CATALOGHI E LIBRI

GIUGNO 2018

LA MIA AMERICA

Era nato nel 1910 nella Trieste austroungarica di Joyce e Svevo. Studioso di estetica, critico d’arte, artista (l’ultima sua mostra alla Triennale di Milano è stata nel gennaio scorso), Dorfles è stato testimone dei rinnovamenti culturali dell’intero Novecento, di qua e di là dall’Atlantico. Li ha discussi, studiati, anche criticati. Il 12 aprile avrebbe compiuto centootto anni. Se ne è andato, invece, il 3 marzo, quando questo libro era in stampa. Dei suoi scritti recenti si è parlato spesso in questa rubrica, ma è la prima volta che capita di recensirlo dopo la sua scomparsa. Ne vale la pena, forse più di sempre, non solo e non tanto perché non c’è più (dispiace anzi non poterne parlare con lui) ma soprattutto perché questa raccolta di articoli e conferenze sugli Stati Uniti meritava in assoluto di essere riunita. E ben ha fatto Luigi Sansone ad arricchirla di una documentata prefazione. Il primo dei molti soggiorni di Dorfles negli Stati Uniti risale al tardo 1953, quando fu invitato dal governo americano per uno scambio fra studiosi. Le lettere alla moglie sono le più spontanee testimonianze di quel viaggio, che in quattro mesi lo portò a visitare musei, centri culturali, università, e a conoscere artisti, architetti, critici coi quali strinse legami duraturi. Con i mezzi più vari, principalmente in treno, passò dalla East alla West Coast, da nord a sud e infine risalì verso ovest per tornare a New York. Oltre ad artisti come Rothko e De Kooning o architetti come Johnson e Wright, sui quali poi scrisse a lungo, incontrò direttori di musei, critici e filosofi come Arnheim, Munro, Greenberg. Rivide anche un amico triestino di gioventù, quel Leo Castelli che stava diventando il più influente gallerista newyorchese. Vi tornò molte volte, per convegni, “lectures” e mostre. Prima che Calvino dichiarasse l’amore viscerale per gli Stati Uniti, Dorfles poteva già scrivere: «Tornare a New York significa ritrovare scarpe comode dimenticate in un armadio […] il tutto sovrapposto all’immensità cristallina d’un territorio solo in parte umanizzato». È uno dei suoi saggi più poetici: Scendo dai grattacieli, 1956.

Gillo Dorfles, a cura di Luigi Sansone Skira, Milano-Ginevra 2018 296 pp. € 25

LA COLLEZIONE CONTINI BONACOSSI NELLE GALLERIE DEGLI UFFIZI

Agli Uffizi è finalmente accessibile al pubblico la prestigiosa collezione Contini Bonacossi: centoquarantanove capolavori, fra dipinti, sculture, ceramiche, arredi, esposti in via definitiva nelle otto sale alle quali erano stati destinati fin dal 1998, oggi riallestite e rese fruibili nel percorso ufficiale del museo. Il libro ripercorre in primo luogo, col bel saggio di Antonio Paolucci, le complesse vicende della raccolta che Alessandro Contini Bonacossi decise di concedere allo Stato prima di morire, nel 1955. Il catalogo illustra inoltre tutte le opere, con un occhio di riguardo alle schede dei capolavori della pittura e scultura, non solo italiana, dal Medioevo al Barocco. Fra i tanti, la Madonna della neve del Sassetta e il Ritratto di Iseppo da Porto col figlio Leonida del Veronese.



AA. VV. Giunti Editore, Firenze 2018 336 pp., circa 200 ill. colore € 38

PAOLO TROUBETZKOY

Sulla riva piemontese del lago Maggiore, oggi provincia di Verbania, è magnificamente attivo, dal 1919, un Museo del Paesaggio. Per chi volesse sapere la sua storia e le molte attività è possibile consultare il sito ben documentato del museo. Qui però rendiamo conto del recentissimo catalogo sulla gipsoteca Troubetzkoy, ovvero sui gessi dello scultore “impressionista” Paolo Troubetzkoy esposti a Pallanza Verbania nella sede principale del museo, in palazzo Viani Dugnani. Nato nel 1866 a Intra, sul lago Maggiore, e morto a Pallanza nel 1938, Troubetzkoy è ben noto agli studiosi dell’Ottocento, meno al grande pubblico. Scultore cosmopolita e raffinato, figlio di un principe russo ambasciatore in Italia e di una cantante lirica americana, nonché fratello del pittore Piero, Paolo si era formato nell’esuberante, “moderno” clima della Scapigliatura lombarda (frequenti i contatti con Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni). Considerato presto, per i suoi intensi ritratti , una sorta di “alter ego” in scultura di Boldini, Paolo partecipò nella sua carriera, con successo, alle più prestigiose esposizioni internazionali. Si pensi che nel 1913 l’epocale Prima Secessione di Roma gli dedicò una sala intera, con quasi cento opere, e che nel 1931 fu addirittura lo scrittore George Bernard Shaw a scrivere la presentazione per la sua personale da Colnaghi a Londra. Peraltro, per varie vicissitudini, lo scultore fin dal 1898 si trovò a risiedere e lavorare in vari paesi. A Mosca, in Finlandia, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, l’artista fu sempre in contatto con gli ambienti più aggiornati della cultura e dello spettacolo. Fra le altre cose, nel suo grande atelier di Hollywood, ritrasse nel 1919 i più celebri astri del cinema di allora. Restò instancabile viaggiatore fino al 1934, nonostante già molto malato, ma negli ultimi anni si alternò fra la Francia e Pallanza, prima e ultima dimora. Legato com’era al lago, decise che tutti i gessi rimasti nella residenza lombarda e nello studio di Neuilly- sur-Seine andassero al Museo del Paesaggio. Gliene siamo grati.


a cura di Federica Rabai, Roberto Troubetzkoy Hahn Museo del Paesaggio, Verbania 2017 209 pp., 100 ill. colore, 340 b.n. € 34

LENICI

Per chi non facesse in tempo a vedere la mostra al Museo della ceramica di Faenza (chiude il 3 giugno), resta questo libro, che illustra una selezione della più importante collezione al mondo di ceramiche Lenci, raccolta da Giuseppe e Gabriella Ferrero. L’azienda Lenci, fondata nel 1919 da Enrico Scavini e la moglie Helen, si sviluppò nell’ambiente ricco di stimoli culturali della Torino anni Venti e Trenta. Quella, per intendersi, dell’industria, del collezionismo alto-borghese, dell’impegno civico. In realtà gli Scavini avevano iniziato la loro attività producendo bambole di panno. Solo dal 1927 la Lenci si orientò verso le sculture d’arredo in ceramica. Fu una mostra epocale, nel 1929, alla Galleria Pesaro di Milano (nel palazzo Poldi Pezzoli di via Manzoni), a dare slancio e visibilità ai primi prodotti, vere e proprie opere di design. L’ideatore della rassegna era Ugo Ojetti: il noto intellettuale e critico d’arte, come spiega Valerio Terraroli nel saggio d’apertura, fu non a caso il teorico e patrocinatore della rinascita delle arti decorative italiane, grazie alle biennali internazionali di Villa reale a Monza. In pochi anni il catalogo Lenci si arricchì di oltre duemila modelli, che strizzavano l’occhio soprattutto alla ricca borghesia. La produzione, in stile tipicamente déco, fu ben accolta anche da Gio Ponti. Diversi numeri della rivista “Domus”, da lui diretta, illustrarono gli oggetti più originali delle ceramiche Lenci, presentate ormai in tutte le più importanti Esposizioni e Triennali. Il volume illustra centocinquanta ceramiche Lenci, alle quali si aggiungono quelle della Essevi, manifattura fondata nel 1934 da Sandro Vacchetti, ex direttore artistico della Lenci. Le opere, databili agli anni Venti e Trenta, sono suddivise per aree tematiche, in modo da suggerire un repertorio variegato e vasto dei soggetti più in voga: argomenti mitologici e sacri, animali, donne moderne, ninfe e fatine e molti altri, realizzati a decorazione di vasi, vassoi, lampade e così via. Come scrive la direttrice del museo faentino, Claudia Casali, si spera che la raccolta Ferrero, per la prima volta esposta in un museo e qui catalogata, possa diventare patrimonio sempre fruibile dal pubblico.


Valerio Terraroli, Claudia Casali, in collaborazione con Stefania Cretella Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2018 192 pp., 233 ill. colore € 34

ART E DOSSIER N. 355
ART E DOSSIER N. 355
GIUGNO 2018
In questo numero: PHILIPPE DAVERIO Quando l'arte annuncia le rivoluzioni: i primi sintomi del Sessantotto. SAVE ITALY Il sito di Casignana in Calabria. IN MOSTRA Franco Fontana a Bergamo, Black & White a Düsseldorf, Abscondita a Bassano, Cassatt a Parigi.Direttore: Philippe Daverio