Grandi mostre. 2
Nascita di una nazione a Firenze

FANTASIA
AL POTERE

Il boom economico e la trasformazione socioculturale degli anni Sessanta, culminata con il movimento del Sessantotto, sono terreno fertile per la nascita di un’arte impegnata - come ci racconta qui il curatore dell’esposizione a Palazzo Strozzi - a ricostruire l’identità di un paese distrutto dalla ferocia del secondo conflitto mondiale.


Luca Massimo Barbero

«Quindici anni fa prevedevamo tutto, tranne una cosa: che il mondo sarebbe entrato in una fase di “belle époque”. Adesso ci siamo dentro in pieno. C’è il boom economico, un’aria di cuccagna, ognuno bada ai suoi interessi»(1).

Negli anni del cosiddetto “miracolo economico” italiano, esploso in modo “inaspettato”, come scrive Italo Calvino, all’aprirsi degli anni Sessanta, ma in realtà maturato già nel decennio precedente, prende forma una nuova idea di arte, che trae dalla politica, dal costume e dai cambiamenti sociali linfa vitale. Proiettata nella contemporaneità, nella sua straordinaria vitalità di linguaggi, materie e forme, ancora oggi continua a suggerire narrazioni e letture di un periodo e di un clima culturale. All’arte prima che alla televisione si dava ancora in quel momento il compito di rappresentare l’italianità. E a farsene carico era l’arte nuova, affermatasi sulle ceneri dei grandi contrasti e drammi della seconda guerra mondiale. Gli artisti hanno reinventato in quegli anni i concetti di identità, appartenenza e collettività e oggi, attraverso i loro occhi e le loro pratiche, si può raccontare, per temi e casi esemplari, la “rinascita” del paese, tra le contraddizioni del dopoguerra e la forte cesura segnata dal 1968. Per contrappunti, ma anche continuità e compresenze, in una sorta di “macchina del tempo” per immagini, la mostra Nascita di una nazione. Tra Guttuso, Fontana e Schifano (Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22 luglio) dà voce ai protagonisti dell’avanguardia artistica italiana di due decenni considerati centrali anche per gli sviluppi a noi più vicini.

Gli anni Cinquanta racchiudono tensioni contrapposte riassunte dal neorealismo ortodosso di Renato Guttuso e dalla sua Battaglia di ponte dell’Ammiraglio (1955), che in modo significativo, quale esempio di questa ricerca allora così popolare, viene appesa in una sala dell’Istituto di studi comunisti Palmiro Togliatti (alle Frattocchie, nel comune di Marino, vicino a Roma), centro di formazione dei dirigenti del Partito comunista. In fondo fu proprio Togliatti a incendiare nel 1948 il fervente dibattito tra realismo e astrattismo, con la feroce stroncatura contro l’arte astratta, nella sua rivista “Rinascita”, della mostra organizzata dall’Alleanza della cultura a Bologna. L’opera di Guttuso raccoglie e comprime questi suggerimenti e contrasti e non a caso gli è contrapposto in mostra il Comizio di Giulio Turcato (1950), teso a una diversa sintesi astratta.


Attraverso i loro occhi e le loro pratiche, si può raccontare, per temi e casi esemplari, la “rinascita” del paese


Giulio Turcato, Comizio (1950), Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.

In questo stesso decennio trovano la loro piena affermazione i fermenti più maturi delle ricerche di gesto e materia, comunemente definite come informali. Dalle macerie del secondo dopoguerra si ricostruiscono nuovi linguaggi e “situazioni”: se i Sacchi e i Legni di Alberto Burri portano le stigmate di una materia sollecitata e resa parlante e la pittura di Emilio Vedova sa captare da subito con una versatilità straordinaria le energie della linea come traiettoria, come forza, come gesto, Lucio Fontana vive la contemporaneità aprendo la ricerca artistica a nuove dimensioni, che sono riferimento vitale per le più giovani generazioni. Ma non dimentichiamo che ciò che oggi rappresenta internazionalmente l’immagine dell’arte italiana all’epoca non era accettato, anzi era fortemente criticato. Se in occasione della Biennale di Venezia i rotocalchi urlavano «stracci e chiodi sulla laguna vengono contrabbandati come opere d’arte», la lungimirante Palma Bucarelli, direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma dal 1942 al 1975, ebbe proprio per colpa, o per merito, di questi artisti (dei quali acquistò diverse opere) interrogazioni parlamentari. È a queste avanguardie che la mostra fiorentina è dedicata, rimuovendo un più facile naturalismo e una nascente serissima neofigurazione.


Mario Schifano, NO (1962).

La scena artistica cambia significativamente in un gioco geografico fra Torino, Milano, Roma e più avanti Napoli grazie a un drappello di giovani appassionati che “azzerano” l’opera nel monocromo e la reificano, portando tutto al nuovo con impegno, ma anche ironia. È il caso della galleria milanese Azimut (e della rivista “Azimuth”), delle superfici di Enrico Castellani e Agostino Bonalumi e dell’arte edibile, così scandalosa, di Piero Manzoni.

In un’Italia che si muove tra i governi Fanfani e Leone e la lotta fra la Democrazia cristiana e il Partito comunista e in cui una nuova generazione è sempre più scalpitante, emergono le nuove figurazioni che qui ci spiegano come quello che comunemente chiamiamo Pop venga da una memoria tutta italiana. In queste immagini di memoria, tra il nuovo e il metafisico, si inseguono svastiche, falce e martello e i giovani geghegè: come si diceva un tempo, scherzando con un mottetto, «Dal partito al Piper». Sono le figure lignee di Mario Ceroli, i “gesti politici” di Sergio Lombardo, gli smalti di Tano Festa e Giosetta Fioroni e l’esattezza lenticolare di Domenico Gnoli.


I Sacchi e i Legni di Alberto Burri portano le stigmate di una materia sollecitata e resa parlante


È l’Italia che schiera come una nuova rivoluzione Moravia e Pasolini, Antonioni e Fellini in una piena maturità e in una fonte inesauribile di nuovi racconti e immagini di paradigmi tutti italiani.
È l’Italia in cui emerge, tra gli altri, quel campione della pittura che è Mario Schifano, giovane «puma di cui non si sospetta la muscolatura e lo scatto» come lo definisce Goffredo Parise. Capace di far vedere la «particolare angolazione» con cui l’uomo della civiltà di massa si rapporta con il mondo, Schifano è simbolo della felicità del dipingere e di una «fame di pittura» che punta «sulla via di un possibile “grande stile” moderno», come scrive Cesare Vivaldi nel catalogo della personale alla galleria Odyssia (Roma) del 1963.


Franco Angeli, Corteo (1968), Bologna, Mambo - Museo d’arte moderna di Bologna.

L’artista dipinge i suoi “compagni” e al tempo stesso “affresca” la sala da pranzo romana della famiglia Agnelli, un altro contrasto e felice paradosso. 

Lo sguardo sul presente, sulla cronaca e la politica si rispecchia nei simboli ideologici di Franco Angeli, che non teme di far affiorare nei suoi lavori la violenza delle svastiche e la memoria dei fasci, nelle opere di Michelangelo Pistoletto dedicate ai grandi cortei del Sessantotto e nelle bandiere di Averroè di Giulio Paolini, vessillo premonitore del futuro mondo globale.

Sono anni in cui maturano le ricerche internazionalmente note come Arte povera e pratiche artistiche eminentemente concettuali: il lavoro perde la sua “consistenza” di oggetto per la visione e diviene oggetto per il pensiero. «Un nuovo atteggiamento per ripossedere un “reale” dominio del nostro esserci », scrive Germano Celant nel 1967, «che conduce l’artista a continui spostamenti dal suo luogo deputato, dal cliché che la società gli ha stampato sul polso. L’artista da sfruttato diventa guerrigliero, vuole scegliere il luogo del combattimento, possedere i vantaggi della mobilità, sorprendere e colpire, non l’opposto».

Alla fine del decennio il concetto di “identità italiana” trova una propria ridefinizione nel contesto internazionale, avviandosi con l’Arte povera ad assumere una ritrovata centralità nella nuova “koinè” fondata sulla processualità e la sperimentazione materiale e concettuale. E se l’immagine del paese, nella sua geografia “possibile”, è protagonista delle Mappe di Alighiero Boetti e delle Italie di Luciano Fabro, che oggi si possono riusare come una sorta di nuova incredibile allegoria, la mostra chiude con un desiderio ancora più forte di poesia: quella della «fantasia al potere». Gino de Dominicis, tra gli altri, in fondo ci parla di questa nazione e dei suoi desideri e non a caso all’interno di Identifications (1970) di Gerry Schum (un video di azioni di diversi artisti) il suo lavoro è un Tentativo di volo.


Alberto Burri, Sacco e oro (1953).

Domenico Gnoli, Shoulder (1969).


Luciano Fabro, L’Italia (1968), Lugano, Masi - Museo d’arte della Svizzera italiana.

ART E DOSSIER N. 353
ART E DOSSIER N. 353
APRILE 2018
In questo numero: CORPI DI PASSAGGIO Jenny Saville: materia in disfacimento. Leon Golub: la violenza del potere. Pompier: bellezza come intrattenimento. Roma repubblicana: il volto verista. PAGINA NERA Come sta il ponte di Bassano? IN MOSTRA Il figurativo inglese a Londra; Nascita di una nazione a Firenze; Impressionismo e avanguardie a Milano; Gaudenzio Ferrari in Piemonte; Bellini e Mantegna a Venezia.Direttore: Philippe Daverio