Non è sempre facile seguire Bacon nella sua assetata ricerca della “verità”, piena di contraddizioni e di paura di fallimenti. Lui sempre smodato nella vita come nell’arte, imprevedibile, audace, incurante delle convenzioni, a suo agio nei bassifondi di Soho così come al Ritz. Eppure, pur non avendo un’educazione scolastica, ma solo quella dei sentimenti che derivano dalla violenza estrema e dalla disperazione, la sua biblioteca personale contava più di mille titoli, da Nietzsche a Conrad, da Eschilo a Eliot, autori con cui condivideva una visione amorale del mondo, diffidente rispetto a qualsiasi valore o credenza. Una mostra in corso al Centre Pompidou di Parigi esplora l’influenza della letteratura sull’opera di Francis Bacon con una ricerca innovativa che prende in esame gli ultimi venti anni del pittore, a partire dal 1971, quando una retrospettiva al Grand Palais consacrò il suo genio artistico a livello internazionale.
«La letteratura occupa un posto essenziale nella vita e nell’opera di Bacon. Tuttavia per lungo tempo ne ha taciuto i legami con la sua pittura, dal momento che il modello allora dominante era quello dell’espressionismo astratto, un filone che si era emancipato dai modelli europei e da quello del surrealismo in particolare», spiega Didier Ottinger, curatore dell’esposizione parigina. «Sono i tempi che alcuni storici ricordano come il “trionfo della scuola di New York”. Il teorico principale di questa nuova pittura americana, Clement Greenberg, pubblica un testo in cui impone alle avanguardie di rompere tutti i legami con la letteratura.
In questo contesto Bacon dissimula il suo interesse per i libri, fino a quando, intorno alla metà degli anni Settanta, si fa strada una pittura qualificata come “post moderna”. Chia o Cucchi in Italia, Garouste in Francia, Kiefer in Germania, non temono più di rivendicare i legami delle loro opere con le fonti letterarie.
E Bacon può finalmente ammettere una passione fino a quel momento vissuta in modo colpevole. Il cambiamento è radicale. Nelle interviste anteriori al 1971 vengono menzionati pittori come Velázquez e Cimabue, cineasti come ∙ Ejzenštejn e Buñuel, fotografi come Muybridge. Più tardi sono Eschilo, Proust, Nietzsche a essere citati dall’artista».
Certo, Bacon non è un pittore “narrativo” e non sono le storie raccontate dai suoi autori preferiti a trovare forma nei suoi quadri. Piuttosto per lui la letteratura è uno stimolo potente che gli ispira atmosfere tenebrose, evocando immagini di sangue, delitti, sesso. Sempre fedele alla sua idea di comunicare direttamente con il “sistema nervoso”, il suo debito verso la filosofia, i poemi e le poesie, che in alcuni casi diceva persino di conoscere a memoria, proveniva dall’energia che questi sprigionavano, dalle reazioni che gli provocavano, grazie alle quali riusciva poi a trasmettere emozioni e sentimenti forti. «La vita è così insensata che potremmo anche cercare di farne qualcosa di straordinario», diceva citando Nietzsche. D’altronde la letteratura non solo si legge, ma la si ascolta. E lui la ascoltava in quel processo creativo che talvolta assomigliava più a una “battaglia” che a una costruzione ordinata, in cui era l’istinto a guidare la sua mano, lanciando il colore sulla tela e cercando di trarre vantaggio da questa casualità, perché - era sua convinzione - le immagini che vengono dal caso non hanno subìto le interferenze del cervello. «A volte», raccontò all’amico giornalista Daniel Farson, «mentre lavoro sono così stufo che prendo il pennello e riempio la tela di segni e poi all’improvviso in questo caos si inizia a intravedere un’immagine a cui prima non avevo pensato».
Allora eccolo il trittico ispirato dall’Orestea di Eschilo, l’ultima tragedia del drammaturgo greco, in cui Clitennestra uccide il marito Agamennone per aver sacrificato la figlia Ifigenia, mentre Oreste, il figlio, si vendica uccidendo la madre e il suo amante Egisto, salvo poi essere inseguito dalle Erinni vendicatrici. Crimine, vendetta, potere, sofferenza, senso di colpa sono i sentimenti epici richiamati dalla tragedia che Bacon traduce in due pannelli laterali nel cui sfondo domina una porta aperta sul mistero dell’abisso, e una parte centrale in cui, su un piedistallo, sembrano lottare due deformate figure umane.