Blow up


GALIMBERTI, BECCHETTI,
NACHTWEY

di Giovanna Ferri

Aguidarlo sono le emozioni, le sensazioni che un luogo, una situazione gli suscitano in un determinato momento. Da queste premesse è nato un progetto iniziato nel 2013 da Maurizio Galimberti (1956) nella basilica di San Nicola a Tolentino (Macerata), su invito del collezionista e mecenate locale Alberto Marcelletti, ripreso e concluso dopo il terremoto del 2016. Un’esperienza fondamentale per il fotografo lombardo in gioco, per la prima volta, di fronte a un soggetto religioso. Focus del suo lavoro gli affreschi trecentesci del cappellone attribuiti, di recente, a Pietro da Rimini e immortalati con la sua classica Polaroid, usata dal 1983, e con la rara Polaroid Giant Camera 50x60 (in tutto il mondo solo tre esemplari di cui uno a Milano). Risultato: ottanta opere, tra mosaici e big polaroid, visibili nel percorso espositivo San Nicola reMade (Monza, Villa reale, fino al 28 gennaio, www.villarealedimonza.it), a cura di Denis Curti, cariche di poesia, movimento, stratificate, frammentate, ricomposte in un intreccio di piani prospettici che risentono delle lezioni del cubismo. Un’iniziativa che vuole contribuire a ridare vita a uno spazio chiuso da oltre un anno «dove non cerchi», come afferma l’artista nel catalogo della mostra, «l’estetica della bellezza, ma l’estetica dell’orrore e del dolore, che è silenzioso ma penetrante».

Incisivo con le immagini ma anche con le parole, dotato di particolare sensibilità ed empatia, Sandro Becchetti (1935-2013) si cimentava nella fotografia con grande partecipazione. Dalla seconda metà degli anni Sessanta si dedica a questa attività con estrema naturalezza. Come ci ha riferito Valentina Gregori, cocuratrice (insieme a Irene Labella), della mostra Sandro Becchetti. L’inganno del vero (Terni, Caos - Centro arti opificio Siri, fino al 4 marzo, www.caos.museum), l’artista romano (da lei conosciuto negli ultimi quattro anni della sua vita) affermava: «Non faccio nessuno sforzo a fare fotografia». Per Becchetti era una sorta di «prolungamento del suo sguardo», continua Gregori. Nel 1980 però il cambiamento sociale e culturale, che porta a privilegiare la mercificazione dell’immagine fine a se stessa, induce l’autore a interrompere l’esperienza con l’obiettivo per quindici anni. Diventa contadino per riscoprire la terra d’origine dei suoi familiari nelle campagne romane, recuperando così quella connessione alla vita congruente al suo più autentico sentire e tipica di tutto il suo cammino. Nel 1995, poi, torna alla fotografia dopo aver digerito quella che Gregori chiama la «caduta degli dèi», la messa in discussione delle certezze e la consapevolezza di aver ricostruito, al termine di questo lungo distacco, la propria identità. In mostra i ritratti dei più importanti protagonisti del secolo scorso - da Pasolini a Warhol, da Truffaut a Fellini -, le immagini delle acciaierie di Terni (anni Settanta) e gli oggetti più importanti appartenuti a Becchetti.


Sandro Becchetti, Pier Paolo Pasolini, Roma 1971.

«Io sono un testimone e voglio che la mia testimonianza sia eloquente », leggiamo nel catalogo della più ampia retrospettiva dedicata a James Nachtwey (1948): Memoria (Milano, Palazzo reale, fino al 4 marzo, www.palazzorealemilano.it), a cura di Roberto Koch e dello stesso autore americano. Duecento scatti ripercorrono i reportage di colui che è ritenuto l’erede di Robert Capa. La dissoluzione dell’ex Jugoslavia, la guerra in Cecenia, i disordini civili in Irlanda del Nord, il genocidio in Ruanda, la carestia in Somalia, Sudan, le guerre civili degli anni Ottanta in America Centrale, il conflitto israelo-palestinese in Medio Oriente fino ad arrivare agli attacchi terroristici dell’11 settembre alle torri del World Trade Center a New York per poi continuare con la recente guerra in Iraq, dove il fotografo è rimasto ferito dall’esplosione di una granata. Uno sguardo lucido sostenuto da una profonda “pietas” e quindi dal rispetto e compassione per l’altro provato dalla violenza, privato del calore degli affetti che però conserva, come sostiene Nachtwey, «l’irriducibile dignità che è propria di ogni essere umano». Le sue opere, prove fondamentali anche della drammatica povertà in India, Indonesia, del virus dell’Aids, dei disastri ambientali diventano occasione di consapevolezza di ciò che è stato e di ciò che è. Opere dove la bellezza formale delle immagini, supportata da un sorprendente ritmo compositivo, rende il racconto visivo di Nachtwey carico di uno straordinario amore per l’umanità.


James Nachtwey, Un soldato croato bosniaco spara contro i musulmani bosniaci, Mostar (Bosnia-Erzegovina) 1993.

IN BREVE:

Oliviero Toscani. Immaginare
Chiasso, M.a.x. Museo - Centro culturale Chiasso
fino al 21 gennaio
www.centroculturalechiasso.ch
Paolo Roversi. Incontri
Milano, Galleria Carla Sozzani
fino all’11 febbraio
www.galleriacarlasozzani.org

ART E DOSSIER N. 350
ART E DOSSIER N. 350
GENNAIO 2018
In questo numero: I DILEMMI DELL'ARCHITETTURA Modernismo e tradizione a Firenze; Sottsass: la fantasia della ragione; Analogie: forme da altre forme. IN MOSTRA Sottsass a Milano e Parma, Impressionisti a Londra; Canova e Hayez a Venezia, Bernini a Roma, Giorgione a Castelfranco Veneto.Direttore: Philippe Daverio