Questi artefici, sacerdoti o meno che fossero, dovevano avere un ruolo importante nella società. Non a caso tutte le espressioni maori legate al concetto di bravura si riferiscono sempre a un’opera o un’attività che richiede predisposizione alla creatività, talento esecutivo e fantasia.
Ci sono poi i simboli, onnipresenti. I tongani chiamano heliaki, e gli hawaiani kaona, tutto ciò che ha un significato nascosto ma che può esser svelato. In altre parole, un oggetto creato con abilità e talento è anche la quintessenza di un linguaggio metaforico, e richiede adeguati strumenti di conoscenza, i significati socio-culturali che meglio si accordano ai concetti base della civiltà polinesiana. Ecco perché abbiamo qui cercato, soprattutto, di indagare su questi temi, seppure sinteticamente.
Quella dell’Oceania è d’altra parte un’arte variatissima, a seconda delle culture e degli arcipelaghi, talvolta con caratteristiche così localizzate, come si è accennato per Aitutaki, da mostrare fogge e stili talvolta solo in un’unica, minuscola isola.
Talaltra invece si osservano tipologie comuni in arcipelaghi assai distanti, come alle Hawaii e a Tahiti, dove, per fare un esempio, le canoe o i copricapi e i mantelli cerimoniali con piume gialle e rosse sono molto simili.
Sintetizzando al massimo, giacché non basta un’enciclopedia o un intero museo a illustrare gli stili di questi magnifici oggetti, si può affermare che l’arte oceanica del passato risponda a esigenze spirituali, in funzione di riti legati alla vita e alla morte e all’ostentazione del prestigio di un clan o di un singolo capo. Esaminare questi oggetti significa penetrare in usanze diversissime da quelle che ci ha abituato la storia dell’arte occidentale. Non esiste, per esempio, pittura da cavalletto.
Non esisteva il museo. Nel piccolo museo di Rarotonga, nelle Cook, tengono a spiegare tuttavia che anche loro avevano in passato, in qualche maniera, il loro museo. E molto prima, ci dicono, che gli spagnoli Alvaro de Mendaña e Pedro Quiros avvistassero l’abbagliante atollo di Pukapuka il 20 agosto del 1595. Ogni isola aveva le sue strutture sociali, ognuna dedicata a varie forme ed espressioni artistiche: Pia-Atua era la casa degli spiriti, o delle divinità, dove si tenevano gli oggetti cultuali e si svolgevano importanti riti sacri. Are Karioi era la casa della danza e dell’intrattenimento; Are Pana quella dove s’insegnavano alle donne i diversi ruoli e comportamenti, a seconda della loro classe sociale; Are Toa dove s’insegnava l’arte della guerra ai giovani uomini; Are Korero, dove i recitanti maori narravano le storie dei loro antenati. Are Vananga, infine, dove si trasmetteva la conoscenza di riti esoterici. Con nomi diversi, queste strutture sono comuni in tutte le culture dell’Oceania, con sensibili varianti soprattutto nelle ricchissime tradizioni delle zone più interne di Papua Nuova Guinea.
Per capire quanto complessa, evocativa e fortemente simbolica sia la produzione artistica dell’Oceania, terminiamo con tre esempi.
Osserviamo un nguzunguzu (o musumusu), del quale si è già accennato per la sua funzione apotropaica. La scultura veniva posta all’altezza della linea di galleggiamento, per scacciare gli spiriti maligni dell’acqua. Sul volto a tutto tondo dall’accentuato prognatismo, sono ripetute le scarificazioni rituali dei volti dei guerrieri o di qualche antenato, ma quel che è più significativo è che tra le mani questo spirito protettore tiene di solito una piccola testa umana (a simboleggiare la testa del nemico). Nel caso qui illustrato, vediamo però un uccellino: il macabro riferimento è diventato, per influenza dei missionari, un simbolo di pace. Tuttavia non è escluso che esprima anche la riconoscenza per gli uccelli migratori, che guidarono con la loro rotta i primi intrepidi navigatori del Pacifico.
Heva Tupapau è invece il ricchissimo costume a lutto indossato dal maestro cerimoniere in occasione dei funerali per la morte di un capo di alto rango della comunità tahitiana. Il cerimoniere era un parente del dignitario deceduto e veniva accompagnato da un gruppo di guardiani-difensori, con la pelle annerita da fuliggine e dipinta.