Grandi mostre. 3 
Le modèle noire de Géricault a Matisse a Parigi

DA FIGURANTI
A PROTAGONISTI

Le problematiche connesse all’integrazione politica, sociale e culturale dei neri e la loro rappresentazione nell’arte, nella letteratura e nel cinema, dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri, sono al centro del percorso espositivo al Musée d’Orsay. Un’occasione che permette a personaggi fino a oggi anonimi di recuperare le proprie radici e la propria identità.

Valeria Caldelli


Un appunto vergato in fretta sul carnet: «Laure, très belle négresse, rue Vintimille, 11». Chi scrive è Manet. L’anno il 1862. La città Parigi, IX arrondissement. Proprio lei, Laure, è la domestica nera in abito rosa che porge un colorato mazzo di fiori alla fredda e indifferente Olympia. Per decenni la sua presenza è rimasta insignificante, annebbiata dallo sguardo diretto, quasi sfrontato, della giovane cortigiana nuda, distesa su un canapé ricco di cuscini e coperte. Piuttosto il gattino ai suoi piedi ha suscitato commenti piccanti per il colore nero del suo pelo, messo in relazione con il pube di Olympia. Il quadro sarà uno scandalo su cui si verseranno fiumi d’inchiostro quando il 1° maggio del 1865 viene esposto al Salon des Refusés di Parigi. Quella cortigiana dell’alta borghesia, tanto impassibile quanto sicura del suo potere sessuale, stravolge in maniera insolente non tanto il comune senso del pudore, quanto l’idea stessa di prostituta, perché nei bordelli parigini nessuna “fille de maison” poteva avere una serva nera, né riceveva mazzi di fiori dai pretendenti che sospiravano per essere ricevuti. E anche la domestica vestita con grazia ed eleganza, pur rappresentando il segno visibile della realizzazione sociale, non ha niente dei cliché - dal seno nudo alle curve maliziose - usati fino a quel momento per rappresentare i molti neri che ormai vivevano nella capitale francese. Manet non ha mai voluto parlare della sua Olympia, né della cameriera che attende il “responso” a quel mazzo di fiori, lasciando i nostri interrogativi senza spiegazione. L’unico fatto certo e indiscutibile è che il quadro fu presentato al Salon poche settimane dopo la resa del generale Lee e la conclusione della guerra civile americana. Un passo irreversibile verso la fine della schiavitù, che in Francia era già stata abolita nel 1848. Indiscutibili anche le idee repubblicane di Manet, il quale, da giovane mozzo imbarcato nella Marina, scrisse alla madre dal Brasile: «Ho visto un mercato di schiavi. È uno spettacolo rivoltante».



Marie-Guillemine Benoist, Ritratto di Madeleine (detto anche Ritratto di una donna nera) (1800), Parigi, Musée du Louvre.

Per decenni la presenza della domestica è stata annebbiata
dallo sguardo quasi sfrontato della giovane cortigiana nuda


A mettere insieme i tasselli di un puzzle che vede confrontarsi la storia e la storia dell’arte ci ha pensato il Musée d’Orsay con una mostra che ha come tema da una parte il processo di integrazione sociale e politica dei neri, dall’altra la loro rappresentazione nella pittura, come anche nella letteratura e nel cinema. Le modèle noir de Géricault à Matisse si propone di mostrare come sono state concepite le immagini delle persone di colore nel corso di oltre un secolo, dalla Rivoluzione francese fino ai giorni nostri. La lente d’ingrandimento è sulla Francia e sull’arte vista come specchio della storia delle idee e della sensibilità. È così che escono dall’ombra personaggi fino a oggi sconosciuti, figure che hanno “prestato” i loro volti e i loro corpi nel percorso artistico che va dalla tratta dei neri all’abolizione della schiavitù per arrivare fino all’affermazione di un’identità nera.
Non solo a Laure, ma anche a Madeleine, Joseph, Carmen e a molti altri uomini e donne (“modèle”, in francese, è un sostantivo maschile che vale per uomini e donne) che appaiono in dipinti famosi la mostra restituisce un’identità. Così si scopre che Laure condivideva con altri locatari un appartamento al quarto piano di un palazzo popolare, che faceva la sarta o la lavandaia e che probabilmente era stata presentata a Manet dall’amico e poeta Charles Baudelaire. Nell’arco di un paio d’anni Manet dipinge altre volte la “belle négresse”, sia dedicandole un ritratto, sia presentandola come una “tata” nell’atto di sistemare un cappello sulla capigliatura bionda di una ragazzina (Bambini nei giardini delle Tuileries). È la nuova realtà parigina, in cui appaiono nutrici “di colore” nelle famiglie dell’alta borghesia, che dipinge il pittore, mostrandoci i mutamenti di una città e di una comunità. D’altra parte la stessa relazione mai nascosta tra Baudelaire, francese e già all’epoca noto letterato, e l’attrice meticcia Jeanne Duval, per quanto accompagnata da commenti talvolta derisori e ironici, dimostra come la società parigina stesse voltando pagina.
Anche Jeanne Duval, figlia di un francese sconosciuto e di una prostituta nera di un bordello di Nantes, sarà dipinta da Manet in posa teatrale, adagiata su un divano, letteralmente avvolta da un vaporoso abito bianco. «Entrambe - Laure e Jeanne - dimostrano la presenza di donne di colore nel mondo un po’ equivoco dei quartieri nord di Parigi e costituiscono una delle prime rappresentazioni artistiche moderne di un incrocio culturale, quello di una comunità nera che si emancipa e trova il suo posto in questo quartiere di Parigi dove vive e lavora Manet». Lo scrive nel catalogo Denise Murrell, tra i curatori dell’esposizione e già curatrice di una precedente mostra alla Wallach Art Gallery di New York sulle donne di colore nei quadri ottocenteschi, mostra da cui ha preso il via quella del Musée d’Orsay. L’emancipazione diventerà ancora più evidente con Una moderna Olympia di Cézanne, opera di dieci anni successiva a quella di Manet. Qui infatti la serva nera è colta nell’attimo in cui scopre intenzionalmente le nudità della “signora” di fronte a un interessato gentiluomo e “guadagna” un ruolo da protagonista.


Edouard Manet, Olympia (1863), Parigi, Musée d’Orsay.

Eugène Delacroix, Studio della modella Aspasie (1824-1826), Montpellier, Musée Fabre.

Paul Cézanne, Una moderna Olympia (1873-1874), Parigi, Musée d’Orsay.


Théodore Géricault,Studio di un modello,(1818-1819),Los Angeles,J. Paul GettyMuseum.


Se questi sono i segni dei tempi che cambiano, altri personaggi e altri pittori di appena qualche decennio prima si trovavano davanti a un mondo diverso. La Rivoluzione aveva abolito la schiavitù nel 1794, ma questa era stata poi ripristinata nel 1802 da Napoleone, nonostante la sua prima moglie, l’amata Giuseppina, fosse comunque creola. Nei ritratti di quegli anni l’iconografia della donna nera segue schemi precisi: sulla testa un turbante mentre il seno, o una parte di questo, è quasi sempre nudo (nella tratta degli schiavi le donne erano vestite solo dalla vita in giù).
Madeleine era la domestica della coppia Benoist- Cavay, arrivata dalla Guadalupa, colonia francese, per un breve soggiorno a Parigi. È la stessa Marie-Guillemine Benoist a ritrarla nella tela che apre la mostra.
Aspasie, conosciuta anche come Aline e Justine, è stata la modella di molti pittori e la preferita di Delacroix per la sua bellezza esotica e sensuale, così come lui stesso ce la mostra col seno seminudo e i capelli sciolti in un quadro che ha sempre tenuto con sé. Siamo nel 1824, in pieno periodo coloniale e di ritorno alla schiavitù. E poco prima, nel 1819, Géricault, impegnato nella causa abolizionista, dipingeva La zattera della Medusa, scena che intende ricordare - sembra - un naufragio realmente avvenuto tre anni prima al largo delle coste della Mauritania. Nel groviglio di corpi in balìa delle onde che implorano un salvataggio, illuminati da una luce sinistra che fa presagire una fine terribile, si distinguono tre uomini neri. Uno di loro, tenuto in alto dai suoi compagni di sventura, quasi issato come una bandiera, ci mostra la sua schiena potente e muscolosa. È Joseph, il modello di colore più celebre del XIX secolo, arrivato a Marsiglia da Santo Domingo e da lì a Parigi insieme a un gruppo di acrobati, tra i quali interpretava la parte dell’africano. Géricault lo vede e ne fa il suo modello preferito, uno dei pochi che lascia entrare nel suo atelier. La zattera della Medusa, tra l’altro, viene dipinta in gran segreto: nessuno poteva vedere l’opera che l’artista stava creando. «Non dimentichiamoci che ritrarre un uomo o una donna dal colore nero della pelle, oltre ad essere una questione di sensibilità, rappresentava una sfida artistica», spiega Isolde Pludermacher, un’altra curatrice della mostra. «Il “bello ideale” era quello classico delle regole accademiche, cioè pelle candida e proporzioni delle statue greche antiche. Non solo, c’erano anche delle vere e proprie difficoltà di rappresentazione: un’ombra, per esempio, ha riflessi diversi sulle due colorazioni. Quindi dipingere “il nero” era anche una prova di capacità».
Joseph, comunque, della sua caratteristica fece una professione.
Oltre a Géricault, che ne dipinse il volto in Studio di un modello, molti altri artisti lo vollero per i loro quadri, fino a quando, nel 1832, l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi lo assunse come modello. Non più saltimbanco, ma ormai impiegato con un salario di 45,89 franchi al mese, Joseph restò a Parigi e diventò un personaggio noto, anche per il suo carattere gioviale, per la capacità di raccontare aneddoti e per la sua bella voce, con cui cantava le romanze musicali che ascoltava all’Opéra e che era in grado di ricordare a memoria. 
Grazie ai vari Joseph e alle percezioni degli artisti è possibile così ricostruire la presenza di una minoranza etnica nella metropoli francese, insieme al percorso della sua emancipazione in una Francia ancora impegnata nell’espansione coloniale. «Non a caso», continua Isolde Pludermacher, «la mostra nel titolo usa la parola “modello”, al singolare, nel senso di tipi o figure esemplari di persone nere che hanno vissuto nell’Ottocento». Tra i tanti ritroviamo anche Scipione, che posò per Cézanne (Il negro Scipione) oltre che per altri pittori. È attraverso questa folla di nutrici, domestiche, acrobati, lottatori e donne di spettacolo che si è approdati a quella che chiamiamo “epoca moderna”. Con una serie di colorate “affiche” che richiamavano i curiosi e divertiti parigini agli spettacoli circensi possiamo conoscere altri “attori” della Parigi ottocentesca. I più famosi sono Delmonico, il domatore nero, e miss Lala che con la sola forza dei denti sollevava cannoni e faceva acrobazie sul trapezio. Da non dimenticare che al Bois de Boulogne nel 1877 aprì il primo “zoo umano” con indigeni provenienti dalle colonie chiusi all’interno di recinzioni, a volte insieme ad animali e magari impegnati in combattimenti “selvaggi”.
La passione per il “primitivo” lascia di nuovo un segno nell’arte con Gauguin e Picasso. Più tardi, dopo che le due guerre mondiali avranno portato in Europa i soldati neri americani e l’intera popolazione sarà venuta in contatto con altre culture, sia Wifredo Lam e André Masson, sia Man Ray che Fernand Léger, ci daranno la loro interpretazione dei “tempi moderni”. E mentre i neri cominciano a scoprire se stessi, noi troviamo un Matisse affascinato dal jazz, dai Fiori del male e dalla bella Carmen, la quale gli ispira nove illustrazioni per il testo di Baudelaire. Divertenti le citazioni di Olympia fino ai giorni nostri: dalle Odalische di Matisse si arriva a Olympia II di Aimé Mpane, opera del 2013, passando attraverso Larry Rivers in Mi piace Olympia dal volto nero. Un gioco di specchi nel tempo che scorre e diventa cronaca. La storia avanza, l’arte la anticipa.


Paul Cézanne, Il negro Scipione (1866-1868); San Paolo, Museu de arte de São Paulo.

Henri Matisse, Signora dal vestito bianco (1946), Des Moines, Des Moines Art Center.

Aimé Mpane, Olympia II (2013).

ART E DOSSIER N. 365
ART E DOSSIER N. 365
MAGGIO 2019
n questo numero: Biennale di venezia: Tutti gli appuntamenti. Intervista al curatore del Padiglione Italia. Arti unite d'Europa: Settecento, la Schengen delle note. Europa nostra: la difesa del patrimonio. In mostra Gorky a venezia, Sorolla a Londra, Le modèle noir a Parigi, Van Orley a Bruxelles, Leonardo a Firenze, Antonello da Messina a Milano.Direttore: Philippe Daverio