Se questi sono i segni dei tempi che cambiano, altri personaggi e altri pittori di appena qualche decennio prima si trovavano davanti a un mondo diverso. La Rivoluzione aveva abolito la schiavitù nel 1794, ma questa era stata poi ripristinata nel 1802 da Napoleone, nonostante la sua prima moglie, l’amata Giuseppina, fosse comunque creola. Nei ritratti di quegli anni l’iconografia della donna nera segue schemi precisi: sulla testa un turbante mentre il seno, o una parte di questo, è quasi sempre nudo (nella tratta degli schiavi le donne erano vestite solo dalla vita in giù).
Madeleine era la domestica della coppia Benoist- Cavay, arrivata dalla Guadalupa, colonia francese, per un breve soggiorno a Parigi. È la stessa Marie-Guillemine Benoist a ritrarla nella tela che apre la mostra.
Aspasie, conosciuta anche come Aline e Justine, è stata la modella di molti pittori e la preferita di Delacroix per la sua bellezza esotica e sensuale, così come lui stesso ce la mostra col seno seminudo e i capelli sciolti in un quadro che ha sempre tenuto con sé. Siamo nel 1824, in pieno periodo coloniale e di ritorno alla schiavitù. E poco prima, nel 1819, Géricault, impegnato nella causa abolizionista, dipingeva La zattera della Medusa, scena che intende ricordare - sembra - un naufragio realmente avvenuto tre anni prima al largo delle coste della Mauritania. Nel groviglio di corpi in balìa delle onde che implorano un salvataggio, illuminati da una luce sinistra che fa presagire una fine terribile, si distinguono tre uomini neri. Uno di loro, tenuto in alto dai suoi compagni di sventura, quasi issato come una bandiera, ci mostra la sua schiena potente e muscolosa. È Joseph, il modello di colore più celebre del XIX secolo, arrivato a Marsiglia da Santo Domingo e da lì a Parigi insieme a un gruppo di acrobati, tra i quali interpretava la parte dell’africano. Géricault lo vede e ne fa il suo modello preferito, uno dei pochi che lascia entrare nel suo atelier. La zattera della Medusa, tra l’altro, viene dipinta in gran segreto: nessuno poteva vedere l’opera che l’artista stava creando. «Non dimentichiamoci che ritrarre un uomo o una donna dal colore nero della pelle, oltre ad essere una questione di sensibilità, rappresentava una sfida artistica», spiega Isolde Pludermacher, un’altra curatrice della mostra. «Il “bello ideale” era quello classico delle regole accademiche, cioè pelle candida e proporzioni delle statue greche antiche. Non solo, c’erano anche delle vere e proprie difficoltà di rappresentazione: un’ombra, per esempio, ha riflessi diversi sulle due colorazioni. Quindi dipingere “il nero” era anche una prova di capacità».
Joseph, comunque, della sua caratteristica fece una professione.
Oltre a Géricault, che ne dipinse il volto in Studio di un modello, molti altri artisti lo vollero per i loro quadri, fino a quando, nel 1832, l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi lo assunse come modello. Non più saltimbanco, ma ormai impiegato con un salario di 45,89 franchi al mese, Joseph restò a Parigi e diventò un personaggio noto, anche per il suo carattere gioviale, per la capacità di raccontare aneddoti e per la sua bella voce, con cui cantava le romanze musicali che ascoltava all’Opéra e che era in grado di ricordare a memoria.
Grazie ai vari Joseph e alle percezioni degli artisti è possibile così ricostruire la presenza di una minoranza etnica nella metropoli francese, insieme al percorso della sua emancipazione in una Francia ancora impegnata nell’espansione coloniale. «Non a caso», continua Isolde Pludermacher, «la mostra nel titolo usa la parola “modello”, al singolare, nel senso di tipi o figure esemplari di persone nere che hanno vissuto nell’Ottocento». Tra i tanti ritroviamo anche Scipione, che posò per Cézanne (Il negro Scipione) oltre che per altri pittori. È attraverso questa folla di nutrici, domestiche, acrobati, lottatori e donne di spettacolo che si è approdati a quella che chiamiamo “epoca moderna”. Con una serie di colorate “affiche” che richiamavano i curiosi e divertiti parigini agli spettacoli circensi possiamo conoscere altri “attori” della Parigi ottocentesca. I più famosi sono Delmonico, il domatore nero, e miss Lala che con la sola forza dei denti sollevava cannoni e faceva acrobazie sul trapezio. Da non dimenticare che al Bois de Boulogne nel 1877 aprì il primo “zoo umano” con indigeni provenienti dalle colonie chiusi all’interno di recinzioni, a volte insieme ad animali e magari impegnati in combattimenti “selvaggi”.
La passione per il “primitivo” lascia di nuovo un segno nell’arte con Gauguin e Picasso. Più tardi, dopo che le due guerre mondiali avranno portato in Europa i soldati neri americani e l’intera popolazione sarà venuta in contatto con altre culture, sia Wifredo Lam e André Masson, sia Man Ray che Fernand Léger, ci daranno la loro interpretazione dei “tempi moderni”. E mentre i neri cominciano a scoprire se stessi, noi troviamo un Matisse affascinato dal jazz, dai Fiori del male e dalla bella Carmen, la quale gli ispira nove illustrazioni per il testo di Baudelaire. Divertenti le citazioni di Olympia fino ai giorni nostri: dalle Odalische di Matisse si arriva a Olympia II di Aimé Mpane, opera del 2013, passando attraverso Larry Rivers in Mi piace Olympia dal volto nero. Un gioco di specchi nel tempo che scorre e diventa cronaca. La storia avanza, l’arte la anticipa.