Grandi mostre. 3
I napoletani a Parigi negli anni dell’impressionismo a Napoli

UNA RIVOLUZIONE
DEI GENERI

Il successo degli artisti partenopei a Parigi, nella seconda metà dell’Ottocento, è stato incisivo grazie anche all’intervento di Adolphe Goupil, il più importante mercante d’arte del secolo. Tra i protagonisti di quella stagione memorabile, come ci racconta qui il cocuratore della mostra a palazzo Zevallos Stigliano, troviamo pittori come De Nittis, Morelli, Mancini e lo scultore Vincenzo Gemito.


Fernando Mazzocca

L'atmosfera unica di palazzo Zevallos Stigliano, caratterizzata da un gusto architettonico che ricorda nel felice connubio tra marmi, strutture in metallo e vetro i padiglioni delle Esposizioni universali, è senz’altro ideale per la mostra Da De Nittis a Gemito. I napoletani a Parigi negli anni dell’impressionismo (fino all’8 aprile) dedicata a un fenomeno essenziale per capire la vivacità e l’originalità sperimentale della pittura napoletana nella seconda metà dell’Ottocento. I dati emersi da ricerche svolte seguendo via via piste diverse hanno consentito di concludere che gli artisti partenopei, in particolare proprio i pittori, sono stati in assoluto, rispetto a quanti provenivano da ogni altra parte d’Italia, i più presenti, sia per numero sia per la ricaduta che questa fondamentale esperienza ha avuto sulla loro produzione e sulla grande scena parigina, quando la Ville Lumière è stata l’indiscutibile capitale della cultura e dell’arte moderna. I venti pittori selezionati, cui è da aggiungersi quello scultore geniale che è stato Vincenzo Gemito, hanno avuto con Parigi rapporti diversi. Alcuni, come Giuseppe Palizzi, Giuseppe De Nittis e Ulisse Caputo ne hanno fatto la loro città e la sede di una carriera di successo; altri vi hanno passato solo alcuni anni ma decisivi, per esempio Francesco Netti, Antonio Leto, Edoardo Tofano, Antonio Mancini e appunto Gemito; altri ancora, come Domenico Morelli e Michele Cammarano, vi hanno soggiornato occasionalmente per visitare i musei, le esposizioni, gli studi degli artisti più celebrati.


Giuseppe De Nittis, Pranzo a Posillipo (1879 circa), Milano, Galleria d’arte moderna.

Dipinti realizzati con virtuosismo ma anche con un senso genuino della luce e del colore


In ogni caso a tutti gli artisti partenopei entrati in contatto con la capitale francese si presentarono formidabili opportunità di aggiornamento o di affermazione professionale, quando le loro opere vennero apprezzate o addirittura premiate alle rassegne, tra i Salon e le grandi Esposizioni universali, cui si trovarono a partecipare.

Un tramite particolare e decisivo fu il maggior mercante d’arte dell’Ottocento, quell’Adolphe Goupil che fece dei numerosi pittori napoletani da lui ingaggiati, e spesso legati con dei contratti d’esclusiva, un vero punto di forza della sua Maison la cui sede principale era in place de l’Opéra, ma con filiali sparse in tutto il mondo. Intransigente paladino di una pittura alla moda, oscillante tra un’aneddotica rivisitazione del passato, con una spiccata predilezione per i frivoli incanti del Settecento, e la celebrazione della gioia di vivere contemporanea, Goupil chiese ai pittori partenopei, come si può vedere da una delle più nutrite sezioni della mostra, di fornirgli delle vedute e delle scene di vita popolare, in particolare ambientate lungo le coste assolate e le campagne incontaminate dell’Italia meridionale.

Questi dipinti, 47 realizzati con virtuosimo ma anche con un senso genuino della luce e del colore che ancora ci incantano, erano destinati a un mercato globale, al collezionismo allora più competitivo che era quello americano. Erano i nuovi ricchi statunitensi o cileni che rimasero affascinati e si fecero ritrarre anche da Boldini, uno dei cavalli di razza della scuderia di Goupil. De Nittis si può sicuramente considerare il corrispettivo napoletano dell’artista ferrarese che, come lui, finirà con lo spezzare il contratto d’esclusiva che lo legò per molti anni al potente mercante.


Domenico Morelli, Bagno pompeiano (1861), Milano, Fondazione internazionale Eugenio Balzan, in esposizione permanente presso il Teatro sociale di Badia Polesine (Rovigo).

Alceste Campriani, Mezzogiorno a Capri (1880 circa).


Francesco Netti, In corte d'assise (1882), Bari, Pinacoteca metropolitana Corrado Giaquinto.

Parigi è rimasta incantata dai “fanciulli” diseredati di Mancini


Per quanto in questi ultimi anni sia stata giustamente sdoganata la pittura alla moda sostenuta e imposta da Goupil, anche attraverso il potere delle riproduzioni che coprivano un mercato di massa, bisogna però alla fine dei conti osservare che solo coloro che si sono liberati dalla sua dittatura, dato che non lasciava molti margini di libertà ai suoi artisti, hanno potuto raggiungere una cifra originale e dare un contributo all’arte moderna. Solo così De Nittis, che quando ha rotto il contratto con Goupil ha partecipato su invito di Degas alla prima mostra degli impressionisti, è riuscito a diventare uno dei maggiori e più anticonvenzionali interpreti della cosiddetta «pittura della vita moderna» teorizzata da Baudelaire e realizzata soprattutto da Manet, Degas e dagli impressionisti come espressione della contemporaneità. Per questo le sue incantevoli vedute parigine, come L’amazzone al Bois de Boulogne e un capolavoro da poco ritrovato come Un angolo di place de la Concorde, o il restaurato pastello della Signora con l’“ulster” della Galleria d’arte moderna di Milano, rappresentano, insieme alle rivoluzionarie immagini del Vesuvio o allo straordinario Pranzo a Posilippo, anch’esso riemerso nel suo splendore “impressionista” dal recente restauro, il cuore di questa mostra. Una mostra emozionante proprio per la varietà e la qualità delle circa novanta opere presentate che ben testimoniano una vera rivoluzione avvenuta all’interno dei generi, tra il paesaggio alla Palizzi e la pittura storica alla Morelli, cui sono dedicate le sezioni iniziali, per approdare alle scene di vita moderna di Netti, Tofano e appunto De Nittis, a quelle di vita popolare e alle marine dei pittori che, come Rossano, Michetti, de Chirico, Dalbono, Leto, Campriani hanno lavorato per Goupil.


Antonio Mancini, Suonatore di chitarra (1877).

Un discorso a parte, anche per la quantità e la qualità dei pezzi esposti, lo meritano due artisti geniali: il pittore Antonio Mancini e lo scultore Gemito. Amici inseparabili, sono andati a Parigi attratti dalle opportunità di affermarsi offerte loro da Goupil che ne aveva subito intuito il genio. Nella metropoli, che li ha sedotti ma anche spaventati, sono riusciti a portare il loro mondo, popolato da personaggi umili che riescono a interpretare in maniera straordinaria e diretta la vita, innalzati a un significato universale attraverso il filtro della scultura antica, quella dei presepi napoletani e il grande realismo del Seicento, tra Caravaggio, Mattia Preti e Bernardo Cavallino. Mancini ci incanta ancora con le sue figure di adolescenti, firmate e datate negli anni parigini, dove nelle sembianze dei suonatori o dei saltimbanchi si riconosce la fisionomia del suo modello prediletto. Si tratta di Luigiello, «uno straccione d’Abruzzo orfano di padre»(*), distinguibile per il suo volto orgoglioso e i capelli arruffati, che aveva seguito i due amici nella capitale francese. Parigi è rimasta incantata dai “fanciulli” diseredati di Mancini che, come ha testimoniato Netti, «vanno passeggiando di tela in tela senza lavarsi mai», e dai rivoluzionari ritratti in cui Gemito ha fissato, imprigionandovi l’anima, i volti di Giuseppe Verdi, Morelli, Mariano Fortuny, Michetti, Boldini, Cesare Correnti, Meissonier. Queste, che sono tra le maggiori sculture del XIX secolo, fanno ala in mostra al grande bronzo Il pescatore, prestito eccezionale e sofferto dal fiorentino Bargello, il capolavoro che, ideato e realizzato a Napoli a partire dal 1875, fu concluso definitivamente solo a Parigi, dove venne esposto prima al Salon del 1877 e poi all’Esposizione universale dell’anno successivo. Nonostante tutti lo volessero acquistare, l’autore preferì regalarlo a Meissonier che tanto aveva creduto in lui e lo aveva sostenuto. Nuovamente esposto e sempre con successo, finirà nelle mani di Achille Minozzi, grande mecenate di Gemito, che nel 1911 lo donerà al Bargello, perché quel giovane corpo in tensione, fermato in precario equilibrio sullo scoglio cosparso, per raggiungere meglio l’effetto, di sapone, finisse come si meritava in compagnia delle sculture più belle di tutti i tempi.


Vincenzo Gemito, Il pescatore (1877), Firenze, Museo nazionale del Bargello.

(*) D. Cecchi, Antonio Mancini, Torino 1966.

Da De Nittis a Gemito.
I napoletani a Parigi negli anni dell’impressionismo

Napoli, Gallerie d’Italia - palazzo Zevallos Stigliano
a cura di Luisa Martorelli e Fernando Mazzocca
fino all’8 aprile
orario 10-18, sabato e domenica 10-20, chiuso lunedì
catalogo Sagep Editori
www.gallerieditalia.com

ART E DOSSIER N. 352
ART E DOSSIER N. 352
MARZO 2018
In questo numero: GIO PONTI OGGI La chiesa abbandonata; Un design senza tempo. SPAZI D'ARTE L'isola di Hombroich; Tefaf a Maastricht. IN MOSTRA I volti di Menazzi Moretti a Matera; Arte e psiche a Ferrara; I napoletani ''parigini'' a Napoli; Raffaello a Bergamo; Tessuto e ricchezza a Firenze; Perù preincaico a Parigi.Direttore: Philippe Daverio