze, cinque consecutive; Ludovico Quaroni e Luisa Anversa, la chiesa Madre; Ales sandro Mendini, la Torre civica. Ma non mancano Giuseppe Uncini, Mauro Staccioli, Gino Severini, Mimmo Rotella, Daniel Spoerri, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Emilio Isgrò, Fausto Melotti, Nino Franchina, Andrea Cascella, Carla Accardi e tanti altri. L’assessore alla Cultura Tanino Bonifacio dice: «Oltre alle grandi strutture sparse per la città, noi abbiamo anche un museo d’arte contemporanea: circa mileottocento opere, di cui quattrocento saranno esposte nel nuovo allestimento; dopo cinque anni di chiusura, stiamo per riaprirlo».
Alcune realizzazioni all’aperto hanno invece bisogno di manutenzioni: virtù che, nel tempo, il nostro paese ha purtroppo perduto. «Il Cretto», continua Bonifacio, «abbiamo potuto restaurarlo con fondi comunitari; l’ultima parte dei lavori è durata due anni, dal 2015. Bisognava, soprattutto, uniformarne la cromia: le “isole” costruite per prime, le più antiche, erano ormai diventate più scure, quasi annerite; ora, è stato restituito un nuovo candore a tutto il capolavoro, che così è omogeneo».
Invece, soffrono ancora le opere di Consagra. Specialmente il Meeting, del 1976: il massimo esempio di “città frontale” della sua produzione, una scultura di grandi dimensioni, abitabile, che realizza il sogno dell’artista siciliano, la funzione architettonica dell’opera. Una struttura trasparente, utilizzata come spazio d’incontro sociale e luogo di esposizione d’arte, un edificio che dialoga con l’esterno urbanistico. La sua ultima destinazione è quella di essere stazione degli autobus e luogo d’aggregazione. «Ma dentro ci piove», dice ancora l’assessore; e spiega: «Ammalorate la struttura in calcestruzzo e la grande vetrata; ma, specialmente, l’involucro in ferro. Abbiamo consultato esperti e ingegneri: consigliano di sostituirlo con uno in acciaio». Ormai, si vedono fin troppo bene i ferri dell’“anima”, esposti alle intemperie; la ruggine, tanta; l’erosione, assai pronunciata, di svariate parti della costruzione.
La spesa prevista per la sua manutenzione è di settecentomila euro. Ed è l’urlo di dolore che chiede più urgentemente udienza. Ma altri cinquecentomila euro circa servirebbero «per una quarantina di opere, che pure invocano un soccorso».


Ormai, si vedono fin troppo bene i ferri dell’“anima”, esposti alle intemperie;
la ruggine, tanta; l’erosione, assai pronunciata


Alessandro Mendini, Torre civica (1987). Sulla sinistra, l’inizio della Città di Tebe (1988) di Pietro Consagra.


Pietro Consagra, Meeting (1976).

Anche altre del medesimo autore: forse una rinfrescata alla Stella d’ingresso al Belice, in acciaio, alta 26 metri, a ricordo delle luminarie nelle sagre paesane; ma, soprattutto, un ripristino più profondo della Città di Tebe, creata nel 1988 come scenografia dell’Edipo re di Stravinskij, rappresentato nei ruderi del terremoto. Sono sedici pannelli in ferro bianco, che simbolicamente rappresentano i grandi oracoli posti a vegliare sulla città. Ormai la ruggine li corrode, e mostrano superfici danneggiate da forti lesioni alla base e negli ancoraggi, per le continue oscillazioni causate dal vento.
Il problema è che sui beni culturali dell’isola ha una competenza esclusiva la Regione: ottenere un intervento statale è arduo. Ma Gibellina ci prova ugualmente: il sindaco Salvatore Sutera e l’assessore Bonifacio hanno interpellato il ministro Dario Franceschini: «La nostra amministrazione, con grandi sacrifici, ha impegnato cinquantamila euro del bilancio comunale 2019 per la manutenzione ordinaria di alcune opere d’arte, ma la cifra è purtroppo assolutamente esigua per il restauro e il ripristino di quelle del nostro “museo en plein air”». Perché non proclamare Gibellina “città d’arte”, superando così le discrasie di competenze tra Stato e Regione? Se Palermo non riesce a conservare questo suo tesoro, non può proprio pensarci Roma? La bellezza di questo centro urbano, vecchio e nuovo, differente da qualsiasi altro sulla faccia del pianeta, va assolutamente preservata.
L’artista siciliano (anzi, di quest’area dell’isola), tanto legato alla sua terra che, come si è detto, ha voluto restarci per sempre, era intervenuto nella città anche con altre opere, di cui due monumentali: le porte del cimitero e un teatro, progettato nel 1971, però, ancor oggi, soltanto un cantiere all’aperto, mai concluso. Raffaello Sanzio è morto da cinque secoli, e tutti, giustamente, lo stanno celebrando; non si potrebbe fare un regalo pure a Consagra, nato esattamente, come si è ricordato all’inizio, un secolo fa? E, già che ci siamo, magari intervenire anche, per esempio, sulla Ellittica e meridiana (1987) di Ettore Colla, che simboleggia l’antico strumento per misurare il tempo, e su altre opere che, pur mute, lanciano un loro perentorio e ultimativo s.o.s. Tuttavia, finora, invano. Oggi, l’invenzione di Colla è diventata, più che altro, un regno, ma del ferro arrugginito.

ART E DOSSIER N. 375
ART E DOSSIER N. 375
APRILE 2020
In questo numero: INDOMITA ARTEMISIA: Una mostra a Londra. Una donna da decifrare. COLLEZIONI SUI GENERIS: L'archivio visivo della Fondazione Cirulli. Il Mo Museum si Vilnius. IN MOSTRA: Previati a Ferrara. George IV a Londra. Porcellane cinesi a Milano. Caravaggio e Bernini ad Amsterdam. Mantegna a Torino.Direttore: Philippe Daverio