IL CONSEGUIMENTO
DI UN TRAGUARDO

Nell’estate del 1909, il ritorno di Vallotton a Honfleur, in Normandia, apre un’ultima fase nella sua carriera.

I

l pittore ottiene un contratto d’affitto annuale per la villa Beaulieu, dove ha già soggiornato nel 1901. È una casa in mezzo ai frutteti, sulla piana di Equemauville che domina la cittadina normanna. Ormai Vallotton ci passerà tutte le estati, ancora più felice perché fa sistemare in una dépendance un vasto atelier dove potrà iniziare tele di grande formato come L’estate, impossibili da ospitare nell’atelier parigino. Non appena vi si stabilisce, vi allinea i paesaggi, come per recuperare i tre anni e mezzo durante i quali ha voltato le spalle a quel genere. L’aria nuova che contraddistingue questi primi paesaggi eseguiti a Honfleur attesta uno stile maturo. Lungi dal rinnegare le acquisizioni nabi dell’“à plat” e della forma chiaramente circoscritta, Vallotton le associa d’ora in poi a volumi sbocciati in uno spazio in parte infedele alla realtà ma sempre rigorosamente strutturato. Quando è fondato su una prospettiva ascendente, questa è già determinata allo stadio dello schizzo con un mezzo molto semplice: Vallotton sta in piedi per disegnare il primo piano, poi si siede per tracciare il resto del motivo, cosa che ha l’effetto di abbassare il suo angolo visuale. Durante i sedici anni successivi, i paesaggi costituiscono la parte più importante della sua produzione. Con qualche rara eccezione, tutti rispondono alla nozione di “paesaggio composto” essendo invariabilmente dipinti a memoria tra le quattro mura dell’atelier, con l’aiuto degli schizzi disegnati davanti al motivo. Salvo ancora per qualche piccolo studio, la tela di lino dotata di una buona preparazione ha sostituito per tutti i generi i supporti di legno e di cartone, allo stesso modo in cui la tempera ha ceduto il passo alla pittura a olio. Lo strato pittorico è sempre parsimonioso e liscio, e mai Vallotton appone una vernice sui suoi quadri, conoscendo l’effetto della vernice sul riflesso della luce e da lì sul rapporto dei colori. L’evoluzione riguarda anche la grandezza e lo stile: con l’ampliamento dei formati compare una monumentalità inedita.


Honfleur nella nebbia (1911); Nancy, Musée des Beaux-Arts.


Ultimi raggi (1911); Quimper, Musée des Beaux-Arts.

Così, alberi dai tronchi immensi si slanciano verso il cielo dove culminano le loro maestose corone; vasti panorami si aprono sulla città, sulla baia della Senna o sul retroterra. Un più grande spazio sulla tela non vuol dire disperdersi nei dettagli. Già effettivo allo stadio dello schizzo, il lavoro di sintesi, al contrario, si accentua. Gli elementi sono compattati in grandi masse dalla disposizione ritmata che fa agire i contrasti tra forme voluminose e superfici piane, tra valori chiari e valori scuri regolati da una illuminazione definita artificialmente in funzione dell’effetto voluto. La prospettiva è perlopiù contratta e lo spessore atmosferico reso impercettibile dalla nitidezza uguale sia nel primo piano che nello sfondo.

In un altro registro, è sempre a Honfleur che dei tramonti sono resituiti in composizioni tendenti all’astrazione, formate da una sovrapposizione di fasce parallele dai colori squillanti o sottilmente modulati.


Tramonto, foschia gialla e grigia (1913).

Nel gennaio 1910, una decina di paesaggi di Honfleur figurano nella prima esposizione personale di Vallotton nella galleria di Eugène Druet, diventato il suo mercante accreditato a Parigi. Forse perché Octave Mirbeau li decanta nella sua prefazione al catalogo, sono i nudi a raccogliere il maggior numero di lodi, al punto di fruttare a Vallotton di essere salutato come un maestro del genere. Più numerosi nel 1912, i paesaggi destano maggiore attenzione. Guillaume Apollinaire in particolare vi si attarda evocando giudiziosamente un parallelismo con il Doganiere Rousseau. Cosa del tutto nuova, ora è presente anche una serie di nature morte, genere che Vallotton ha praticato poco fino a quel momento. Genere che costituisce ormai, con la figura e il paesaggio, la terza componente del repertorio, enunciato nel 1922 in Il bouquet, che il pittore si adopererà per il resto della vita a rinnovare e perfezionare fino al suo compimento.
Il lavoro è il rifugio di Vallotton, il rimedio alla sua nevrastenia, la scappatoia per i suoi problemi di famiglia e di soldi. Da qui una produttività considerevole, che in certi anni sfiora gli ottanta dipinti. Le stagioni dettano la scelta dei soggetti: l’inverno è principalmente dedicato alle figure, grazie alle modelle reperibili a Parigi; l’estate reimmerge il pittore nella natura, alla ricerca di motivi dai quali l’artista moltiplica i paesaggi. Le nature morte, dal canto loro, costellano più o meno le stagioni, a seconda dei fiori, dei frutti o degli ortaggi disponibili, mentre gli altri elementi sono quasi sempre presi dal mobilio personale dell’artista.

Viaggi
Due viaggi permettono a Vallotton di diversificare i suoi motivi. Il primo lo porta a San Pietroburgo e a Mosca nel marzo del 1913, su invito di un amico di suo fratello, il collezionista Georges Hasen, di cui si è impegnato a fare il ritratto. Eseguito sul posto, questo dipinto resta dal suo committente. In compenso, gli schizzi riportati a Parigi danno vita senza por tempo in mezzo a cinque paesaggi, in cui è notevole la capacità del pittore di catturare una luce, un’atmosfera inedite per lui. È il caso di La cattedrale Pétropavlovsk, dove le silhouette della famosa basilica dei Santi Pietro e Paolo e gli edifici di San Pietroburgo sorgono come fantasmi tra due facciate laterali del palazzo dell’Ermitage.
Combinati con gli effetti contrastati di ombra e luce, il rigore geometrico e l’aspetto aguzzo di questi elementi architettonici non fanno che rafforzare l’impressione di uno sfondo filtrato da una nebbia glaciale. Nel settembre dello stesso anno, Vallotton si reca in Italia. Dai suoi precedenti soggiorni nella penisola sono scaturite solo alcune tele di formato modesto e dei piccoli studi abbozzati dal vero. Ma questa volta le sue intenzioni sono ben diverse: a Perugia, la sua prima tappa, e poi a Roma, l’artista accumula schizzi in vista di una serie di paesaggi italiani a cui lavora fin dal suo ritorno. Quelli di Perugia si concentrano sulla città e i suoi dintorni immediati, quelli di Roma sulle rovine antiche, che l’avevano fortemente impressionato già nel 1907. L’insieme testimonia ancora una volta la sua capacità di adattamento alle particolarità di una regione: lontano dalle gamme fredde applicate ai paesaggi russi, eccolo impiegare le ocre, i rosa e i verdi, mettendo contemporaneamente in risalto le ombre generate dalla luce calda di un fine estate meridionale. La via Appia è un esempio perfetto di queste opere maestose e malinconiche, dove storia e natura si fondono. “Paesaggi storici”, propriamente parlando, esse evocano l’ascendente che Poussin ha esercitato sul Vallotton paesaggista della maturità.
La prima metà del 1914 è ricca di avvenimenti, a cominciare dalla prima mostra personale di Vallotton a Losanna. L’esposizione ha luogo in primavera, nella succursale della Maison Bernheim-Jeune aperta da poco da Paul Vallotton, che ne assume la direzione. Poco dopo si tiene alla Galerie Druet una terza esposizione dedicata al pittore. Colpa della situazione internazionale o di un affievolirsi dell’interesse, la mostra non attira minimamente l’attenzione, benché vi sia presentata una scelta molto diversificata di tele. Durante questo periodo, si tengono in Svizzera veementi dibattiti per sapere se Vallotton, in quanto francese d’adozione, è abilitato o meno a partecipare all’Esposizione nazionale di Belle arti che si svolge a Berna nel quadro dell’Esposizione nazionale svizzera. Alla fine, tre delle sue tele sono ammesse, ma la polemica prosegue durante l’esposizione, alimentata in parte dalla gelosia di alcuni colleghi, in parte da sentimenti nazionalisti imputabili al conflitto che si prepara.

La cattedrale di Pétropavlovsk (1913).

La via Appia (1913).

La guerra, nuovo soggetto di ispirazione
Il 1° agosto 1914, l’ordine di mobilitazione generale sorprende Vallotton a Honfleur, quando ha appena completato Orfeo fatto a pezzi. Subito il pittore offre i suoi servigi come volontario, ma riceve un rifiuto a causa dell’età. Molto avvilito per non poter servire la causa della Francia, vive la sua inutilità come una tara e trova come unico diversivo il suo Diario, dove dà conto degli avvenimenti giorno per giorno, non pensando neanche più a mettere piede nel suo atelier. Da questa letargia emerge solo in autunno e si rimette poco a poco al lavoro. Alla vigilia dei suoi cinquant’anni, comincia a ritrarre se stesso con, per la prima volta, gli strumenti della sua arte, come per riaffermare la sua condizione di pittore. Ben presto tuttavia la guerra gli ispira nuove idee. Queste prendono la forma di un grande paesaggio immaginario come simbolo delle devastazioni (1914, datato 1915, Berna, Kunstmuseum), di un vasto trittico allegorico (Il delitto punito, 1915, Losanna, Musée cantonal des Beaux-Arts) e di sei xilografie riunite in un album intitolato È la guerra!


La sentinella

Il filo spinato
Nelle tenebre


La trincea

I civili
L’orgia

Il suo odio verso il nemico si esprime d’altronde in feroci vignette, che gli valgono molta ostilità in Germania, dove prima era molto apprezzato. Se le foto dei giornali e i film di attualità sono potuti servire a far nascere queste prime opere, Vallotton si rende veramente conto di cosa significa la guerra solo nel giugno del 1917. A beneficio di una missione artistica nell’esercito, visita per una quindicina di giorni le linee del fronte della Champagne. Annota nel suo Diario gli avvenimenti di cui è testimone e schizza ciò che vede nella regione martoriata in un taccuino. Appena tornato, traspone i suoi disegni in una decina di quadri dove si vedono rovine, campi e foreste devastati. Pensando di essere riuscito solo a mostrare i luoghi dove le cose sono avvenute, ma non il “fenomeno guerra”, si interroga sulla possibilità per un pittore di rappresentare la guerra moderna. È la domanda a cui tenta di rispondere in un articolo pubblicato in dicembre nella rivista “Les Ecrits nouveaux” dove la sua conclusione è che «la sintesi indispensabile a tali evocazioni» non può che nascere dalla meditazione. Forte delle sue riflessioni, si rimette al lavoro. E questa volta, potendo contare solo sul ricordo delle impressioni raccolte sul posto, inventa Verdun. In un paesaggio completamente trasformato in piena zona di operazioni, incrocia delle linee rette per simboleggiare le forze generate dalle armi moderne, prendendo tuttavia le distanze da ogni intento cubista.
Nell’intervallo, tra la primavera del 1915 e la sua missione al fronte, Vallotton non resta inattivo. Si cimenta con rappresentazioni simboliche della guerra dipingendo cupe nubi, sperimenta un cromatismo “en camaïeu” (tono su tono) con dei nudi, o ancora si dà allo studio di forme assemblando dei torsi femminili provvisti di testa e senza gambe. Nelle sue nature morte, in numero crescente, la ricerca di angoli visuali inediti si somma a un orientamento sempre più insistito per la restituzione dell’oggetto nel suo carattere singolare, fino al limite del trompe-l’oeil. Espressa in modo eloquente in Peperoni rossi, questa tendenza, inscritta nel prolungamento dell’approccio realista del giovane ritrattista, vale anche per i «simil-ritratti», dove la modalità di elaborazione in ripresa diretta del modello è peraltro identica.


Verdun (1917); Parigi, Musée de l’Armée.


Peperoni rossi (1915); Solothurn, Kunstmuseum Solothurn.

Nel dominio sempre privilegiato del paesaggio, i dintorni di Honfleur continuano a occupare il primo posto, in alternanza con qualche altro motivo. Ma per Vallotton la vera rivelazione è un soggiorno di una settimana a Les Andelys, sempre in Normandia, sulle rive della Senna. Profondamente emozionato dai luoghi dove nacque Poussin, Vallotton ne restituisce delle immagini magiche in una serie di tele che culmina con Ricordo di Les Andelys.

Questo panorama, ricostruito a memoria, senza l’aiuto di alcun documento, è una sintesi di tutte le impressioni provate dal pittore di fronte a un sito percepito come «più musicale che plastico». Esso apre la strada ai paesaggi fluviali che vedono la luce tra il 1920 e il 1925 sulle rive della Senna e dell’Eure, poi sulla Loira, in Borgogna e infine in Dordogna, in registri così vari che non ce n’è uno che somigli a un altro. La passione di Vallotton per il mare, che ha fatto del porto di Honfleur uno dei suoi luoghi d’elezione, si apre a nuove prospettive a contatto dei siti selvaggi della Bretagna nei dintorni di Ploumanach. Questo soggiorno, sul finire dell’agosto del 1907, ispirerà allo scrittore la cornice del suo romanzo Corbehaut e al pittore una dozzina di paesaggi, dove la landa spazzata dalla tempesta e le formazioni rocciose della Costa di Granito Rosa danno luogo a una fioritura di arabeschi e a una monumentalità via via sempre più pronunciata. Questa si diffonderà nei paesaggi futuri, tra cui una serie che ha per soggetto il sottobosco, ma anche in nature morte dagli oggetti voluminosi e persino in alcuni nudi fortemente stilizzati.

Scogli con la bassa marea (1917); Vevey, Musée Jenisch Vevey.


Bagnante, cielo tempestoso (1916).

Inverno soleggiato
Il dopoguerra offre una nuova giovinezza a Vallotton. Certo, Orfeo fatto a pezzi e il trittico Il delitto punito sono stroncati alla riapertura del Salon d’Automne, nel 1919, ma le sue ultime esposizioni ottengono un largo consenso. Un coro di lodi saluta i suoi grandi quadri di guerra, tra cui Verdun, e la critica cambia ben presto atteggiamento anche verso i suoi paesaggi e le sue nature morte. La vendita delle sue opere riprende: a Parigi da Druet come pure, tramite suo, il figliastro Jacques- Rodrigues Henriques, gallerista dal 1922; a Losanna da Paul Vallotton, la cui galleria diventata indipendente da Bernheim-Jeune ne porta adesso il nome. A queste soddisfazioni viene ad aggiungersi nel 1920 la scoperta di Cagnes, dove il pittore d’ora in avanti si rifugia nella cattiva stagione. Il sole invernale del Midi gli restituisce il gusto della vita e lo induce a rimettersi al lavoro. Dapprima sconcertato da tanta luce dopo il grigiore della Normandia, fa presto ad abituarsi, spingendo la sua tavolozza su strade fino ad allora sconosciute. Il villaggio stesso, con le sue case digradanti, le sue stradine strette, i suoi giardini recintati dai quali spuntano alberi in fiore, i vigneti, uliveti e frutteti dei dintorni, le sponde della Cagne e del Loup, nonché il Mediterraneo e le sue rive da Tolone a Mentone sono altrettanti motivi che il pittore moltiplica con gioia, come se temesse di avere i minuti contati. La loro unità stilistica fa degli ottantotto paesaggi di Cagnes e dintorni, dipinti nello spazio di tre inverni, un gruppo a parte. Immagini dalla sintesi spinta all’estremo, traggono alcuni loro temi dalla realtà, ma disdegnano la fedeltà a un’illuminazione e a dei colori prefissati. Luminosità irreale, spessore atmosferico eliminato fin nella distanza, forme concentrate, tinte esacerbate, ombre inverosimili proiettate da elementi posti fuori campo, esseri viventi ridotti a una scala minuscola prestano a queste composizioni una atmosfera atemporale. Come gli ultimi paesaggi fluviali, queste opere incarnano la metafisica pittorica a cui aspira Vallotton. È ciò che lo spinge ad acquistare nel 1924 un terreno con un vecchio ovile del quale appronta il progetto di trasformazione e si compiace di supervisionare l’esecuzione. Ma il cancro che già lo rode non gli lascerà il tempo necessario.

Sentiero a Cagnes al mattino (1924).

Rientrato molto affaticato da un ultimo viaggio in Dordogna, nel giugno del 1925, Vallotton continua a lavorare a dispetto dei disturbi successivi. Prima di entrare in clinica per una operazione fissata il 26 dicembre, mette ordine nei suoi affari, distrugge una parte della sua corrispondenza, inserisce nel proprio testamento diversi musei francesi ai quali lascia, con un legato, alcuni suoi quadri e, ancora alla vigilia dell’ingresso in clinica, dipinge un’ultima tela, un Bois de Boulogne sotto la neve. Muore tre giorni dopo l’operazione, il 29 dicembre, all’indomani dei suoi sessant’anni.

VALLOTTON
VALLOTTON
Marina Ducrey
Félix Vallotton (Losanna 1865 - Parigi 1925) si trasferisce giovanissimo a Parigi dalla natia Svizzera ed è lì che si forma come pittore, nell’ambito postimpressionista, nabis e simbolista. Inizia come incisore e illustratore ma è anche romanziere e poi pittore. Viaggia in Europa, in Russia, negli Stati Uniti. La sua opera presenta tratti di assoluta originalità: una stesura dei colori “à plat”, linee stilizzate per atmosfere indefinite che nascondono una forte vibrazione interiore, con figure di un erotismo gelido e sensuale insieme, paesaggi solitari attraversati dal vento o da raggi di luce, interni chiusi dai colori forti.