Studi e riscoperte. 1 
Elizabeth Siddal

LA VERSIONE
DI ELIZABETH

Il contesto preraffaellita britannico di metà Ottocento appare decisamente “maschile”. La figura di Elizabeth Siddal, modella e moglie di Rossetti ma anche orgogliosamente artista e poetessa, rappresenta una significativa eccezione alla regola.


Alessandra Sarchi

La tomba di Elizabeth Siddal nel cimitero di Highgate a Londra è meta di assiduo pellegrinaggio, al pari di quelle di alcune rockstar e celebri scrittori. Sebbene in pochi conoscano l’opera di Elizabeth come poetessa e pittrice, tutti sanno che la sua sepoltura venne profanata nel 1869 da Charles August Howell, segretario di John Ruskin e agente di Dante Gabriel Rossetti. Incaricato da quest’ultimo, Howell aprì la cassa in cui Elizabeth giaceva da sette anni per recuperare un manoscritto di poesie dello stesso Rossetti con il quale l’ex marito l’aveva sepolta e che ora, pittore dalla fortuna declinante, deciso a rendere imperitura almeno la propria gloria letteraria, gli pareva imprescindibile recuperare. La fama e la mitologia legate a Elizabeth Siddal nascono da quell’episodio di profanazione, destinato ad alimentare le fantasie di Bram Stoker e Oscar Wilde, e dal resoconto romanzato che Howell ne restituì: i lunghi capelli di Elizabeth avevano continuato a crescere e il corpo era rimasto incorrotto, proprio come nel dipinto raffigurante Ofelia in cui John Millais l’aveva immortalata nel 1852.

La sua biografia, a lungo affidata solo alla voce del cognato, Michael William Rossetti, è stata scarnificata di tutti gli elementi che potessero renderne la figura tridimensionale, privilegiando viceversa l’opaco e leggendario profilo di donna bellissima, di musa malinconica, di ombra inquieta del genio di Dante Gabriel Rossetti, che la ritrae per esempio in Beata Beatrix. Ma studi recenti, più critici e smaliziati nei confronti della narcisistica autorappresentazione dell’ego maschile romantico, hanno provato che Elizabeth fu molto più che una musa, molto più che una modella dalla salute cagionevole e una moglie morta prematuramente.

Elizabeth Siddal nasce a Londra il 25 luglio 1829 in una famiglia modesta, originaria di Sheffield; il cognome originario era Siddall, venne cambiato in seguito per volontà di Rossetti. Il padre produceva coltelli e posate. Elizabeth, come le sorelle, trovò lavoro in un atelier di modista. Qui, nel 1849, conobbe il pittore e critico Walter Deverell che la introdusse alla neonata Pre-Raphaelite Brotherhood, di cui facevano parte lo stesso Rossetti, Holman Hunt, John Millais.

I lineamenti fini, i lunghissimi capelli rossi e l’incarnato d’avorio la candidavano a modella ideale per questi giovani pittori impegnati a ritrarre storie di edificazione spirituale, donne angelicate, turbamenti castigati dal purismo formale arcaicizzante che contrapponevano al classicismo accademico.

Elizabeth iniziò subito a posare per loro e iniziò anche una relazione amorosa con Rossetti. Se la provenienza “working class” di Elizabeth poneva al pittore qualche problema - non si sposeranno fino al 1860, né avranno un fidanzamento ufficiale, cosa rarissima nella società vittoriana -, non meno problematica doveva risultare la sua volontà di imparare a dipingere e produrre arte in maniera autonoma.


Elizabeth Siddal, Il lamento delle donne nella ballata di sir Patrick Spens (1856), Londra, Tate Britain.

Elizabeth fu molto più che musa e modella


Fu il critico John Ruskin, all’epoca mentore dei preraffaelliti, a incoraggiare il talento artistico di Elizabeth Siddal, offrendole nel 1855 una rendita annua di centocinquanta sterline. Sappiamo inoltre che nel 1857 Elizabeth si recò con una delle sorelle a Sheffield dove frequentò, per alcuni mesi, i corsi della locale scuola d’arte. Di lei rimangono circa centocinquanta opere tra disegni e acquerelli, e anche tre dipinti a olio.

Datato al 1854 è l’autoritratto di Elizabeth dipinto a olio su tavola. Il volto leggermente di tre quarti, gli occhi vigili e scrutatori, il mento chiuso in un piglio serio e indagatore, Elizabeth si raffigura ben diversa da come Rossetti la ritraeva con i tratti idealizzati, in un perenne stato di abbandono languoroso.


John Everett Millais, Ofelia (1851-1852), Londra, Tate Britain.

Risale probabilmente allo stesso anno il disegno La dama di Shalott, ispirato al celebre poemetto di Alfred Tennyson che rielaborava a sua volta un episodio del ciclo arturiano. Il soggetto, molto diffuso tra i pittori preraffaelliti, è affrontato da Elizabeth in modo originale: la giovane donna condannata a tessere al telaio solo ciò che vede attraverso uno specchio, cede alla tentazione di fissare lo sguardo fuori quando il cavaliere Lancillotto arriva dirigendosi verso Camelot; la visione le sarà fatale. Ma Elizabeth non raffigura una donna di prorompente e condannata bellezza, né un’apparizione romantica di Lancillotto; la sua dama di Shalott è piuttosto una figura monacale il cui volto si accende di improvvisa curiosità per il mondo. La scena è delineata da un tratto nitido e semplice che ricorda la pulizia di certi disegni di John Flaxman. Siddal è attenta alla resa prospettica, al proiettarsi delle ombre riprodotte con tratto fitto e incrociato, e soprattutto riesce a ottenere mobilità espressiva con una notevole economia del segno.

Il rapporto fra testo lirico e traduzione visiva interessava Siddal: in quegli stessi anni cominciò a comporre le proprie poesie, edite in versione integrale solo nel 1978, e si può ipotizzare che il progetto di illustrare le ballate di Walter Scott per l’editore William Allingham fu il motore che ispirò gran parte della sua produzione grafica; di uno dei suoi più noti acquerelli, Clerk Saunders, esposto e venduto alla mostra preraffaellita del 1857 a Russell Place, sono noti, per esempio, diversi disegni e varianti. Anche se il progetto non andò in porto, l’alveo dell’illustrazione era il più consono per esprimere sia la sua sensibilità, sia la capacità di mettere in discussione le convenzioni rappresentative dell’amore e della donna in epoca vittoriana.

In un altro acquerello, Il lamento delle donne nella ballata di sir Patrick Spens il tema dell’attesa del cavaliere salvatore, tratto dalla ballata di Walter Scott, è reso con la consapevolezza che l’aspettare femminile è logorante, mentre all’uomo tocca l’avventura nel mondo. La figura in piedi - forse un autoritratto - è una donna irrigidita e sfinita, le sue compagne sono annoiate e sfiduciate, tutt’altro che trepidanti angeli della casa e del focolare. Non sappiamo come avrebbe potuto evolversi l’arte di Elizabeth. Morì a trentadue anni, l’11 febbraio 1862, in circostanze mai chiarite, forse per un’overdose di laudano. Manca a tutt’oggi un catalogo completo delle opere che sarebbe auspicabile per arricchire di una voce originale, sottilmente critica, il panorama dell’arte preraffaellita.


Elizabeth Siddal, Clerk Saunders (1857), Cambridge, Fitzwilliam Museum.

Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix (1862), Londra, Tate Britain.


Elizabeth Siddal, La dama di Shalott (1853).

ART E DOSSIER N. 358
ART E DOSSIER N. 358
OTTOBRE 2018
In questo numero: TINTORETTO 500 ANNI Philippe Daverio: Il pittore e gli architetti. PRERAFFAELLITI Elizabeth Siddal, Borea di Waterhouse. IN MOSTRA Licini a Venezia, Surrealisti a Pisa, Arte e magia a Rovigo, Burne-Jones a Londra, Courbet a Ferrara. Direttore: Philippe Daverio