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Dulle Griet, di Pieter Bruegel


QUELLA PAZZADI MARGHERITA


Un’iconografia decisamente rara, con una protagonista femminile che - ancora in pieno Cinquecento - non appartiene né alle sacre scritture, né alla mitologia classica, e nemmeno al genere del ritratto. Margherita la Pazza esce dal folklore fiammingo e si prende la scena in una delle prime grandi opere pittoriche di Pieter Bruegel il Vecchio. Un recente restauro ce ne consente la rilettura. Ne parliamo con la direttrice dei lavori.


Claudio Pescio

La bocca semiaperta, lo sguardo perso chissà dove, la spada nella mano destra, cesti e fagotti nell’altra, uno scrigno sotto il braccio, Margherita sembra in fuga da qualcosa. Veste una corazza e ha un elmetto in testa, sembra ansimante; tutto attorno un’apocalisse di fuoco, mostri, demoni, soldati e donne inferocite. Chi è Margherita, la Pazza, o Dulle Griet, in fiammingo? Karel van Mander, uno dei primi biografi di Bruegel, nel 1604 così descrive la scena: «Dulle Griet, che guarda la bocca dell’inferno». Già, ma tutto il resto?

Con la Caduta degli angeli ribelli e il Trionfo della Morte, Dulle Griet appartiene a un gruppo di opere delle stesse dimensioni (117 x 162 cm), correlate fra loro – forse da una stessa committenza – e dipinte da Pieter Bruegel il Vecchio fra il 1561 e il 1563. Una triade di tavole centrate su altrettanti ammonimenti morali: rispettivamente la superbia che porta alla perdizione; l’inutile vanità delle cose terrene, destinate a essere spazzate via dalla fine di tutto; l’avidità che conduce alla follia e al capovolgimento di ogni regola razionale. Che è il tema della nostra Griet.

Un proverbio fiammingo racconta di una donna che «poteva andarsi a prendere l’inferno e uscirne sana e salva». Griet è un personaggio umoristico della cultura fiamminga, e incarna quel tipo di figura femminile, una virago dai modi spicci protagonista di farse teatrali, motti di spirito, stampe e dipinti in cui si allude a un capovolgimento dei ruoli tradizionali. È un “mondo alla rovescia” che inverte gli stereotipi, con la donna che veste i panni del padrone di casa, detta legge in famiglia, sottomette il maschio. Qui la vediamo trascinare con sé il frutto di una razzia compiuta insieme a una banda di altre donne impegnate a malmenare demoni e soldati.

La pittura ha ora ritrovato varietà di toni e una nuova limpidezza

Il rimando è quindi anche a un altro, analogo tema della tradizione popolare, la “guerra dei sessi”. Il monito, la morale, è che bisogna guardarsi dall’avidità, fonte di ogni sovversione dell’ordine costituito. E forse questo spiega l’enigmatica figura centrale, di spalle, che dal suo deretano-uovo rotto rovescia monete a palate sulla rissosa folla sottostante: un’indifferenza per il denaro che fa da contraltare all’avida Griet?

In tempo per le celebrazioni del 450° della morte di Bruegel, il dipinto è recentemente tornato alla sua sede abituale, il museo Mayer van den Bergh di Anversa, dopo un restauro durato un anno e mezzo, compiuto da un’équipe multidisciplinare del Laboratorio di restauro pittorico dell’Institut Royal du Patrimoine Artistique del Belgio. Abbiamo incontrato la persona che è a capo di quel laboratorio, Livia Depuydt, che non solo ci ha spiegato metodi e processi del lavoro compiuto ma ci ha aiutato a capire meglio l’opera stessa proprio partendo dai risultati del restauro, che ha corretto alcune interpretazioni e letture tanto affrettate quanto consolidate.

I lavori effettuati hanno liberato il dipinto da vernici e ridipinture che ne avevano uniformato il colore dominante in un’indistinta tonalità brunita. La pittura ha ora ritrovato varietà di toni, una nuova limpidezza che restituisce i corretti valori di rapporto fra piani diversi della composizione, una profondità del paesaggio che si era totalmente persa. Anche il cielo del dipinto non appare più di un totalizzante rosso cupo per rivelare inopinati brani di verde-azzurro. Ma non tutti i colori potevano essere recuperati: lo smalto blu, l’azzurrite e il verde hanno definitivamente perso la luce originale; anche la gonna di Margherita, ora grigia, era blu.

E proprio la migliore leggibilità del colore propone la prima correzione interpretativa: la protagonista non è una figura “gigantesca”, come spesso si legge nelle descrizioni del dipinto, è semplicemente in primo piano, su un’altura che ha raggiunto e che – come del resto in molte opere anche a stampa di Bruegel – colloca in posizione elevata il punto di vista, consentendo di spaziare su un vasto paesaggio nei piani successivi, dove tutto appare ridotto nelle dimensioni. Tra l’altro gli oggetti che porta con sé (anche una padella) sono dimensionalmente in rapporto corretto con quelle della stessa Griet.

È stata poi scoperta la data apposta sul dipinto, che è il 1563 e non, come si riteneva, il 1561. Siamo quindi nel periodo in cui Bruegel si sposa, con Mayken Coecke, e lascia Anversa per trasferirsi a Bruxelles. È un periodo in cui nella sua produzione è ancora evidente il riferimento all’opera di Hieronymus Bosch, scomparso quasi cinquant’anni prima ma ancora dominatore del mercato con le sue imitatissime e bizzarre creazioni popolate di mostri, demoni, incendi e immagini surreali. Margherita la Pazza sciorina l’intero repertorio boschiano: misteriosi abitatori di misteriose sfere trasparenti, edifici antropomorfi, animali mutanti, strumenti musicali, oggetti fuori scala, città in fiamme; ma con una certa dose di drammaticità in meno e una più evidente voglia di giocare con un immaginario che evidentemente stava cedendo i suoi tratti più severi – fondati su una precedentemente condivisa paura dell’assoluta pervasività del male – in favore di una nuova consapevolezza della dimensione “teatrale” e convenzionale di quello che sta diventando solo un genere pittorico fra gli altri.


Prima del restauro: Pieter Bruegel il Vecchio, Margherita la Pazza (Dulle Griet, 1563), Anversa, museo Mayer van den Bergh;

Dopo il restauro: Pieter Bruegel il Vecchio


Il restauro ha consentito anche delle messe a punto interpretative

Un’altra novità riguarda un segno, sul dipinto, che a lungo era stato interpretato come un modo del pittore per rivelare il senso nascosto della scena: una scritta, «DUL» (folle), tracciata in modo da poter essere appena percepita da chi avesse esaminato la superficie con la dovuta accortezza. Il restauro ha chiarito tutto: era una semplice incrinatura nella pellicola pittorica (e qui sembra di cogliere un lampo di malizia nel sorriso di Livia Depuydt).

I laboratori dell’Irpa di Bruxelles hanno messo in campo, oltre alle consuete apparecchiature, anche strumenti di nuova concezione, come la macro-XRF, tecnica messa a punto con l’Università di Anversa che identifica i pigmenti trasformandoli non in un tracciato, come avveniva finora, ma in immagine, con le ovvie facilitazioni di leggibilità. Tecnologie che hanno anche chiarito meglio la tecnica pittorica dell’artista fiammingo: una sottile imprimitura bianca, poi la stesura dei fondi lasciando in bianco, già predisposti, tutti gli spazi destinati a figure e dettagli, poi una stesura rapida di colori fini e mai più di due.

E hanno restituito leggibilità a dettagli prima offuscati. Uno per tutti: un orsetto di peluche che fa capolino dal buio di un’arcata proprio davanti a Margherita.


Un’immagine del dipinto restaurato in macro-XRF.

GRIET IN MOSTRA (UN’ATTIVISTA IN UN MONDO CHE BRUCIA?)

Anche per Margherita la Pazza – oltre al 450° anniversario della morte del suo autore – c’è una ricorrenza: il prossimo 5 ottobre saranno esattamente 125 anni che la tavola fa parte delle collezioni del museo Mayer van den Bergh. In quel giorno del 1897 Fritz Mayer van den Bergh (1858-1901) la acquistò in un’asta a Colonia, su suggerimento di uno dei massimi storici dell’arte europea del periodo, Max Friedländer; la pagò solo 488 vecchi franchi belgi, in un periodo in cui un Rubens di analogo formato poteva costarne 45mila.

Per l’occasione, il museo di Anversa, che reca il suo nome e conserva la sua raccolta, organizza una mostra – La Madonne rencontre Margot la Folle, 5 ottobre 2019 - 31 dicembre 2020, Lange Gasthuisstraat 19, orario 10-17, www.museummayervandenbergh.be – che aprirà proprio in quel giorno del prossimo ottobre. Mostra che sarà dedicata, oltre che a Mayer van den Bergh, anche a un altro appassionato collezionista, Florent van Ertborn (1784-1840), i cui fondi costituiscono parte cospicua del patrimonio del Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa. Le due raccolte hanno in pratica completato, nell’Ottocento, l’immagine della città come capitale dell’arte fiamminga dei secoli XV-XVI, in un periodo in cui quel contesto culturale era pressoché dimenticato dalla critica e dal mercato. L’allestimento occuperà uno spazio nell’edificio dedicato alle mostre giusto a fianco di quello che ospita la collezione permanente. Museo caratterizzato dall’atmosfera raccolta e quasi domestica, accesa da capolavori come appunto la Griet di Bruegel, star della mostra, che in questa occasione sarà attorniata da opere di Gerard David, Herri met de Bles, Joachim Patinir, Antonello da Messina, Rogier van der Weyden, Jean Fouquet, Quentin Massys.

Ancora ad Anversa, e ancora attorno al nome di Margherita, un’altra mostra proporrà, in ottobre, una riflessione sull’ambiguità e la carica provocatoria del personaggio, un po’ uomo e un po’ donna, dall’incerto equilibrio mentale, una figura femminile aggressiva ma forse anche vittima, e a suo modo forse anche un’attivista in un mondo che brucia (in fondo si chiama Greta…). Il suo titolo è Dulle Griet: rebellie-provocatie-wanhoop-feminisme, è organizzata dal LLS Paleis, uno spazio per l’arte contemporanea, alternativo e anticonvenzionale (Paleisstraat 140, orario 14-18, www.llspaleis.be). Sono stati invitati a un lavoro creativo sul tema Kasper De Vos (1988, belga), Kati Heck (1979, tedesca), Tracey Rose (1974, sudafricana), Pipilotti Rist (1962, svizzera), Anne-Mie van Kerckhoven (1951, belga), Erik Van Lieshout (1968, olandese) e le Pussy Riot (non confermate).


CP


Jean Fouquet, Madonna in trono che allatta il Bambino (1450-1455), Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten.

Tracey Rose, frame del video San Pedro V: “The Hope I hope” (2005).

ART E DOSSIER N. 367
ART E DOSSIER N. 367
LUGLIO-AGOSTO 2019
 In questo numero: Donne oltre l'ostacolo; I magi al femminile; Dulle Griet all'assalto dell'inferno; La divina Franca Florio; Le strategie esistenziali di Berthe Morisot; Varda/JR: la regista e lo street artist. In mostra: Eliasson a Londra; Tuymans a Venezia; Dalí a Montecarlo; Ex Africa a Bologna. Direttore: Philippe Daverio