CATALOGHI E LIBRI
APRILE 2019
KIKI SMITH. WHAT I SAW ON THE ROAD
Cos’ha visto per strada, nei boschi, nel firmamento, Kiki Smith? È forse il popolo notturno delle fiabe oppure un mondo reale? Fra lupi, cerbiatti, gufi, leprotti, pipistrelli, aquile, gatti, cattedrali come massi preistorici, la figura femminile pare sospesa, sofferta e quasi evanescente. Nata nel 1954, Smith, docente alla Columbia e alla New York University, è una delle voci femminili più influenti e sensibili del nostro tempo. Nella sua opera delicata, espressa con i materiali e le tecniche più diverse (arazzo, scultura, incisione, fotografia, disegno), ha incessantemente svolto una ricerca sul corpo femminile.
Questi temi si arricchiscono ora di un bestiario umanizzato ed enigmatico, talvolta amichevole, talaltra ostile. Il catalogo, con saggi dei curatori e di Demetrio Paparoni, si riferisce all’omonima mostra a palazzo Pitti, in quell’Andito degli Angiolini che da qualche tempo ospita eventi d’arte contemporanea.
ALBERTO GIACOMETTI E MAURICE MERLEAU-PONTY
Alla fine di aprile Lorella Scacco, studiosa di Fenomenologia delle arti contemporanee, interverrà su Alberto Giacometti e la fenomenologia dell’esperienza artistica alla Conferenza della Nordic Society for Phenomenology di Copenaghen. Approfittiamo di quest’occasione per ricordare il suo libro sui medesimi argomenti. In estrema sintesi, possiamo dire che si tratta di un’erudita riflessione critico- filosofica sulle relazioni fra la pratica artistica dello svizzero Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 10 ottobre 1901 - Coira, 11 gennaio 1966) e il pensiero del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty (Rochefort-sur-Mer, 14 marzo 1908 - Parigi, 3 maggio 1961). Com’è noto Giacometti, originario dei Grigioni, scelse di vivere a Parigi nel 1922, dove dal 1926 lavorò freneticamente, sempre coadiuvato dal fedele fratello Diego, nello studio disordinato e fumoso di rue Hippolyte Maindron (oggi distrutto, è stato ricostruito dalla Fondation Giacometti in un antico palazzo di Montparnasse, rue Victor Schoelcher, che vale una visita). Giacometti fu amico di artisti e filosofi, frequentò Picasso, Simone de Beauvoir, Sartre, anche se con tutti ebbe non superficiali divergenze e attriti. I primi tre capitoli ripercorrono l’opera di Giacometti attraverso frequenti interpretazioni fenomenologiche sull’idea di spazio, di realtà, e molto altro; il quarto è dedicato al pensiero del filosofo, in cerca dell’origine della relazione uomo-mondo, e autore, fra l’altro, della Fenomenologia della percezione (1945). Si giunge infine a quello che fu «un dialogo sulla percezione » fra il filosofo e l’artista. Impossibile dire quando tale dialogo iniziò realmente, fisicamente, anche se è certo che nell’immediato dopoguerra Merleau-Ponty visitò lo studio di Giacometti, che con ogni probabilità lo ritrasse, come suggerisce la convincente identificazione di un ritratto di uomo disegnato su carta. Certo il filosofo e l’artista (uomo peraltro di profonda cultura filosofica) condivisero, forse ancor prima di conoscersi, istanze comuni nelle relazioni fra coscienza ed esperienza, soggettività e realtà. Nell’impossibilità di spiegare qui tutti i nessi, invitiamo dunque alla lettura.
ALBERTO GIACOMETTI. PARIS SANS FIN
Parigi, 1959, rue Vavin. Gli avventori di Chez Adrien siedono al bancone, oltre una colonna tortile. Li vediamo in alcune tavole di Paris sans fin, intenso omaggio alla sua città d’adozione concepito da Giacometti per l’editore Tériade. Nei disegni a matita litografica su carta preparata non erano possibili ripensamenti, e i tratti veloci spesso si sovrappongono, senza però mai ostacolare l’immagine finale. Giacometti piegava il foglio in quattro, e su ogni facciata disegnava, in modo che in trasparenza si potesse vedere, di volta in volta, l’immagine del verso: apparizioni nervose, quasi stereoscopiche, come quelle che da varie angolazioni ritraggono lo stanzone del litografo Fernand Mourlot, con le lampade al soffitto e le inconfondibili presse con la ruota. Quella di Giacometti non è la Parigi misteriosa e notturna di Brassaï. È facile riconoscerla, e perfino indovinare moto e auto come le Renault Dauphine o le Cïtroen 2CV ai margini della strada. Molti schizzi furono fatti in presa diretta dalla spider MG, della quale s’intravede il cruscotto, che l’artista aveva regalato a Caroline, amante e modella. Lei lo scorrazzò ovunque, fino ai quartieri periferici e al cantiere del terminal sud di Orly. Poi ci sono la Coupole, il Café du Dôme, Le Gaulois, Le Select o Le Tabac in rue d’Alésia. Senza fine, la Parigi di Giacometti s’estende a Saint-Sulpice, alla Brasserie Lipp di Saint-Germain, al Jardin des Plantes e alle sale, austere ancor oggi, del Museo di storia naturale, con l’infilata di mammut e scheletri preistorici (fra le tavole più belle della raccolta). Nel 1961 Giacometti litografò i primi disegni dal mitico stampatore Mourlot. A malapena completò le tavole, rifatte molte volte, qualche mese prima di morire. Così, le sue centocinquanta litografie furono pubblicate solo nel 1969, tre anni dopo la sua scomparsa, in duecentosettanta copie. Da una di queste provengono le tavole riprodotte in questo libro (senza però i testi frammentari che le accompagnavano), le stesse esposte alla bella mostra della Fondazione Geiger di Cecina l’inverno scorso, in collaborazione con Littmann Kulturprojekte.
ART E DOSSIER N. 364
APRILE 2019
In questo numero: L'anno di Rembrandt : le celebrazioni di Amsterdam e dell' Aja. Segni impalpabili : la raffigurazione del gesto casuale. L'ombra e la pittura. In mostra : Morath a treviso, Van Gogh a Londra, Ottocento a Forlì, il nudo a Basilea.Direttore: Philippe Daverio