Outsiders


L’ASTRATTISMO
DEL SOLE PALLIDO

di Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla riscoperta di grandi artisti, di opere e storie spesso dimenticate: Hilma af Klint

Quando morì a ottantadue anni, nel 1944, lasciò in eredità al nipote, viceammiraglio della Marina reale svedese, una gran bella rogna: milleduecento dipinti, centoventicinque taccuini e ventiseimila pagine di note biografiche. Con un preciso legato testamentario: nessuno avrebbe potuto prendere visione delle sue opere astratte, realizzate all’inizio del secolo, prima che fossero passati vent’anni dalla sua morte. Nessuno, del resto, le aveva mai viste, neanche quando lei era ancora in vita, convinta che solo negli anni Sessanta il pubblico avrebbe - forse - potuto comprendere il loro significato, che lei riteneva collegato al disvelamento del mondo sovrannaturale.

Nel 1970 i suoi dipinti, che erano stati rinchiusi in casse di legno al momento dello smantellamento dello studio, furono offerti in dono dalla famiglia al Moderna Museet di Stoccolma, che allora declinò cortesemente, e che ora invece celebra l’artista, giustamente, come un genio. Aveva ragione Hilma: il mondo non era ancora preparato.

Le opere rimarranno così, sconosciute per quarant’anni, sino a quando nel 1986, grazie al lavoro della fondazione che nel frattempo era stata a lei dedicata, vengono esposte nella mostra The Spiritual in Art. Abstract Painting 1890- 1985 (Los Angeles County Museum of Art) e in modo più consistente nel 2005 in 3 x Abstraction: New Methods of Drawing by Hilma af Klint, Emma Kunz, Agnes Martin (The Drawing Center, New York).

Solo allora ci si rese conto di trovarsi di fronte ad autentici capolavori, e che la nascita dell’astrattismo, tradizionalmente consegnato da Dio nelle mani di Kandinskij, in realtà aveva molti padri e madri. Come il drammaturgo svedese August Strindberg, il musicista estone Mikalojus Konstantinas Ciurlionis, il ceco František Kupka, il russo ascetico Kazimir Malevicˇ, come Hilma. Tutti giunti da vie diverse alla medesima soluzione dell’enigma, stranamente tutti vissuti nelle vicinanze del Polo Nord geografico, cosa che un antropologo dovrebbe decisamente provare a interpretare.

Buffo pensare alla nota che Kandinskij scrisse al suo gallerista di New York Jerome Neumann nel 1935, per rassicurarlo, ancora una volta, che era stato proprio lui ad aver dipinto per primo (tra il 1910 e il 1911) immagini astratte: «In effetti è la prima immagine astratta del mondo, perché allora non un singolo pittore dipingeva in stile astratto ». E ormai sappiamo che non era così.

Hilma af Klint, per le sue sperimentazioni, non si rinchiuse però nei limiti dettati dai formati standard, come i suoi colleghi, ma utilizzò tele di grandissime dimensioni, anche di 2,40 x 3,20 m, che dipingeva fissandole a terra, come avrebbe fatto in seguito Pollock, per capirci. Misure utilizzate dall’espressionismo astratto americano degli anni Cinquanta e Sessanta e che fanno ancora più effetto se rapportate alla statura di Hilma, di poco superiore al metro e cinquanta, e che trasformano oggi una retrospettiva sul suo lavoro in una mostra di arte contemporanea. Opere che lei aveva realizzato per la decorazione del Tempio: centonovantatre quadri astratti prodotti in due tranche (1906-1908 e 1912-1915) e commissionati non da un mecenate, ma da un’entità spirituale denominata Amaliel, nome in uso alle isole Fær Øer. Opere destinate a decorare un’architettura a cerchi concentrici, il Tempio, che non verrà mai alla luce e della quale lei stessa ignora significato e funzione.

Tele cariche di simbologie: le forme (prima organiche, quindi geometriche), i colori (giallo per l’entità maschile, blu per quella femminile), le lettere («u» per lo spirituale, «w» per il materiale), i salti di scala (dall’atomo al cosmo), le polarità (bianco/nero, vuoto/pieno). Tele straordinarie, anche nel loro aspetto formale e compositivo, studiate nei minimi dettagli.Riccardo Venturi scrive: «Hilma sente di avere una missione da compiere e niente può distoglierla. 


Gruppo IV, n. 7, The Ten Largest, Adulthood (1907), Stoccolma, Moderna Museet, esposte nella medesima sequenza nella mostra Hilma af Klint: Paintings for the Future, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 2018-2019.

È una veggente che mette in comunicazione due mondi inconciliabili, che fa della pittura un medium nel senso medianico e non modernista del termine: uno strumento di mediazione, una psicografia e non quell’insieme di condizioni materiali (tela, cavalletto, colori) che la rendono possibile ». Hilma ci ha lasciato numerose foto personali. Una ragazza minuta, dallo sguardo freddo, non bella, si potrebbe dire “graziosa”, distaccata come i suoi occhi blu, disegnatrice nel 1901 per l’Istituto veterinario, copista dei trattati di Linneo. E la sua immagine non collima in nessun modo con il suo lavoro, che potrebbe essere il “divertissement” anni Novanta di uno sciroccato come il giapponese Murakami.

Mathilda af Klint (Hilma) nasce nel 1862, quarta figlia del capitano Victor, comandante della Marina svedese. Cresce in una famiglia che ha, fra gli avi, ammiragli e cartografi. Trascorre le estati nella fattoria di famiglia a Hanmora sull’isola di Adelsö, nel lago Mälaren. In quei paesaggi primigeni entra in contatto con la natura, e questa associazione con le forme naturali tornerà più volte come ispirazione nel suo lavoro.

Quando la famiglia si trasferisce a Stoccolma, Hilma si iscrive all’Accademia di belle arti (Konstakademien), tra le prime donne a essere ammesse. A vent’anni si specializza all’Accademia reale in Disegno e pittura di paesaggi.
Laureata con lode, vince una borsa di studio per entrare nel palazzo Atelier (Ateljébyggnaden) all’incrocio tra Hamngatan e Kungsträdgården, all’epoca principale centro culturale della capitale svedese, dove operò anche Munch.
Le sue opere figurative sono però anonime come una faccia senza naso. I suoi autoritratti sono tristi, di sapore ottocentesco.


Svanen (1915), dalla serie SUW/UW, gruppo IX/SUW, n. 17.

Ha più di trent’anni, veste quasi sempre di nero e per la cultura del tempo è una zitella. E come ora c’è chi si perde nelle chat, lei scopre un mondo parallelo, quello dell’esoterismo. Il positivismo ha dissepolto anche il mondo dei morti e lo spiritismo impazza a Londra e Parigi. La scoperta dei raggi X permette di vedere ciò che non sembrava possibile, sui giornali si parla di radioattività e onde elettromagnetiche. Tutto, insomma, diventa relativo.

È protestante, molto vicina alla teosofia, disciplina fondata da una donna, la filosofa e medium russa Eléna Petróvna Blavatsky, a capo della prima organizzazione religiosa in Europa a non discriminare le donne. Una guru carismastica che grande influenza avrà anche sulle teorie visive di Piet Mondrian (altro tema da approfondire). Un personaggio magnetico, capace non solo di influenzare la pittura astratta, ma di attraversare la storia. Al seguito di Garibaldi nelle battaglie di Monterotondo e Mentana, dove si becca due pallottole nel petto e viene gettata in una fossa comune perché creduta morta.

Hilma ha diciassette anni quando partecipa alla sua prima seduta spiritica, ma ora il gioco le prende letteralmente la mano, e dona finalmente un senso alla sua esistenza. Nel 1896, insieme a quattro donne forma il gruppo De Fem (I Cinque).
Hanno preso contatto con “maestri di alto livello” provenienti da un’altra dimensione e raccolgono appunti meticolosi delle sedute spiritiche, tanto da pubblicare il volume di messaggi mistici Höga Mästare (I Grandi Maestri).

Il desiderio di trascendente porta un netto cambiamento nell’arte di Hilma. Inizia a esplorare la “scrittura automatica”, che elimina il controllo consapevole del movimento della penna e il “disegno automatico”, anticipando di decenni gli esperimenti di surrealisti come Arp e Masson. Da questo momento evita ogni immagine naturalistica, nel tentativo di liberarsi dalla sua formazione accademica. Intraprende così un viaggio interiore, in un mondo che è nascosto alla maggior parte delle persone. «Verità infinite trasmesse direttamente attraverso di me, senza disegni preliminari e con grande forza.»

E in questo, anche il colore assume una forza espressiva libera da convenzioni naturaliste, con cromie acide che ho ritrovato solo nel nuovo millennio.
Nel 1905 Amaliel le chiede di dipingere su “un piano astrale” e di rappresentare gli aspetti immortali dell’uomo. «Non avevo idea di cosa dovessero rappresentare i dipinti », scrive, «[…] tuttavia ho lavorato in modo rapido e sicuro, senza modificare un singolo tratto di pennello».


Madame Blavatsky (Eléna Petróvna von Hahn, 1831-1891), filosofa, teosofa, occultista e medium russa naturalizzata statunitense. Tra le figure più interessanti e discusse del periodo.

Ogni dipinto ha la capacità di generare il successivo, in una complessa rete di rimandi interni. Se i temi panteistici ed ermetici restano a volte oscuri, la sensualità estetica di queste superfici non viene mai meno, ti afferra le budella e te le gira lentamente. Quando Hilma af Klint completa i lavori per il Tempio, la guida spirituale sparisce. Immagino lo sgomento che deve aver provato nella sua casa, ora vuota di voci e di visioni. Tuttavia, continuerà a praticare la pittura astratta, al di là di qualsiasi influenza esterna, per solo spirito di ricerca. La serie Caos primordiale fu un seme da cui si svilupparono circa duecento dipinti astratti. Tra agosto e dicembre 1907 realizzò una serie di opere monumentali intitolate I dieci più grandi, caratterizzate da ovali, cerchi e linee a serpentina in colori radiosi. Le forme organiche delle prime astrazioni lasciano il posto al rigore geometrico.

Se i dipinti per il Tempio erano perlopiù realizzati a olio, ora usa anche l’acquerello. I dipinti successivi si riducono come dimensione, e rappresentano le diverse religioni nelle varie fasi della storia, o la dualità tra l’essere fisico e la sua equivalenza a livello esoterico. Nel 1908 conosce Rudolf Steiner, futuro fondatore della Società antroposofica, che concepisce la realtà universale come una manifestazione spirituale in continua evoluzione. È in visita a Stoccolma e, nello stesso anno - guarda a volte i casi -, incontrerà anche Kandinskij. Steiner la affabula con le sue teorie sulle arti e ne influenza l’espressività. Lei, forse, crede di aver trovato l’unico essere in grado di capirla.

Diversi anni dopo lo incontra di nuovo al Goetheanum a Dornach, in Svizzera, sede della Società antroposofica, dove tra il 1921 e il 1930 Hilma trascorre lunghi periodi di studio. Ma quando, alla fine, rompendo gli indugi, decide finalmente di condividere con lui il suo lavoro e le sue scoperte, viene respinta, considerata una mezza pazza. Hilma af Klint ne può trarre solo una conclusione: il suo tempo non è ancora pronto per capirla. Si ritira nell’isola Munsö, nei luoghi della sua infanzia, dove rimarrà a ripercorrere e scrivere le sue esperienze, cercando di trovare una spiegazione. Alla morte viene sepolta, accanto al padre, nell’ex cimitero navale di Galärvarvskyrkogården. Chissà quante cose avranno avuto da dirsi. Sempre che, nel frattempo, non abbiano avuto modo di risentirsi.


Uno dei tanti quaderni di Hilma: appunti su forme, visioni, fiori, muschi e licheni (1919). Tutto ha un significato, chiocciola e spirale rappresentano lo sviluppo o l’evoluzione.

ART E DOSSIER N. 370
ART E DOSSIER N. 370
NOVEMBRE 2019
In questo numero: Palazzo Grimani La collezione del patriarca. Eros e Bellezza Giù le mani da Susanna. Elogio della curva. Se la grottesca accende la fantasia. In mostra:Bacon a Parigi. Chagall, Picasso, Mondrian ad Amsterdam. Goncarova a Firenze. Rembrandt e Velázquez ad Amsterdam. Gli aztechi a Stoccarda.Direttore: Philippe Daverio.