Grandi restauri 
La Pala di San Marco e il Giudizio universale di Beato Angelico

UN MAESTOSORITORNO

Due accurati restauri hanno dato nuova vita a due opere magistrali di Beato Angelico, la Pala di San Marco e il Giudizio universale, di nuovo visibili, da ottobre scorso, nel museo fiorentino di San Marco. Ne approfondiamo qui, con la direttrice dell’istituzione, la storia, le caratteristiche compositive, simboliche e iconografiche.

Marilena Tamassia

Il 5 e il 15 ottobre 2019 sono tornati nel museo di San Marco di Firenze, restaurati e restituiti a nuovo splendore, due capolavori di Beato Angelico, il Giudizio universale e la Pala di San Marco.

La Pala di San Marco è stata eseguita tra il 1438 e il 1443 per l’altare maggiore della chiesa di San Marco. Nel 1438 Cosimo il Vecchio e suo fratello Lorenzo di Giovanni de’ Medici ottengono il patronato della cappella maggiore della chiesa e decidono di rinnovarla, affidandosi all’opera di Michelozzo. Il nuovo altare maggiore doveva essere completato da una grandiosa tavola d’altare, commissionata a Beato Angelico, che doveva sostituire il trittico di Lorenzo di Niccolò, firmato e datato 1402, che fu destinato al convento di San Domenico di Cortona. La Pala doveva costituire il momento culminante della committenza medicea testimoniando con adeguata magnificenza l’impegno profuso dai Medici per la chiesa e il convento di San Marco.

L’opera è stata completata prima dell’epifania del 1443, quando la chiesa e l’altar maggiore furono consacrati alla presenza di papa Eugenio IV e di tutto il collegio cardinalizio.

Era una complessa macchina lignea che incastonava la tavola centrale, quadrata, fra alti pilastri decorati di tavolette con santi, solidamente impiantata sulla predella a gradino, con otto storie dei santi Cosma e Damiano e al centro la Pietà. La composizione della tavola centrale raffigura una Sacra conversazione, nel cui fulcro si trovano la Madonna col Bambino in trono fra otto angeli e otto santi. Ai lati del trono, situato su un basamento con due scalini d’accesso, gli otto angeli e otto santi sono suddivisi in due gruppi. Si possono riconoscere, da sinistra, san Lorenzo, che saluta il fedele che si avvicina all’altare con la mano alzata, san Giovanni evangelista e san Marco, cui è dedicata la chiesa. Dall’altro lato del trono, san Domenico - il fondatore dell’ordine che da lui prende il nome, cui appartenevano i frati di San Marco -, che guarda Francesco d’Assisi, il quale a sua volta, insieme a san Pietro martire, guarda la Vergine e il Bambino. Davanti alla Vergine si trovano i santi Cosma e Damiano, inginocchiati su un prezioso tappeto anatolico, arricchito da una decorazione geometrica a riquadri che l’artista utilizza per costruire una scansione dello spazio con il punto di fuga che converge sul seno della Vergine. Sul tappeto una piccola rappresentazione della Crocifissione che sormontava, originariamente, il pannello centrale della predella con la Pietà.

La Pala di San Marco doveva costituire il momento culminante della committenza medicea

Nella predella si snoda il vivace racconto della vita dei santi Cosma e Damiano - patroni della famiglia Medici -, seguendo la narrazione della Legenda aurea di Jacopo da Varagine. Il Museo di San Marco conserva solo due scomparti degli otto che componevano la narrazione. Uno raffigura la Sepoltura dei santi Cosma e Damiano e l’altro la Guarigione del diacono, il miracolo più noto dei due santi martiri, che chiudeva il gradino della predella.
Ai lati della Pala c’erano pilastri con figure di santi e beati. La Pala di San Marco si elevava sull’altare fino a circa 3,6 metri. Le possibili ricostruzioni dell’aspetto finale della complessa macchina sono numerose, ma a oggi è estremamente difficile immaginare con certezza l’aspetto finale dell’ancona, essendo stata la stessa smembrata ed essendo perduta la carpenteria che la articolava e la racchiudeva.
Commissionata dai due fratelli Cosimo e Lorenzo de’ Medici, come si è già detto, la vede ultimata solo Cosimo: il fratello Lorenzo muore appena quarantacinquenne il 23 settembre 1440, e di questo evento resta probabilmente traccia proprio nell’attitudine dei due santi: mentre Cosma guarda lo spettatore invitandolo con il gesto della mano ad ammirare con devozione la scena, Damiano è di spalle, prostrato per invocare la misericordia divina e l’intercessione di Maria.

Pala di San Marco (1438-1443), particolare.

Il Giudizio universale, assai particolare nella forma e ricco di peculiarità, è da sempre uno dei lavori preferiti e più largamente conosciuti dell’Angelico. Nella tavola caratterizzata da una sagoma trilobata, in alto si dispiega un’insolita visione del Giudizio: il Cristo giudice in tutta la sua gloria, attorniato da angeli, in un cerchio celestiale che domina dalla sommità. La mano destra levata del Cristo invita i fedeli risorti verso i cancelli della Gerusalemme celeste; la sinistra volta verso il basso consegna i peccatori alle fauci pietrose dell’inferno. La Madonna e san Giovanni Battista sono raffigurati come intercessori in una posizione prossima a Cristo. La schiera celeste è completata da ventiquattro santi e profeti assisi come in tribunale, dodici su ciascun lato. Così come la singolare forma trilobata, anche l’intera composizione presenta numerose novità rispetto all’iconografia tradizionale del Giudizio, con l’inserimento di personaggi del Vecchio testamento - Adamo, Abramo, Mosè, Abele, David - accanto agli apostoli e ai santi fondatori degli ordini nel tribunale del Giudizio. Vediamo da una parte i dannati, costretti a varcare la soglia di un inferno così letterario che non può non far pensare a Dante e dall’altra parte l’elegantissima danza di angeli e beati verso il monte della Gerusalemme celeste, interpretata come il luogo della luce divina, che si intreccia con il giardino, espressione simbolica del paradiso. Questa danza è del tutto nuova, di singolare armonia, illuminata da bagliori d’oro. Al centro della composizione la fuga di tombe scoperchiate, che fa da spartiacque tra gli eletti e i dannati, guida lo sguardo attraverso tutta la profondità dello spazio del dipinto fino all’orizzonte azzurro pallido nello sfondo. È là che deve avere termine il mondo sensibile.

Non conosciamo lo scopo originale del dipinto, che probabilmente ha cambiato collocazione al tempo in cui Vasari lo descrive nel convento fiorentino di Santa Maria degli Angeli vicino all’altar maggiore dove sedeva il prete durante la messa. Questa indicazione è stata interpretata a significare che era lo schienale del sedile del sacerdote, ma il formato relativamente piccolo delle figure indica una collocazione originale dove potesse essere visto ad altezza d’occhio. Anche la prospettiva indica un simile punto di vista.

Il Cristo giudice in tutta la sua gloria, attorniato da angeli, in un cerchio celestiale che domina dalla sommità


L’opera è databile tra il 1425 e il 1428. Fu verosimilmente Ambrogio Traversari, priore di Santa Maria degli Angeli e confratello di Lorenzo Monaco, ad affidare al pennello dell’Angelico la sua colta visione apocalittica ispirata a concetti di pace, amore, fratellanza.
Ambrogio Traversari era abate generale dell’ordine camaldolese, studioso di patristica, esperto grecista, strenuo difensore del primato papale e insieme aperto propugnatore dell’unità con la chiesa bizantina, attivo intellettuale.
Verosimilmente è l’ispiratore di un coerente programma decorativo che vedeva il culto delle reliquie come necessario viatico alla salvezza finale, mostrata poi nel Giudizio dell’Angelico.

I due restauri

Pala di San Marco

La Pala di San Marco, definita «Bella a meraviglia » da Giorgio Vasari, si ritiene fosse il momento più alto nella pittura di Beato Angelico. Il dipinto (220 x 227 cm, nella foto prima del restauro), corroso irrimediabilmente da una antica pulitura effettuata con materiali di tipo caustico, divenne uno dei casi più eclatanti dei danni irreversibili causati da tali interventi. È entrato nei laboratori dell'Opificio delle pietre dure di Firenze, per un importante problema di cedimento della struttura lignea del supporto, ma è risultata subito evidente la necessità di un intervento di pulitura che recuperasse la materia originale, per quanto impoverita, occultata dalle ridipinture e patinature di un restauro del 1955, oramai invecchiato. Nell’intervenire sono state ritrovate volumetrie stravolte o nascoste e, con un delicato lavoro di “ricucitura” pittorica, tenuto sottotono, è stato cercato un nuovo equilibrio cromatico che rispettasse il colore dell’Angelico, esaltandolo. Al tempo stesso, con l'intervento sul supporto è stata ottimizzata la funzione del complesso e innovativo sistema di sostegno originale, non più adeguato, nell’assoluto rispetto della sua singolarità.


Caterina Toso


Giudizio universale

Il Beato Angelico ha dipinto la tavola (105 x 210 cm, nella foto prima del restauro, effettuato dal laboratorio di chi scrive), come una sorta di pagina miniata di grandi dimensioni usando con straordinaria perizia i materiali tradizionali delle botteghe fiorentine del primo Quattrocento: tempera a base d’uovo mescolata a pigmenti brillanti e preziosi, tra cui il blu di lapislazzuli, e raffinate decorazioni dorate in corrispondenza delle aureole e delle vesti dei personaggi. L’ultimo restauro sul dipinto, all’epoca molto scurito, risaliva al 1955, per le celebrazioni del cinquecentenario della morte dell’artista. In quell’occasione furono tolte le vernici ingiallite e i ritocchi alterati, ma non la patinatura antica, perché troppo rischioso. In tempi recenti, invece, sono state messe a punto nuove tecniche di pulitura, che ci hanno permesso di assottigliare quello strato bruno e di recuperare la luminosità per cui è famosa la pittura dell’Angelico.
Nel corso dell’intervento sulla struttura lignea sono stati inoltre riparati i danni provocati da una manomissione dei primi del Novecento.
Il restauro, infine, ha consentito di annotare una serie di osservazioni inedite sulla tavola che insieme ad altri studi ci auguriamo possano far luce sull’origine del dipinto, così singolare per forma e incorniciatura.


Lucia Biondi


ART E DOSSIER N. 372
ART E DOSSIER N. 372
GENNAIO 2020
In questo numero: VALLOTTON Il lato ombroso dei Nabis; RESTAURI Doppio Angelico a Firenze; IMPRESSIONISTI DISPERSI Il Monet parmigiano, I Cézanne fiorentini; IN MOSTRA: Boltanski a Parigi. Medardo Rosso a Roma. Gauguin a Londra. La Mellon Collection a Padova. Valadier a Roma. Direttore: Philippe Daverio