CATALOGHI E LIBRI

LUGLIO-AGOSTO 2018

ALBERTO DELLA RAGIONE COLLEZIONISTA E MECENATE DEL NOVECENTO

Nel 1970 Alberto Della Ragione (1892-1973), ingegnere navale, collezionista e mecenate genovese, donò un bel nucleo della sua pregevole raccolta d’arte del Novecento al Comune di Firenze. Fu sistemato (si disse in via provvisoria) in piazza della Signoria, in alcune salette di palazzo Bombicci, angolo via de’ Calzaiuoli. Negli anni Settanta ci passò solo chi fosse assai motivato o incuriosito dallo stendardo in facciata che segnalava la collezione. Si salivano le scale, se ben ricordiamo. Ci si trovava d’improvviso in solitudine davanti a capolavori di Morandi, Carrà, Fontana, Martini, de Chirico, Guttuso. Poi, a lungo, la collezione fu dimenticata. Oggi è esposta nel neonato Museo del Novecento, piazza Santa Maria Novella. Non è la raccolta nella sua interezza, perché negli anni alcuni capolavori sono stati venduti dal proprietario per finanziare artisti da lui protetti e la galleria milanese che dirigeva. Così, l’unico Autoritratto di Modigliani (1919) è ora in Brasile mentre diversi Carrà, Morandi, de Chirico sono il vanto della Galleria d’arte moderna a Roma e della Pinacoteca di Brera a Milano.
Quella di Firenze è comunque una splendida selezione di duecentoquarantuno tra dipinti e sculture, e l’impeccabile libro rende conto della qualità delle opere (con una ricostruzione di tutte le vicende che le riguardano) e delle doti lungimiranti del collezionista genovese. Con una ricerca certosina di lettere, carte, documenti, Toti rievoca un frammento eroico del collezionismo italiano. Antifascista, Della Ragione iniziò a interessarsi d’arte nel Ventennio, e i suoi acquisti importanti cominciarono nel 1931, quando i giovani artisti più promettenti erano ignorati, spesso ostacolati dal regime. Della Ragione li capì e aiutò, anche con forti sacrifici personali. A Milano diresse con coraggio gallerie d’arte e riviste che hanno fatto la storia dell’arte italiana del Novecento, acquistò capolavori che non poteva permettersi (come il Modigliani), rinunciando perfino all’acquisto della propria abitazione.
Un uomo da ricordare, una collezione da visitare, un libro da leggere (anche) come un romanzo.

Chiara Toti Olschki, Firenze 2017 264 pp., 58 figg. b.n., 29 tavv. colore € 78

COSÌ PRESENTE, COSÌ INVISIBILE

Quindici conversazioni di David Campany (scrittore e curatore londinese, classe 1967), con altrettanti noti fotografi del nostro tempo: Adam Broomberg e Oliver Chanarin, Daniel Blaufuks, Robert Cumming, LaToya Ruby Frazier, Lewis Baltz, John Stezaker, Paul Graham, Rut Blees Luxemburg, Jeff Wall, Lucas Blalock, Susan Meiselas, Victor Burgin, William Klein, Stephen Shore. Doveroso citarli tutti, anche perché molti sono artisti a tutto tondo, per quanto il confine fra arti figurative e fotografia sia sempre più labile. Il dialogo “vis-à-vis” o via Skype, email, telefono, è la forma migliore, concordiamo con Campany, per parlare di un artista vivente, soprattutto se fotografo. Diverse modalità di conversazione, dunque, e testi di diversa lunghezza. Campany avverte che considera questi dialoghi sempre aperti. D’altra parte ciascun artista ha il suo personalissimo modo di confrontarsi col proprio lavoro e relazionarsi col mezzo fotografico. Piccolo, grande notevole libro.


LE VITE DEI SURREALISTI

Brillante etologo e divulgatore scientifico, Morris vive a Oxford in una casa piena di libri. Ha novant’anni, e mezzo secolo fa uscì il suo saggio più notevole, The Naked Ape. Coedito in Italia da Bompiani, che oggi lo ripubblica con nuova prefazione (La scimmia nuda, Milano 2017, pp. 296, € 12), nel 1967 il libro fece scandalo: la scimmia nuda siamo noi, esseri umani con analogie comportamentali rispetto ad altri primati. Ormai il saggio è un classico delle teorie evoluzionistiche, e nel 2017 il cantautore Francesco Gabbani gli ha reso onore con Occidentali’s Karma, tormentone non stupido che ha reso noto lo scrittore britannico (o almeno il “topos” della scimmia nuda) anche al pubblico festivaliero di Sanremo. Di un altro suo volume parlammo in questa rubrica quando Rizzoli pubblicò La scimmia artistica (2014), sorta di teoria evoluzionistica sull’arte nella storia dell’uomo. Morris di fatto non è solo zoologo ma artista e critico d’arte “sui generis”. Così, appena uscita, abbiamo “divorato” la sua ultima fatica, che è poi una serie di brevi saggi su trentadue artisti aderenti con modalità e in tempi diversi al surrealismo: corrente proteiforme del Novecento, alla quale nell’ultima fase aderì anche Morris. Qui l’autore si è lasciato prender la mano dai lati più aneddotici, indugiando, anche se con acume, su trasgressive passioni, ossessioni e tendenze erotiche (peraltro ben note) di Dalí, Ernst, Duchamp, Bacon, Dorothea Tanning, Leonor Fini, Giacometti, Leonore Carrington e altri artisti. Morris si legge sempre con piacere e fa comunque riflettere, come quando suddivide il surrealismo in cinque tipi principali: paradossale, atmosferico, metamorfico, biomorfico, astratto. Resta un buon viatico per chi non conosca il movimento, e offre pure interessanti aperture su teorici come Roland Penrose (biografo, fra l’altro, di Picasso), e soprattutto André Breton, che appare come non mai controverso e contraddittorio, omofobo, sessista, dittatoriale capogruppo di una corrente che trasse il nome da un’espressione coniata nel 1917 da Apollinaire, subito ripresa da Picasso.


Desmond Morris Johan & Levi, Milano 2018 272 pp., 71 ill. b.n. e colore € 30

LA CIVILTÀ ARCHITETTONICA IN ITALIA DAL 1945 A OGGI

Un libro sobrio nella veste grafica, come di rado ormai si pubblicano: saggistica di alto livello, che vorremmo più diffusa in Italia, dove gli studenti leggono poco (salvo eccezioni). De Seta affronta un tema a lui congeniale, la civiltà architettonica in Italia dal secondo dopoguerra a oggi: argomento insidioso, almeno per chi, come noi, non pratica la materia con la scioltezza e competenza dell’autore, che da sempre studia la città, nel senso più profondo del termine. La via scelta, agevole anche per il non specialista, è la suddivisione in cinque capitoli, con un’appendice di suggerimenti bibliografici per temi e figure di spicco. Non è un manuale ma un percorso coinvolgente che esordisce con le città in rovina e con una valutazione storico-critica sul dibattito che sorse per la ricostruzione: dibattito che non poté esimersi dall’eredità del Ventennio e dalle «riflessioni maturate nell’infuriare della tempesta». Nel continuo intreccio con storia, politica, vicende della società, della critica, delle riviste (fra le quali “Il Politecnico” fondata da Elio Vittorini, “Domus” di Gio Ponti, “Casabella” e molte altre), De Seta rievoca, fra tradizione e rinnovamento, i decenni della storia a noi più vicina. E lo fa sempre aggiornato allo scenario mondiale, dunque con un solido impianto intellettuale che si relaziona con i grandi nomi dell’architettura del Novecento, da Aalto a Wright, e molti altri. Si parte dall’idea della «continuità razionalistica del dopoguerra », alle prime opere di ricostruzione, via via fino all’ultimo saggio, dove spicca il nome di Renzo Piano (che com’è noto si associò a Richard Rogers nell’epica impresa del Beaubourg). Più di ogni altro architetto contemporaneo, Piano ci rappresenta nel mondo. Nel considerare le figure storiche della nostra architettura, anche quelle dei teorici, si capisce come la genialità di Piano abbia solide radici: basti rammentare Scarpa, Albini, Nervi, Gardella, Michelucci, Rossi, Samonà, Zevi, e molti altri, giacché di tutti De Seta parla con cognizione di causa, non senza un suo pensiero critico.


Cesare de Seta Longanesi, Milano 2017 368 pp., 98 ill. b.n. € 42

ART E DOSSIER N. 356
ART E DOSSIER N. 356
LUGLIO-AGOSTO 2018
In questo numero: ESTATE AL MUSEO La Rubenshuis di Anversa, il Museo diocesano di Feltre. I RESTAURI E LE SCOPERTE Pisa: gli affreschi restaurati; Pontormo: un nome per un ritratto. IN MOSTRA Christo a Londra, W.E. Smith a Bologna, Matisse ad Aosta, Kupka a Parigi, La collezione Agrati a Milano, Traiano a Roma.Direttore: Philippe Daverio