Grandi mostre. 1
Bacon e la letteratura a Parigi

UN’EUFORICA
DISPERAZIONE

Autodidatta, eccessivo, rivoluzionario, imprevedibile, intrepido, anticonvenzionale, Francis Bacon ha impresso nelle sue tele quei sentimenti di violenza e angoscia che mai l’hanno abbandonato nell’arte come nella vita, nell’intento di evocare situazioni reali e di “dipingere” le emozioni nei loro aspetti più crudi e feroci, cogliendo anche nella letteratura e nella filosofia stimoli per alimentare il suo processo creativo.


Valeria Caldelli

Achi gli chiedeva quali artisti lo avessero suggestionato nella feroce deformazione dei corpi, rispondeva che i suoi dipinti venivano solo dalla sua mente e dalla sua “euforica disperazione” e che comunque la vita era molto più violenta dei suoi quadri. «La nostra esistenza è protetta da una serie di veli. Quando la gente dice che il mio lavoro appare violento, forse è perché sono riuscito a sollevarne un paio», disse in un’intervista a David Sylvester, critico d’arte inglese scomparso nel 2001. In effetti Francis Bacon, artista costantemente fuori misura nella sua ossessiva esplorazione del corpo, è sempre rimasto isolato, sia nel corso della sua lunga vita vissuta per la maggior parte a Londra e terminata a Madrid nel 1992, sia dopo la morte, a seguito della quale ha lasciato un’eredità artistica senza seguaci. Autodidatta, mai tentato dall’astrazione, che invece dominava la scena delle avanguardie dopo il 1945 e che lui considerava meramente decorativa, Bacon elabora uno stile personale, da una parte affascinato dalle tradizioni artistiche del passato, dall’altra impegnato in un processo creativo che rivoluzionava le forme nell’intento di “intrappolare” l’energia della realtà e provocare emozioni. L’idea era quella di “aprire le valvole del sentimento”, creare una realtà artistica artificiale e inquietante che non avesse più niente dell’illustrazione ma che proprio per questo fosse più immediata.


Artista costantemente fuori misura nella sua ossessiva esplorazione del corpo





In Memory of George Dyer (1971), Riehen (Basilea), Fondation Beyeler.

Non è sempre facile seguire Bacon nella sua assetata ricerca della “verità”, piena di contraddizioni e di paura di fallimenti. Lui sempre smodato nella vita come nell’arte, imprevedibile, audace, incurante delle convenzioni, a suo agio nei bassifondi di Soho così come al Ritz. Eppure, pur non avendo un’educazione scolastica, ma solo quella dei sentimenti che derivano dalla violenza estrema e dalla disperazione, la sua biblioteca personale contava più di mille titoli, da Nietzsche a Conrad, da Eschilo a Eliot, autori con cui condivideva una visione amorale del mondo, diffidente rispetto a qualsiasi valore o credenza. Una mostra in corso al Centre Pompidou di Parigi esplora l’influenza della letteratura sull’opera di Francis Bacon con una ricerca innovativa che prende in esame gli ultimi venti anni del pittore, a partire dal 1971, quando una retrospettiva al Grand Palais consacrò il suo genio artistico a livello internazionale.

«La letteratura occupa un posto essenziale nella vita e nell’opera di Bacon. Tuttavia per lungo tempo ne ha taciuto i legami con la sua pittura, dal momento che il modello allora dominante era quello dell’espressionismo astratto, un filone che si era emancipato dai modelli europei e da quello del surrealismo in particolare», spiega Didier Ottinger, curatore dell’esposizione parigina. «Sono i tempi che alcuni storici ricordano come il “trionfo della scuola di New York”. Il teorico principale di questa nuova pittura americana, Clement Greenberg, pubblica un testo in cui impone alle avanguardie di rompere tutti i legami con la letteratura.

In questo contesto Bacon dissimula il suo interesse per i libri, fino a quando, intorno alla metà degli anni Settanta, si fa strada una pittura qualificata come “post moderna”. Chia o Cucchi in Italia, Garouste in Francia, Kiefer in Germania, non temono più di rivendicare i legami delle loro opere con le fonti letterarie.

E Bacon può finalmente ammettere una passione fino a quel momento vissuta in modo colpevole. Il cambiamento è radicale. Nelle interviste anteriori al 1971 vengono menzionati pittori come Velázquez e Cimabue, cineasti come ∙ Ejzenštejn e Buñuel, fotografi come Muybridge. Più tardi sono Eschilo, Proust, Nietzsche a essere citati dall’artista».


Certo, Bacon non è un pittore “narrativo” e non sono le storie raccontate dai suoi autori preferiti a trovare forma nei suoi quadri. Piuttosto per lui la letteratura è uno stimolo potente che gli ispira atmosfere tenebrose, evocando immagini di sangue, delitti, sesso. Sempre fedele alla sua idea di comunicare direttamente con il “sistema nervoso”, il suo debito verso la filosofia, i poemi e le poesie, che in alcuni casi diceva persino di conoscere a memoria, proveniva dall’energia che questi sprigionavano, dalle reazioni che gli provocavano, grazie alle quali riusciva poi a trasmettere emozioni e sentimenti forti. «La vita è così insensata che potremmo anche cercare di farne qualcosa di straordinario», diceva citando Nietzsche. D’altronde la letteratura non solo si legge, ma la si ascolta. E lui la ascoltava in quel processo creativo che talvolta assomigliava più a una “battaglia” che a una costruzione ordinata, in cui era l’istinto a guidare la sua mano, lanciando il colore sulla tela e cercando di trarre vantaggio da questa casualità, perché - era sua convinzione - le immagini che vengono dal caso non hanno subìto le interferenze del cervello. «A volte», raccontò all’amico giornalista Daniel Farson, «mentre lavoro sono così stufo che prendo il pennello e riempio la tela di segni e poi all’improvviso in questo caos si inizia a intravedere un’immagine a cui prima non avevo pensato».

Allora eccolo il trittico ispirato dall’Orestea di Eschilo, l’ultima tragedia del drammaturgo greco, in cui Clitennestra uccide il marito Agamennone per aver sacrificato la figlia Ifigenia, mentre Oreste, il figlio, si vendica uccidendo la madre e il suo amante Egisto, salvo poi essere inseguito dalle Erinni vendicatrici. Crimine, vendetta, potere, sofferenza, senso di colpa sono i sentimenti epici richiamati dalla tragedia che Bacon traduce in due pannelli laterali nel cui sfondo domina una porta aperta sul mistero dell’abisso, e una parte centrale in cui, su un piedistallo, sembrano lottare due deformate figure umane.





Triptych May-June 1973 (1973).





Triptych (1976).

Una storia universale di sangue, violenza e vendetta, una storia moderna, che è anche la sua storia

Il tappeto rosso sotto di loro evoca il sangue, così come la lunga scia che appare nel pannello di sinistra, sotto una strana forma animata. Inutile cercare i protagonisti della storia, da Clitennestra alle Erinni. «Le sue letture gli ispirano delle immagini folgoranti che non possono che avere un rapporto lontano con le loro fonti letterarie», conferma Didier Ottinger. Ciò che Bacon ci trasmette, dunque, è una storia universale di sangue, violenza e vendetta, una storia moderna, che è anche la sua storia. Maltrattato brutalmente dal padre - un addestratore di cavalli -, fatto picchiare dai suoi stallieri, gli stessi che poi abuseranno sessualmente di lui, infine allontanato a sedici anni dalla casa familiare perché scoperto mentre indossava una sottoveste della madre, Bacon diceva di essere stato educato a «pensare alla violenza». Quella violenza che lui interpreterà come forza e feroce energia nei rapporti sadomasochisti con i suoi amanti, rapporti che spesso hanno fatto temere per la sua stessa vita. Sulle sue spalle anche quella crisi di umanità generata dalle due guerre mondiali e l’aspra tensione tra Inghilterra e Irlanda, paese dove era nato e vissuto negli anni giovanili. Non c’è da stupirsi se i “demoni” lo visitavano e le Furie della letteratura divennero così conformi alle sue paure da ispirare sofferenza e morte nei suoi quadri. Sessanta i dipinti nella mostra Bacon en toutes lettres provenienti da collezioni pubbliche e private, tra cui dodici trittici e una serie di ritratti e autoritratti. Bacon, che usava foto e non modelli viventi per costruire l’immagine e manipolarla, dipingeva solo soggetti conosciuti e negli ultimi anni del suo lavoro crebbe molto la quantità di autoritratti: «Li faccio perché tutte le persone intorno a me sono morte e non è rimasto nessun altro da dipingere se non me stesso».

Nelle sale al sesto piano del Beaubourg dove la mostra è allestita vengono evocati uno dopo l’altro gli autori che lui stesso ha citato nel titolare le sue opere e messi in relazione con i suoi dipinti. È attorno ai dodici trittici, cuore dell’avvenimento, che si articola la struttura dell’esposizione. Oltre a quello ispirato dall’Orestea di Eschilo, Sweeney Agonistes di Eliot ha fornito altri stimoli creativi, così come il Triptych (1976) da Cuore di tenebra di Conrad. I tori appaiono invece nei quadri di Bacon in seguito alla lettura di Michel Leiris, di cui sono esposti anche due ritratti.


Ma la prima sala della rassegna è dedicata ai “trittici neri” dipinti in omaggio all’amico-amante suicida George Dyer, trovato morto nella camera d’albergo che divideva con lui a Parigi pochi giorni prima dell’inaugurazione della grande mostra al Grand Palais. «Ho pensato all’esposizione del Centre Pompidou come a un seguito di quella che il Grand Palais aveva dedicato a Bacon nel 1971», spiega il curatore. «Vogliamo sottolineare come dopo quel momento l’opera dell’artista abbia subito una metamorfosi stilistica e poetica. I suoi dipinti - a detta dello stesso Bacon - hanno acquisito un carattere “immacolato”, nello stesso tempo semplificando le linee e intensificando e variando i colori».

George Dyer, rapinatore proveniente dall’East End londinese, è un soggetto dominante nelle opere di Bacon a partire dal 1963, anno in cui cominciò la relazione con l’artista che, dopo fiumi di alcol, si stava concludendo proprio nel periodo del massimo successo del compagno. La mostra parigina ce lo presenta con Portrait of George Dyer in a Mirror, 1968 CR68-05 (1968), quando ancora era il modello preferito di Bacon, e nei trittici dipinti dopo la sua scomparsa:


Portrait of George Dyer in a Mirror, 1968 CR68-05 (1968).

In Memory of George Dyer, del 1971, e Triptych May-June 1973 (1973). Nonostante la conclamata avversione di Bacon per l’illustrazione di “storie”, in quest’ultimo omaggio all’amico scomparso lo rappresenta nel bagno, dove lo avevano trovato morto, e mentre vomita nel lavandino dopo l’assunzione dei barbiturici, avvicinandosi così a una vera e propria sorta di narrazione del suo suicidio. Negli anni successivi le Erinni di Eschilo torneranno molte volte a visitare l’artista consumato dal senso di colpa.





Triptych Inspired by the Oresteia of Aeschylus (1981), Oslo, Astrup Fearnley Museet.





Three Portraits - Posthumous of George Dyer, Self-Portrait, Portrait of Lucian Freud (1973).

Bacon en toutes lettres

Parigi, Centre Pompidou
a cura di Didier Ottinger
fino al 20 gennaio 2020
orario 11-21, giovedì 11-23, chiuso martedì
catalogo Centre Pompidou
www.centrepompidou.fr

ART E DOSSIER N. 370
ART E DOSSIER N. 370
NOVEMBRE 2019
In questo numero: Palazzo Grimani La collezione del patriarca. Eros e Bellezza Giù le mani da Susanna. Elogio della curva. Se la grottesca accende la fantasia. In mostra:Bacon a Parigi. Chagall, Picasso, Mondrian ad Amsterdam. Goncarova a Firenze. Rembrandt e Velázquez ad Amsterdam. Gli aztechi a Stoccarda.Direttore: Philippe Daverio.