La pagina nera


QUEI DIPINTI ERANO TANTI,
POI DIVENNERO MIGRANTI

Un altro patrimonio disperso. Protagonisti due appassionati di Cézanne, Fabbri e Loeser, che tra fine Ottocento e inizio Novecento possedevano l’uno trentadue, l’altro quindici opere del pittore francese.
Tutto questo bendidio era nel capoluogo toscano, dove i collezionisti vivevano. Oggi, lì, rimane un ritratto.
E tutto il resto? Emigrato all’estero, anche alla Casa bianca. E di suoi quadri, i musei italiani ne hanno solo tre.

di Fabio Isman

C'è stata una grande stagione in cui, assai precocemente, Firenze era “la capitale di Paul Cézanne” (1839-1906), ancora semisconosciuto: più dipinti suoi di quanti ce ne fossero in riva all’Arno tra fine Ottocento e inizio Novecento, oggi ne vantano solo la collezione Barnes a Filadelfia, Parigi e la Russia, che era però quella dei formidabili collezionisti Sergej Ščukin e Ivan Morozov, eternato da Ivan Serov nel 1910 proprio davanti a un suo Matisse che oggi è alla Tret’jakov di Mosca. Però, Egisto Paolo Fabbri (1866-1933) e Charles Alexander Loeser (1864-1928) collezionavano le opere del pittore francese fin dall’anno successivo alla prima personale del 1895, quando abitavano a Parigi (Fabbri ne possedeva già sedici nel 1898), e a Firenze, dove poi si stabilirono, ne accumuleranno una cinquantina. Sull’Arno ne resta soltanto uno, notificato, mai prestato e «assolutamente inaccessibile», spiega Carlo Sisi, che con Francesca Bardazzi ha curato una mostra su questi quadri nel 2007 a palazzo Strozzi: il Ritratto di Victor Croquet, del 1889, acquistato a Parigi nel 1911, è degli eredi del collezionista e mecenate Gustavo Sforni (1889-1939), che proteggeva artisti come Oscar Ghiglia; tra l’altro, lo stesso Fabbri deteneva un pastello con Ballerine di Edgar Degas (1834-1917) e un bozzetto dell’Ultima cena di Paolo Veronese (1573), divenuta il Convito in casa di Levi a causa dell’Inquisizione, che gli intentò pure un processo.

Fabbri e Loeser erano due personaggi singolari e formidabili; i loro Cézanne si sono sparsi per i maggiori musei e collezioni private del mondo, anche con qualche assoluta stravaganza, che vedremo. Erano, come suol dirsi, di ottima famiglia. Fabbri dipingeva; lo zio, con cui viveva, aveva fatto fortuna a New York, era un banchiere e filantropo; socio del miliardario John Pierpont Morgan, parente dei Vanderbilt, tra i fondatori della Metropolitan Opera. Dopo la permanenza a Parigi, dove avrà come maestro Camille Pissarro, Fabbri senior torna a Firenze, anche con il nipote di diciannove anni, che va a Parigi e ha per maestro Camille Pissarro; in Toscana frequenta l’atelier di Michele Gordigiani. Mentre Loeser, figlio di un emigrante giunto negli Stati Uniti con due dollari in tasca che apre uno dei più importanti grandi magazzini a Brooklyn e fa tanti soldi, si laurea in arte a Harvard (ha come compagni George Santayana e Bernard Berenson) e in seguito viaggia in Europa; verso il 1890 giunge sull’Arno dove prende moglie.

Fabbri nel 1928 vende i primi tredici Cézanne per otto milioni di lire. È l’inizio della fine dei Cézanne a Firenze


A Parigi, Fabbri e Loeser comperavano soprattutto da Ambroise Vollard che da Cézanne aveva rilevato le prime seicento opere, al prezzo medio di appena quarantatre franchi; ne aveva allestito la prima personale con centocinquanta quadri (ma un critico descriverà «l’atroce visione di quegli incubi a olio, che hanno superato i limiti tollerati dalla legge»). Fabbri scrive addirittura al maestro di Aix-en-Provence per conoscerlo, però, invano. A Firenze, i suoi Cézanne erano nella sala da pranzo; Loeser, invece, li teneva nello spogliatoio e in camera da letto. Sono esposti nel 1910, nella prima mostra italiana dell’impressionismo, organizzata da Ardengo Soffici.


Casa sulla Marna (1888-1890), Washington, Casa bianca.

I quindici di Loeser stavano in via Lambertesca, e andranno poi in una villa restaurata alla Gattaia, sotto la basilica di San Miniato al Monte; i trentadue di Fabbri in via Cavour, e poi sopra Firenze, sul colle di Bagazzano (Fiesole), in una villa del Quattrocento tra i cui primi ospiti c’è Maurice Denis. Che descrive Fabbri come «un disincantato blasé, alterato non solo da sensazioni nuove, ma più alte». Il filantropo costruisce e dona pure una chiesa a Serravalle, tra La Verna e Camaldoli, che richiederà grossi esborsi; lui stesso, protestante, si converte. In più, aveva pure da restaurare il malmesso palazzo Capponi, dove vivevano tre delle sue quattro sorelle (Nathalie, moglie di Pietro Antinori, morirà nel 1931). Così, nel 1928 vende i primi tredici Cézanne per otto milioni di lire, con cui acquista l’edificio. Non saprà mai chi li compera; soltanto dopo la sua morte se ne conosceranno i nomi: Paul Rosenberg e Georges Wildenstein, i massimi mercanti parigini dell’epoca. È l’inizio della fine dei Cézanne a Firenze. Il suo preferito, Ragazzo con il gilet rosso, è ormai alla National Gallery di Washington; Madame Cézanne sulla poltrona rossa al Museum of Fine Arts di Boston; Stufa in un atelier alla National Gallery di Londra; La colazione sull’erba passa nella collezione di Paul Guillaume e ora è all’Orangerie di Parigi, e così via. Fabbri era celibe; il marchese Piero Antinori ricorda che voleva lasciare la casa a suo padre, primo nipote maschio della famiglia, ma con tutta una serie di vincoli, «tra cui quello di avere un figlio; mio padre, nemmeno ancora fidanzato, rinunciò». E palazzo Capponi finirà poi ai Contini Bonacossi.


Stufa in un atelier (1865 circa), Londra, National Gallery;

Diverso il destino delle opere di Loeser. Nel 1926, per testamento, dona molto di antico a Firenze, prevedendo perfino dove collocare le opere a Palazzo vecchio, in cambio di un permesso per gli eredi di vendere il resto della raccolta anche all’estero. Così, tra l’altro, duecentonovantadue disegni antichi vanno al Fogg Museum dell’università di Harvard e molto della collezione all’asta da Sotheby’s nel 1959. Lascia i quindici Cézanne alla figlia Matilda Sofia, alla cui morte, tuttavia, gli otto «di maggior valore» sarebbero spettati al presidente degli Stati Uniti Harry Truman (e ai successori), «per ornamento della Casa bianca». Nelle ultime volontà Loeser detta anche che «i quadri andranno esposti in una o più stanze in cui non ve ne siano altri. Non dovranno essere visibili cordoncini o altri sostegni, così da creare l’impressione di una serie di finestre, con un efficacissimo effetto decorativo. Il lato inferiore della tela deve essere a un’altezza di circa m 1,70 dal pavimento»; e poi dettaglia la distanza fra le cornici, e i colori più appropriati per la tappezzeria. Meticoloso, no?

Però non accadrà. Nel 1950 John Walker, “curator” della National Gallery di Washington di cui diverrà il secondo direttore, va a Firenze. Vede, e forse spaventa, Matilda Sofia: «C’è una sufficiente assicurazione?». Lei rinuncia all’usufrutto. Walker tenta di convincere lo stesso presidente Truman a declinare, cerca (invano) d’impadronirsi dei dipinti, e ne espone gli otto migliori nel museo americano. Per farla breve, nel 1960, con John Kennedy, alla Casa bianca s’insedia Jacqueline Bouvier, di remota ascendenza francese. E supera la tradizione per cui nel “santuario” degli States si esponevano solo artisti americani. Sei Cézanne di Loeser restano in prestito alla National Gallery, e due, a rotazione, saranno esposti nella residenza del presidente americano. Dopo Dallas, arriva Lyndon B. Johnson, cui dei Cézanne non importa molto. Le ultime notizie collocano tre ex Loeser nel museo, ma non esposti, e gli altri forse nella residenza del presidente, magari in deposito. Ma è difficile sapere se è ancora così: i gusti di Donald Trump non lasciano ben sperare. Per finire con i Cézanne di Firenze, restano i ricordi. Giuliano Briganti scrive, nel 1992, di «una dolente storia di incomprensione, ignoranza, occasioni mancate». Si erano visti soltanto nella mostra di Soffici e, a Venezia, nel padiglione francese alla Biennale del 1920. A proposito dell’esposizione veneziana, Ugo Ojetti scrive: «La saletta è quasi sempre deserta, non v’entra che gente d’arte: poca, e non s’entusiasma». Ma non tutti sanno capire... I pubblici musei italiani possiedono appena tre dipinti dell’artista: due a Roma, anche l’ultimo, Il capanno di Jourdan, incompiuto; e uno a Milano. Un altro tesoro che la penisola si è lasciata sfuggire.


Madame Cézanne sulla poltrona rossa (1877 circa), Boston, Museum of Fine Arts.

ART E DOSSIER N. 372
ART E DOSSIER N. 372
GENNAIO 2020
In questo numero: VALLOTTON Il lato ombroso dei Nabis; RESTAURI Doppio Angelico a Firenze; IMPRESSIONISTI DISPERSI Il Monet parmigiano, I Cézanne fiorentini; IN MOSTRA: Boltanski a Parigi. Medardo Rosso a Roma. Gauguin a Londra. La Mellon Collection a Padova. Valadier a Roma. Direttore: Philippe Daverio