Il gusto dell'arte 


CLIMA INQUIETANTE
IN CANTINA E AL CAFFÈ

di Ludovica Sebregondi

Un viaggio alla scoperta delle tradizioni culturali e sociali che legano arte e cucina in Europa Terza tappa: Germania

Hanswurst, “Gianni salsiccia”, è la principale figura comica del teatro tedesco già dal Cinquecento: un personaggio che fonde un nome frequente in Germania, Giovanni, con uno degli alimenti più diffusi. Infatti di “Wurst”, le salsicce, ne sono state censite più di millecinquecento varietà, soprattutto di maiale, ma non solo. La Germania è uno stato federale anche da un punto di vista gastronomico e la cucina è differenziata, anche se è unita da alcune preparazioni come gli insaccati. Sia coloro che macellano gli animali (“Schlachters”) sia chi vende le carni (“Metzgers”) hanno esercitato su George Grosz (Berlino 1893- 1959) una grande fascinazione sin da quando da bambino li aveva visti al lavoro. Il tema compare ripetutamente nelle sue opere, come in questa cantina di I macellai in cui un maiale appeso, ormai privo di testa, viene squartato da un macellaio.

Sotto l’animale un secchio di legno ne accoglie il sangue, da cui l’uomo si ripara indossando alti stivali e un grembiule. Un tavolo - su cui sono appoggiati coltelli e seghe, una lampada a petrolio per rischiarare il basso ambiente e altri attrezzi -, una tinozza metallica, un panchetto, un contenitore per le frattaglie completano l’arredamento.

Un aiutante, con una benda nera sull’occhio sinistro, sta trasportando con evidente fatica un grande cesto pieno di pezzi di carne sanguinolenti. L’altro, lo “Schlachter” (norcino si direbbe in Italia) ha l’aria di un malfattore, che Grosz tratteggia rapidamente con quella capacità di catturare i caratteri umani derivata dalla sua iniziale carriera di caricaturista per un giornale satirico. Barba lunga, tratti rozzi, berretto calato a coprire gli occhi, tutto concorre a farne una figura inquietante, diversa dalle prime immagini, solo descrittive, dedicate dall’artista al mondo della macelleria. Di lì a poco, simili ambienti con alte finestre chiuse da grate e pesanti porte di legno sprangate saranno collegati dall’artista a scene di tortura, agli orrori del nazismo.

Stessi anni, mondi contrapposti: quello grasso del macellaio di cui sono sottolineati i tratti volgari, e quello non meno inquietante dell’intellettuale intenta a bere un cocktail e a fumare al tavolino di un caffè. È la giornalista Sylvia von Harden, che Otto Dix (Gera 1891 - Singen 1969) nel 1926 ritrae seduta in un corto abito a grandi quadri rossi e neri che lascia intravedere le calze di seta arrotolate sopra il ginocchio. I capelli dal taglio maschile, il monocolo, le mani grifagne con un unico anello al medio della destra sottolineano - per la mentalità dell’epoca - la sua solitudine. Due realtà diverse e opposte, da leggere attraverso il dramma della storia. Il cibo è stato nella cultura tedesca un tema importante, affrontato da letterati, ma messo anche in musica. Così Matthias Claudius dedicò un testo poetico alla patata, ma anche Goethe la lodò e in Germania oggi tre musei sono dedicati al tubero importato dal Sudamerica. Fu Federico il Grande che nel Settecento ordinò, per porre rimedio alla fame diffusa nel paese, di coltivare patate e di farle poi cuocere «nella loro uniforme» cioè con la buccia. Da quel momento la patata affiancò il “Sauerkraut”, o crauti, il cavolo fermentato cantato da Heinrich Heine, quale alimento base in una Germania in cui la carne era cibo per pochi. Un paese tutto sommato povero, in cui la popolazione sognava - come in tutte le culture - lo “Schlaraffenland”, il Paese della cuccagna. La fame era soggetto ricorrente nella cultura popolare e Gustav Mahler nel 1892 mise in musica, dall’antologia di testi tradizionali Il corno magico del fanciullo raccolti da Achim von Armin e Clemens Brentano (1805-1808), sia Das irdische Leben, sia Das himmlische Leben, la vita terrena e quella paradisiaca. Il primo “Lied” narra di un bambino che muore di fame aspettando che il grano sia raccolto e il pane venga cotto, il secondo di un piccolo che sogna un paradiso in cui «caprioli, e lepri […] corron dentro in cucina».


Otto Dix, Ritratto della giornalista Sylvia von Harden (1926), Parigi, Musée National d’Art Moderne - Centre Georges Pompidou.

ART E DOSSIER N. 354
ART E DOSSIER N. 354
MAGGIO 2018
In questo numero: MOSTRE D'ESTATE Guttuso a Torino, De Chirico a Rivoli, Arte e fascismo a Milano, Wolf Ferrari a Conegliano, Rodin a Treviso, High Society ad Amsterdam, Italia e Spagna a Firenze, Dürer a Milano. VILLA CARLOTTA Trecento anni di collezionismo. CAMILLE CLAUDEL Il genio, il dolore, la perdita.Direttore: Philippe Daverio