CATALOGHI E LIBRI

MAGGIO 2018

LA BIBLIOTECA PERDUTA

Quanti libri esattamente Leonardo abbia posseduto non sappiamo. Certo la sua biblioteca (manoscritti e incunaboli) non potrebbe somigliare a quella di uno studioso di oggi. Non contava, per intendersi, migliaia, spesso decine di migliaia di libri di un bibliofilo moderno, categoria peraltro che pare in via di estinzione. Con questo libro il filologo Carlo Vecce firma un altro dei suoi studi bellissimi su Leonardo, dopo l’edizione critica del Libro di pittura, curata per Giunti nel 2005 con il nostro amato e rimpianto Carlo Pedretti, e soprattutto dopo l’imponente e fortunata biografia del 2006 anch’essa edita da Salerno. Non è un libro maestoso, ma quanta sapienza e inedite considerazioni in queste duecento pagine! Resteranno sicuramente un punto di riferimento per chiunque si accosti a Leonardo, e non solo alla ricognizione sulle sue letture. Dunque, Vecce ricostruisce, pezzo per pezzo, gli scaffali della biblioteca di Leonardo. E lo fa col consueto rigore filologico. Decifrando e analizzando le più disparate e frammentarie citazioni presenti nei manoscritti leonardeschi, il filologo risale ai testi di diversa natura (abachi, grammatiche latine, novelle, rime, scritti scientifici e di anatomia in volgare e anche in latino, talvolta anche in francese) che Leonardo non solo consultò presso amici ma che possedette, spesso dopo una vera e propria caccia al tesoro (qualche volta forse li rubò perfino, o non li restituì a chi glieli aveva prestati). Studiando gli elenchi che Leonardo stilò in occasione dei numerosi traslochi, Vecce ristabilisce perfino quanti e quali libri e in quale sistemazione contava di inserirli nelle casse da mulo: casse di legno, resistenti, che faceva costruire appositamente. Sebbene da giovinetto non avesse condotto studi regolari, e non avesse studiato a fondo l’abaco né tantomeno conoscesse il latino, o forse proprio per questo, Leonardo si sforzò di studiare ciò che era consapevole d’ignorare rispetto a illustri colleghi, come dichiarò nella celebre autodefinizione di «omo sanza lettere». Suona quasi come una sorta di “fishing for compliments”, come diremmo oggi.

Carlo Vecce Salerno editrice, Roma 2017 216 pp. € 13

VITA MIA

Sta per uscire il catalogo ragionato delle opere di Pietro Consagra (Mazara del Vallo 1920-Milano 2005), curato da Luca Massimo Barbero con l’Archivio Consagra per i tipi di Skira, che intanto ha pubblicato la ristampa dell’intensa autobiografia, edita da Feltrinelli col medesimo titolo nel 1980. La nuova edizione rispetta il testo e l’impaginazione originale ed è arricchita da una postfazione di Luca Massimo Barbero, che da par suo storicizza il racconto e fornisce nuove chiavi di lettura. La personale visione di Consagra sull’arte e sulla politica (fu anche artista militante del vecchio Partito comunista, non senza attriti e contestazioni), le amicizie con gli astrattisti suoi compagni, gli incontri e gli scontri con Guttuso e i critici d’arte, gli amori, i figli, i viaggi s’intrecciano con poesia alle memorie della sua terra, dove trascorse un’infanzia poverissima ma dignitosa, come ricorda in questa sublime riflessione: «Ho fatto la mia scultura astratta per vivere da falco sulle cime di un orgoglio da povero».


Pietro Consagra Skira, Milano - Ginevra 2017 172 pp., 64 ill. b.n. € 16

VICTOR (MARCEL DUCHAMP)

Se non fosse per Jules et Jim di Truffaut (1962), solo chi studia il genio blandamente luciferino di Duchamp conoscerebbe lo schivo Henri- Pierre Roché (1879-1959), autore dell’omonimo romanzo, scoperto dal regista nel 1955 su una bancarella. Vale la pena rileggere i ricordi di Truffaut, riproposti nel 1998 da Adelphi nei Taccuini di Roché. È come se Roché fosse sempre al posto giusto nel momento giusto. Nel 1905 fu lui a presentare Picasso a Gertrude Stein; fu lui a dare la più folgorante definizione di Duchamp: «Il suo vero capolavoro è come ha impiegato il tempo». A Duchamp Roché fu sodale fin dal 1917, quando si conobbero a New York, allora fervido crogiuolo d’intellettuali espatriati. Per tutta la vita Roché registrò incontri, intrecci, emozioni erotiche su quadernetti fitti di cancellature. I taccuini, editi in minima parte, assieme ai Souvenirs sur Marcel Duchamp (1953), sono la chiave di lettura per Victor: non un romanzo, beninteso, ma appunti frammentari scritti nel 1957. Queste sulfuree notazioni, in forma di colloqui spezzati, preludio a un racconto che poi non vide luce, rievocano dieci vertiginosi mesi newyorchesi del 1917. Grazie ai suoi diari minuziosi fu facile per Roché rievocare, dopo tanti anni, feste, viaggi, amorosi colloqui, capolavori in fieri, e soprattutto lo sbalorditivo studio di Duchamp. Tutto vero, tranne che l’artista Beatrice Wood diventa Patricia, la collezionista Louise Arensberg è Alice, i coniugi Picabia sono François e Taty. Roché è Pierre, voce narrante. Victor (così chiamato per il successo con le donne) è Duchamp: onnipresente, in via occulta o diretta. Skira recupera ora il testo e gli apparati critici usciti in Francia nel 1977, a cura di Danielle Bohler. Nel libro non c’è traccia delle origini editoriali, col rischio di fraintendimenti per chi non si occupi di questi temi. La bella introduzione dell’allora giovane Jean Clair andrebbe datata, idem per i ringraziamenti della curatrice alla Wood, come fosse vivente (morì oltre vent’anni fa), o alla moglie di Picabia (scomparsa nel 1985). Benemerito il recupero ma necessaria oltreché doverosa la citazione delle fonti.


Henri-Pierre Roché Skira, Milano - Ginevra 2018 104 pp. € 13

IL BEATO ANGELICO A ROMA 1445-1455

C’è un’ideale linea temporale che raccorda tre grandi nomi della pittura italiana, dal Trecento al primo Quattrocento: Giotto - Masaccio - Angelico: linea che da più di un secolo è ormai un dato di fatto. Se già nel 1896 Bernard Berenson scriveva che Masaccio era un “Giotto rinato”, sul Beato Angelico si è letto fin dai libri di scuola che fu il precoce interprete delle innovazioni di Masaccio. I luoghi comuni sono difficili da scardinare ma è doveroso indagare, perfino su quella linea verticale, fino a pervenire a ricerche di rara completezza e rigore filologico. È quanto de Simone ha fatto (non solo indagando quella linea) in questo libro, impeccabile anche nell’inconfondibile veste editoriale Olschki, e finanziato dalla Fondazione Carlo Marchi. De Simone da anni si occupa di questi temi (con Alessandro Zuccari curò anche, a Roma nel 2009, la bella mostra sull’Angelico). Nel libro l’opera del frate pittore è inquadrata nell’ambito della rinascita delle arti, cioè di quell’altissimo “Umanesimo cristiano” nella Roma di Eugenio IV (che qui aveva chiamato l’artista fiorentino nel 1445) e poi di Niccolò V, per il quale l’Angelico lavorò a più riprese. Dopo diversi soggiorni, fu proprio a Roma che il frate pittore morì, poco prima del papa, nel 1455. Nel percorso inedito, ricco di nuove proposte, l’autore riconsidera in primo luogo le vicende dell’affascinante, intima Cappella niccolina in Vaticano, dall’Angelico affrescata a grandi riquadri verso il 1448. La nuova proposta che il neoplatonico pavimento a marmi intarsiati di Varrone d’Agnolo Belfradelli sia stato disegnato da Leon Battista Alberti è assolutamente convincente. Non è la sola novità di questo libro, che riesamina, anche in rapporto all’attività fiorentina, la questione dei cicli angelichiani in Vaticano purtroppo perduti, e le altre opere concepite a Roma, specie in Santa Maria sopra Minerva, nel cui convento Angelico morì. Qui fu sepolto con grandi onori in una tomba monumentale, con epitaffi tipici della retorica umanistica, a testimoniare che già i contemporanei lo elogiavano come interprete della classicità latina, piuttosto che del misticismo attardato nel quale Angelico fu poi considerato per secoli.


Gerardo de Simone Olschki, Firenze 2018 358 pp., 80 tavv. b. n. e 80 colore € 140

ART E DOSSIER N. 354
ART E DOSSIER N. 354
MAGGIO 2018
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Guttuso a Torino, De Chirico a Rivoli, Arte e fascismo a Milano, Wolf Ferrari a Conegliano, Rodin a Treviso, High Society ad Amsterdam, Italia e Spagna a Firenze, Dürer a Milano. VILLA CARLOTTA Trecento anni di collezionismo. CAMILLE CLAUDEL Il genio, il dolore, la perdita.Direttore: Philippe Daverio