Studi e riscoperte. 2
Segni grafici nella pittura sacra tra Duecento e Trecento

ALFABETI MISTERIOSIDI SANTI, ANGELI E MADONNE

Sugli abiti di personaggi religiosi raffigurati in molte opere del XIII-XVI secolo sono ravvisabili caratteri enigmatici difficili da decifrare. Qual è la loro origine? La tradizione bizantina? Le scritture cufiche e gli arabeschi orientali? Una lingua divina? Di certo, i primi esempi li troviamo in Duccio di Buoninsegna e Cimabue.

Mauro Zanchi

In numerose opere pittoriche a tema sacro realizzate tra Duecento e Cinquecento, sulle vesti dei santi, degli angeli e dei profeti sono presenti segni grafici che paiono lettere di un alfabeto sconosciuto. Queste ornamentazioni epigrafiche si rifanno a un determinato alfabeto, hanno solo un valore decorativo o una funzione evocativa, o rimandano ad altri significati? E a prescindere dalla vera accezione allusa, dove hanno origine? A oggi le prime testimonianze sono nelle opere di Duccio di Buoninsegna e di Cimabue. È una loro invenzione o i due grandi maestri della pittura tardoduecentesca si rifanno a una tradizione bizantina, o alle decorazioni pittoriche delle statue presenti nelle cattedrali gotiche francesi e inglesi del XII e XIII secolo, o alle scritture cufiche e agli arabeschi orientali? Le statue dei portali gotici col tempo hanno perduto le decorazioni originarie e quindi non abbiamo testimonianze dirette. A giudicare dalla presenza di questi caratteri sui cartigli, fogli o libri dei quattro evangelisti nelle vetrate dipinte a grisaglia da Duccio per il duomo di Siena attorno al 1287 è plausibile pensare che il pittore e la sua committenza abbiano voluto rimandare a una lingua ispirata da Dio per le sacre scritture, o a lettere utilizzate quando visse Gesù Cristo. Simili caratteri sono presenti anche nella Madonna Rucellai, detta anche Madonna dei laudesi (1285), dove il giovane Duccio svolge meticolosamente un lungo racconto epigrafico nell’arabesco dorato sulla orlatura del manto e della veste di Maria, sul tessuto che ricopre il trono, sugli scolli e maniche di alcuni angeli. Nella stoffa sul trono della Maestà (1280 circa) di Cimabue, ora conservata al Louvre, studiosi hanno individuato versi coranici, probabilmente ripresi da preziosi manufatti di provenienza islamica, che sono giunti in Italia con l’intensificarsi degli scambi commerciali nei bacini nord e sud-est del Mediterraneo nel XIII secolo.


Anonimo, Madonna di Cambrai detta anche Notre-Dame de Grâce (1340 circa), Cambrai, cattedrale.

Sugli abiti delle Madonne di Dietisalvi di Speme, Guido da Siena, Guido di Graziano, Rinaldo da Siena, l’ornamentazione nelle bordature è ancora di tipo bizantino. Mentre Duccio propone il suo modello nei tessuti che coprono la parte superiore dei troni, visibili nella Madonna col Bambino e tre francescani in adorazione (ultimo decennio del XIII secolo), conservato nella Pinacoteca nazionale di Siena, nella Madonna con Bambino e angeli (1285 circa), del Kunstmuseum di Berna, nella Maestà (1308-1311), ora nel Museo dell’Opera del duomo a Siena, nel velo della Madonna col Bambino e angeli (1304 circa), ora nella Galleria nazionale a Perugia, e in quasi tutte le opere successive a tema mariano e in quelle della sua bottega. Questo genere di ornamentazione epigrafica è un colto “divertissement” degli artisti e dei loro committenti o cela messaggi precisi da decodificare? E qual è la fonte di questa sorta di ideogrammi? Arriva dalla tradizione iconografica bizantina o è un’originale e simbolica invenzione dei pittori italiani? A giudicare dall’esempio della Madonna di Cambrai (1340 circa), anche detta Notre-Dame de Grâce, considerata una copia italo-bizantina di un’antica icona della Madonna Eleusa (Madonna della dolcezza), l’origine parrebbe risalire alla tradizione costantinopolitana. A meno che l’artista anonimo abbia copiato solo la tipologia e la posa di un’icona bizantina e aggiunto le ornamentazioni epigrafiche secondo gli esempi dei maestri italiani a cavallo tra Duecento e Trecento, non abbiamo individuato opere bizantine antiche con la presenza delle ornamentazioni a caratteri ideografici sulle vesti delle Madonne: sui manti e abiti vi sono solo crisografie, greche o bordi dorati. Dalla fine del Duecento anche Giotto sdogana la tipologia duccesca, che viene copiata e tramandata da tutti i suoi epigoni e continuata dagli artisti del Rinascimento e del Cinquecento, dove vengono aggiunti ulteriori alfabeti e forse anche altri rimandi di stampo ermetico. Le pseudo-iscrizioni sono composte da segni inventati secondo l’estro di ogni singolo artista, per evocare una lingua divina, solo per una questione decorativa e che non sembrano appartenere a nessun alfabeto noto, o vi sono contenuti meta-messaggi criptati, leggibili solo da iniziati o dagli appartenenti alla corporazione dei pittori?


Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai detta anche Madonna dei laudesi (1285), particolare, Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Cimabue, Maestà (1280 circa), particolare, Parigi, Musée du Louvre.


Duccio di Buoninsegna, Maestà (1308-1311), registro centrale, particolare, Siena, Museo dell’Opera del duomo.

Meta-messaggi criptati,
leggibili solo da iniziati
o dagli appartenenti
alla corporazione dei pittori?


Risalire alle origini degli alfabeti presuppone anche intraprendere un percorso a ritroso per intuire o immaginare la sacralità di una lingua madre primigenia. Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, nel De occulta philosophia (scritto tra il 1510 e il 1530), pensa che le lettere del primo alfabeto siano state suggerite direttamente da Dio, mutuate da segni celesti, da simboli cosmologici, da forme viste nei cieli notturni, congiungendo idealmente i punti luminosi delle stelle e i movimenti dei pianeti(*). Nel suo testo, Agrippa cerca la verità anche inoltrandosi nei significati occulti del primo alfabeto, nei segni archetipali, che hanno dato vita alle più antiche scritture e che sono ancora presenti nel Cinquecento e in quelle odierne.


Duccio di Buoninsegna, Madonna con Bambino e angeli (1285 circa), particolare, Berna, Kunstmuseum.


Giotto, Madonna di San Giorgio alla Costa (1295 circa), particolare, Firenze, Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte.

(*) Cfr. E. C. Agrippa, La filosofia occulta o magia, Roma 1972, vol. I, p. 133.

Con il trascorrere dei secoli, i segni e i suoni della lingua edenica, preadamitica, persero intensità e i significati originari, e furono sostituiti dai vari popoli con scritture convenzionali, da grafie utili alle persone per comunicare con i propri simili. Tutte le lingue divennero strutture inferiori rispetto alla parola primordiale del Verbo. In principio la presenza parlante di una dimensione divina emanava il vero significato di tutte le cose viventi. Nominare significava dare vita a qualcosa. Secondo la visione ebraica, dopo il peccato originale Adamo ed Eva persero, oltreché la possibilità di vivere eternamente nell’Eden, anche la capacità di nominare e comprendere le parole divine. Secondo la concezione esoterica del Rinascimento, la potenza cosmogonica della lingua madre sarebbe sopravvissuta quindi solo in certe formule rituali o magiche, nelle intonazioni cabalistiche, nella sacralità di un nome divino pronunciato col giusto suono della voce, ritenuto in grado di scatenare tutto il suo potere al solo nominarlo. Nella tradizione cabalistica l’alfabeto della lingua preadamitica, anche a livello grafico, è un’immagine della potenza evocativa del mondo divino e spirituale: a ogni segno corrispondono un suono e un valore numerico, mezzi fondamentali per muovere le vibrazioni ritmiche primordiali del cosmo, dove risiede la potenza e la volontà creatrice di Dio. 

Questo insieme di segni formanti un enigmatico alfabeto di suoni è stato chiamato “lingua celeste, o angelica, o degli uccelli”. I pittori hanno immaginato questa lingua segreta, e nelle loro opere hanno decorato con segni d’invenzione le vesti dei santi, degli angeli e dei profeti, con caratteri di un alfabeto misterioso, per gli sguardi di chi sa intuire i messaggi spirituali.


Duccio di Buoninsegna, vetrata del duomo di Siena (1287 circa), particolare, Siena, Museo dell’Opera del duomo.

ART E DOSSIER N. 357
ART E DOSSIER N. 357
SETTEMBRE 2018
In questo numero: MICHELANGELO INEDITO Il primo progetto della tomba di Giulio II. VENEZIA La biennale di architettura. I SACRI MONTI Itinerari tra arte, fede e natura. IN MOSTRA Abramović a Firenze, Fotografia e Astrattismo a Londra, Puccini e l'arte a Lucca, Arte islamica a Firenze, Pittura a Gubbio al tempo di Giotto. Direttore: Philippe Daverio