Ma in fatto di anticipazioni di cui Blake è stato largamente prodigo, bisogna correre ancora più in avanti, portarci a chi a sua volta nei decenni centrali del secolo scorso ha elaborato una perfetta sintesi del pensiero di Freud e di Einstein, Marshall McLuhan, procurandone anche un solido radicamento nella tecnologia. Se si vuole avere una rapida ma esauriente immersione nel McLuhan-pensiero, basterà leggere The Gutenberg Galaxy, del 1962, tradotta in italiano qualche tempo dopo. Con lui ritorniamo al tormentone dei periodi storici, in quanto il tedesco Gutenberg, in un altro anno tondo, il 1450, ha inventato la prima “macchina industriale” dell’Occidente, la tipografia, la stampa a caratteri mobili, capace di riversare sul mercato i libri a centinaia di copie, laddove prima di quel momento esistevano solo i codici stesi a mano, con lunghi tempi di esercizio e conseguenti alti costi. Qui appare l’estrema coerenza di Blake. Convinto annunciatore dei tempi nuovi, che non saranno più da dirsi “moderni”, egli rifiuta proprio lo strumento della tipografia, in quanto gli sembra inanimato, incline a cadere negli stereotipi, in copie conformi e senza anima.
Inoltre la tipografia provoca una mortale divisione tra lo scrivere e il disegnare, tra la parola e l’immagine. Il nostro autore parte lancia in resta contro questo crimine storico, e anche in ciò ha una intuizione precorritrice dei tempi a venire, che dovremo deciderci a definire “contemporanei”, o postmoderni. Questi saranno dominati dai computer, dove come ben sappiamo l’infausta cesura scompare, e siamo perfettamente in grado di far convivere parole e immagini, come avveniva prima di Gutenberg nei preziosi codici miniati, dove i copisti, gli amanuensi, e i pittori intervenivano fianco a fianco sulla stessa pagina. Con straordinaria coerenza Blake rifiuta di affidare i suoi scritti, saggi o liriche, allo strumento tipografico, ritorna invece alla “stampa”, ma prendendo la parola nel senso originario, consistente in una matrice unica, su cui un solo autore scalfisce i tratti su uno strato di cera, facendoli poi corrodere dall’acido, quindi inchiostrandoli e imprimendo (la francese “presse”) le lastre su fogli, uno alla volta, con rinuncia totale al “grande numero”. Ma perché Blake rilancia un simile sistema arcaico, che sembrava del tutto messo fuori gioco dai “tempi moderni”? Lo fa per due ragioni, perché da un lato sa bene che non raggiungerà mai il “grande numero” capace di rendere conveniente la tipografia, non avrà acquirenti in abbondanza dei suoi prodotti, e dunque nessun tipografo avrebbe accettato di lavorare per lui in pura perdita. Ma più forte e decisiva una ragione ideologica, di chi si rifiuta alla scissione “moderna” tra le due metà dell’operazione, le vuole riaccorpare, anticipando di due secoli quanto oggi otteniamo comunemente con un computer o addirittura con un “telefonino”.