Fontana cerca di rendere visibili i contenuti della superficie, per tradurre in immagini, attraverso innumerevoli svolgimenti nei colori, l’essenza delle cose, il loro aspetto meno consueto, celato dall’evidenza. Ovviamente agisce seguendo la sua visione e le sue proiezioni sul mondo, nella speranza di cogliere ogni volta un aspetto nuovo di ciò che non si vede di solito nel flusso quotidiano. I numerosi tentativi seguono un’indicazione che giunge direttamente dalla natura, ovvero da un organismo che continua a mutare e a spostare qualcosa pur rimanendo sempre quello che è dall’origine.
In Palazzo della civiltà, Eur, Roma (1979) una persona entra in campo, parzialmente, nella scena costituita da una scansione ritmica di ombre riflesse sulle pareti. In fondo, nel lato destro, una statua vista di spalle è rivolta verso le chiome di alti alberi secolari. Ricorda la sagoma scura presente in Ulisse e Calipso (1883) di Arnold Böcklin, ripresa da de Chirico in L’enigma dell’oracolo (1910) e in La meditazione autunnale (1912), assunta a simulacro dell’enigma metafisico. L’ombra, essendo un prodotto di proiezione, non può esistere senza una superficie che la renda percepibile. Quindi non può vivere nella sostanza leggera dell’aria o del cielo. Ha bisogno del suo contrario, del peso o della solidità, per svolgere la sua azione. L’ombra sembra leggera, ma è destinata a essere così pesante da rimanere sempre zavorrata alla terra, aderente agli schermi e alle pareti del mondo visibile. Nella fotografia Parigi (1979), Fontana coglie un momento che può essere proiettato in un non-tempo, dove le ombre vivono in due dimensioni diverse, una reale e una riprodotta da una meta-fotografia, un’immagine nell’immagine, uno schermo dentro le architetture della città, come in un cartellone pubblicitario che anticipa ogni metafora e si frappone allo sfondo del cielo: all’interno dell’ombra visibile pulsa un’altra ombra invisibile? Come sono da interpretare queste ombre? Sono manifestazioni di altri significati proiettati attraverso i nostri pensieri, o, come immagina Pindaro, «l’uomo è sogno di un’ombra»? La proiezione immateriale e oscura è anche da considerare come la memoria in tempo reale della luce, qualcosa che conserva la traccia di ogni accadimento. D’altronde l’etimo greco 25 rivela questa sottigliezza, poiché la parola “skia” significa sia “ombra” sia “traccia”. Siccome il termine “skotos” indica l’oscurità, si può congetturare che le ombre celino tracce di problematiche di coloro che le proiettano. I modelli bidimensionali proiettati dai corpi permettono, a colui che sa parlare con le ombre, di cogliere interessanti intuizioni.
Due scatti della serie People (1986) sono emblematici per immergersi nell’atmosfera filmica ricreata da Fontana, che nelle strade di New York ha colto abitanti illuminati da luci molto particolari, filtrate dalle distanze tra i vari grattacieli, da riflessi del sole e dai movimenti delle ombre sulle facciate. Sono sublimi testimonianze della bellezza, banale e seducente al contempo, nel quotidiano scorrere dei giorni, carpite dalla macchina fotografica come in un momento magico e irripetibile. Le persone paiono muoversi in un acquario immaginifico, dove si sta manifestando l’eccezionalità di un momento estatico, catturato per caso, pescato nel flusso imperturbabile di una metropoli. E pur diametralmente opposta, anche la fotografia People - Collina del Modenese (1986) evoca qualcosa di straordinario in un contesto appartato, rurale, ai margini della provincia, dove le persone si sono riunite, a debita distanza l’una dall’altra (paiono aste di meridiane che proiettano ombre a terra), e sembrano attendere una rivelazione dall’alto, un evento spettacolare o un’apparizione.