Cortoon


LOÏE
DE VIVRE

di Luca Antoccia

per lei le definizioni si sprecano: «la danzatrice della Belle époque», «Salomè elettrica», musa ispiratrice di Toulouse- Lautrec (ma anche per quadri di Auguste Rodin e Koloman Moser, per film dei fratelli Lumière e di Thomas Alva Edison all’alba del cinema), cantata da Mallarmé, vicina a madame Curie e alle ricerche sulla radioattività, l’americana Loïe Fuller (1862-1928) sembra un magnete del moderno. Danza, pittura e cinema, sullo sfondo della Parigi “fin de siècle”, trovano in lei un accordo squillante quanto naturale e irripetibile. Si può partire da due corti dei Lumière e di Edison (circa quattro minuti che documentano la sua Serpentine Dance). Il particolare tessuto delle sue lunghe vesti, manovrate con dei bastoni e imbevute di sali al radio, assumeva con le diverse luci colori sempre cangianti che il cinema delle origini con la pellicola dipinta a mano poteva solo evocare. Ma il recente Io danzerò di Stéphanie Di Giusto (da poco in dvd per I Wonder) ce lo mostra con dovizia di particolari. Parte da un’adolescenza americana col padre, cercatore d’oro, e lei che si trova sola un giorno su un palco quasi per caso a riempire il vuoto di un intervallo e a volteggiare con la lunga gonna e a provare (come accadde al giovane Chaplin la prima volta che salì su un palcoscenico) quel misto fatale di terrore ed esaltazione. Un uomo facoltoso e disperato le rivela l’esistenza a Parigi di un luogo, le Folies Bergère, dove la sua strana danza sarebbe apprezzata: in Francia anche i disegni di una donna per i propri balletti godrebbero del copyright. Il sogno francese la porterà fino all’Opéra e a far da mentore a un’acerba Isadora Duncan. La regista anche se usa un impianto convenzionale è sinceramente interessata a questa sorta di martirio artistico (la luce le causa danni agli occhi, i movimenti coi bastoni abrasioni che richiedono bagni di ghiaccio continui, le radiazioni le causeranno un tumore al seno). Questo Icaro femminile con le sue enormi ali spiegate verso un sole radioattivo che in parte la brucerà, antesignana di certo teatro-danza (Momix, Mummenschanz) è un’epitome della modernità.


Frame da Io danzerò (La danseuse) (2016), di Stéphanie Di Giusto.

ART E DOSSIER N. 366
ART E DOSSIER N. 366
GIUGNO 2019
In questo numero: Le anime del Novecento: Kounellis: le radici; Lee Miller tra fashion e guerra. In mostra: Burri a Venezia, Haering a Liverpool, Lygia Pape a Milano. Rinascimenti in mostra: Verrocchio a Firenze, Il Mediterraneo a Matera. Il mito dell'odalisca: Orientalismi in mostra a Parigi.Direttore: Philippe Daverio